Frati e Umanisti del Quattrocento
(Contributi e proposte)EAN 9788862744614
Dopo i numerosi studi sul Quattrocento tra i quali Aspetti religiosi nella letteratura del Quattrocento (1973-1974), Cultura e vita nell’Età Umanistica (1976), La morte nell’Età Umanistica (1983), Il dibattito sull’uomo nel Quattrocento (1999), L’inquietudine del Quattrocento (2007), Remo Guidi in questo volume va oltre e presenta le sue ricerche sul secolo XV ora centrate sul ruolo di primo piano svoltovi dai Mendicanti e dagli Umanisti. Si tratta del tema mai sottoposto ad analisi sistematiche specialmente riguardanti i rapporti tra questi due gruppi, per cui Guidi, affrontandolo, colma una vistosa lacuna nella storiografia quattrocentesca. Il volume si articola in XIV capitoli preceduti dalla prefazione, dalle sigle e abbreviazioni e dalla bibliografia; si conclude invece con l’utilissimo indice degli archivi, degli incunaboli e dei manoscritti utilizzati e infine dei nomi. Nella prefazione Guidi, oltre a indicare i motivi, presenta in modo breve e succinto le linee guida di questa sua ricerca. Le due dette compagini finora sono state studiate separatamente per cui non si è cercato di confrontarli e analizzarli insieme. Questa dicotomia non è ascrivibile ai protagonisti, ma «risulta un prodotto poco limpido degli interpreti, responsabili di un implicito Diktat per cui l’interessarsi dei primi significa automaticamente dall’area di studio escludere i secondi». L’equivoco di partenza si deve in parte alle informazioni inadeguate e alla lettura a senso unico delle fonti, ma anche alla presunzione che con gli Umanisti rinacque il paganesimo e che la loro produzione possa confinarsi negli spazi della retorica. Guidi avverte che una spiegazione del genere non aiuta a comprendere il suo volume il quale, «mentre recupera l’azione dei Mendicanti (anzi, ad essere più precisi, dei Francescani) fa emergere, quasi in controcanto, le analogie o le dissonanze umanistiche». L’autore quindi rileva quello che lui chiama l’interfacciarsi delle due scuole di vita e di pensiero, che ha avuto come risultato l’acuta analisi di molti aspetti della civilis disciplina e della morale e ha dato delle «risposte suscettibili ancor oggi di esami suppletivi per essere adeguatamente valutate». Già i titoli dei singoli capitoli ci danno l’idea dell’ampiezza della ricerca e delle novità delle conclusioni. Il I capitolo, intitolato Prologo è dedicato ai Francescani e la detta civilis disciplina; il II, Frati e Umanisti: ragioni di un confl itto, è l’analisi del confl itto tra i Mendicanti da una parte e gli Umanisti e la gerarchia dall’altra; il III, Ambiti della inquietudine francescana, è dedicato agli studia humanitatis e alle contestazioni e altre difficoltà connesse ad esse, risoltesi nella scissione dell’ordine; il IV, Tra i paradossi dei Francescani presenta alcuni pregiudizi «da tener presenti nel leggere» il volume, per comprendere il rapporto dei Francescani verso i laici; il V, Dentro e attorno alla chiesa francescana, è dedicato al clero secolare e pastorale, alla pietà, alla concezione del sacro e alla musica in chiesa; il VI, Storia in ombra, ovvero Bessarione e i Francescani, fa vedere quale è stato il rapporto tra il Cardinale greco e i Francescani e quanto il proteggere dei Francescani era diventato un controsenso; il VII, Nel mondo di fra’ Antonio da Rho (1395-1447), ci presenta questo frate e umanista poco studiato; l’VIII, L’azione riformatrice del Capestrano, è un’analisi delle riforme promosse dal famoso Predicatore, la sua risolutezza e le alternative alla sua “brusca energia”; il IX, Sottintesi e allusioni tra Poggio e Sarteano a proposito di una polemica mancata, spiega che il dissenso tra i due proveniva da un confl itto ideologico e implicava una diversa concezione della virtù; il X, Lorenzo Valla e la vita dei claustrali, presenta l’opera del Valla De professione religiosorum e le possibili interpretazione della stessa; l’XI, Note sull’agiografia, riporta vari problemi concernenti le vite quattrocentesche dei santi; il XII, Bernardino da Siena tra agiografia e storia, rileva in particolare il problema della canonizzazione di questo frate e le inquisitones messe a confronto con i criteri dello storico; il XIII, Ebrei a Ferrara, tratta del Rinascimento a Ferrara e specialmente la questione del “banco”, riguardo ai Francescani, a Bernardino Tomitano da Feltre e prima di tutto agli Ebrei; infine il XIV, L’Umanesimo oltre la retorica fa vedere che gli umanisti erano largamente coinvolti in questioni e problemi religiosi e che la religione era anche dei laici i quali volevano “dire la loro”. Sintetizzando si può quindi affermare: Qualora l’umanesimo fosse stato un movimento di retori, la polemica con i Mendicanti sulle arti liberali non avrebbe avuto luogo; i protagonisti dello scontro con gli umanisti furono i maîtres-à-penser, non i frati genericamente intesi, perché alcuni dei claustrali figurano tra i litterati a tutto tondo (e dunque anch’essi coinvolti nella difesa degli studia humanitatis); i frati, poi, seguaci della sancta rusticitas, erano privi dei mezzi mentali per prendervi parte. Guidi quindi asserisce e dimostra che non furono gli studia humanitatis a corrompere la Chiesa o i claustrali: la Chiesa i propri malanni se li portava dietro ab immemorabili, e troppi uomini con il saio e la porpora furono insigni nel campo delle lettere, e ciò non nocque assolutamente alla loro buona fama e integrità. I Francescani occuparono uno spazio notevole del secolo del quale riproposero la grandezza e la miseria: essi furono interlocutori degli umanisti e del Palazzo, sicché uno studio diretto della loro vita e del loro pensiero risulta vincolante in una visione di sintesi del secolo, anche se la si limita alla valutazione del solo umanesimo. Dopo la lettura di queste documentatissime pagine (dove eccellono i manoscritti e gli incunaboli) è opportuno ripetere che l’umanesimo ebbe ben altro da proporre che l’imitazione degli auctores, e i maestri di spirito si sarebbero ben guardati dal mettersi in urto con una classe potente e di grande visibilità quale erano i litterati; insomma non fu la difesa dell’ispido latino parigino a spingerli a un confronto che durò tutto il secolo. I maestri di spirito sostennero il loro diritto a stabilire dov’era il lecito e il proibito; e gli Umanisti risposero che l’amore, la dignitas, il denaro, l’autonomia di giudizio, il piacere non solo erano valori da non sopprimere, ma da imporre perché al tutto confacenti con la morale cristiana, anche se non risultavano compatibili con le regole monastiche. Insomma se Cristo aveva redento il mondo lo aveva anche santificato, e la terra non era più il luogo dell’esilio, ma il luogo d’incontro tra la terra e il cielo, il tempo e l’eterno. Ciò premesso va ribadito anche che gli studia humanitatis non erano affatto la panacea di ogni male dello spirito e dispensatori di equilibrio; se così fosse stato risulterebbero inspiegabili le riserve (ma in qualche caso si trattò di autentiche crisi di rigetto) che su di essi espressero, tra gli altri, Sicco Polenton, Leon Battista Alberti, Maffeo Vegio, e su su fino ad Antonio de Ferrariis e, da ultimo, lo stesso Aretino. orgogliosamente ottimistica che ancora perdura (e da Guidi già dichiarata insostenibile con La morte nell’Età Umanistica [1973], Il dibattito sull’uomo nel Quattrocento [1998/99] e L’inquietudine del Quattrocento [2007]), e fanno emergere un vissuto travagliato e sofferto in uomini molte volte senza precisi punti di riferimento e, dunque, assai insicuri. Un giorno Guicciardini, uno degli uomini più lucidi della sua epoca, scrisse a Machiavelli: «ambuliamo tutti in tenebris». Qui si offrono delle ragioni per dimostrare che questa frase ha il suo peso e, in un giudizio complessivo sull’Epoca Umanistica, merita molta attenzione anche quando si studiano i rapporti importantissimi dei frati e degli umanisti.
Tratto dalla rivista "Miscellanea Francescana" n. III-IV/2013
(www.seraphicum.com)