Eucaristia senza prete?
(Paginealtre)EAN 9788861531000
Il libro è un tascabile: neanche 120 pagine. Eppure è interessante testimonianza, dolorosa ed eloquente, di un dialogo tra sordi che richiama da vicino il clima tipico del secolo XVI quando il Nord Europa fu scosso dalla riforma protestante. In quel frangente gli appelli e le esigenze espresse potevano rivelarsi un momento di grazia per l’intera Chiesa europea, se capace di dialogare; affrontati invece in clima polemico portarono a un disastro secolare.
Se la documentazione del nostro libretto su un nervo ecclesiale scoperto è esatta (e non c’è motivo per dubitarne: non è la prima volta che la celebrazione domenicale senza prete ha le luci della ribalta), l’intera Chiesa cattolica dovrebbe pregare che emergano figure e comunità in grado di mediare e favorire un clima fraterno di dialogo riformatore nella Chiesa olandese ormai allo stremo. Nel periodo patristico qualche vescovo partì dal Medio Oriente per venire a Roma onde risolvere in pace la questione della data della Pasqua, che era allora un nervo scoperto. Da Lione il vescovo Ireneo, originario di Smirne, passò le Alpi per toccare la stessa meta onde risolvere in pace altre aspre controversie. Ricordi incoraggianti e stimolanti a muoversi.
Concretamente veniamo al problema olandese e al contenuto composito del libro che lo affronta. La prefazione, firmata dal domenicano italiano p. Simoni, presenta il testo come «una discussione ampia e serrata su questo punctum dolens pastorale, tanto avvertito quanto rimosso» perché si tratta di «una matassa non facile da districare, ma di cui è necessario cercare il bandolo per ‘sortirne insieme’, perché una situazione di stallo o di ristagno sarebbe dannosa per tutti» (p. 9).
La discussione parte dal rapporto redatto nel 2007 da una commissione di quattro domenicani olandesi su incarico, dato nel 2005, del Capitolo provinciale domenicano dei Paesi Bassi. Il Consiglio della provincia olandese lo ha accettato e diffuso come «un contributo per rinnovare un dibattito ad un livello più profondo» (p. 15). Il rapporto, intitolato Chiesa e ministero. Verso una Chiesa che abbia un futuro, risulta interessante anche a un lettore italiano in grado di cogliere la drammaticità della situazione di comunità desiderose di partecipare all’eucaristia domenicale, divenuta impossibile per la mancanza di preti. La soluzione proposta dai vescovi (ridurre il numero delle comunità parrocchiali, accogliere preti terzomondiali e comunque stranieri per l’eucaristia) è ritenuta totalmente insufficiente, al punto che varie comunità celebrano l’eucaristia se hanno un loro prete oppure celebrano il cosiddetto «Servizio della Parola e della Comunione» presieduto da uno che non è prete ordinato, ma è un cristiano designato dalla comunità. Il rapporto registra la domanda di varie parrocchie di «un rito in cui la comunità locale possa proporre al vescovo per l’ordinazione le persone - tanto uomini quanto donne - scelte come leader della comunità e in cui il vescovo le ordini» (p. 23; cf. p. 41). La fondazione teologica della richiesta si troverebbe nel capitolo secondo della Lumen gentium sul popolo di Dio che viene prima del capitolo sulla gerarchia, declassata perciò a strumento del popolo di Dio. L’eucaristia va vista come banchetto, condivisione e presenza di tutto il mondo, «mensa aperta anche a persone di tradizioni religiose differenti»; si può dirla sacrificio nel senso che «è il dono di sé che Gesú ci fa attraverso la sua vita e morte a poter essere definito ‘sacrificio’» (pp. 35-36). Ancora: i ministri nella Chiesa sono descritti come funzionari che aiutano la comunità ad andare avanti, testimoni del Vangelo: la comunità ha nei loro confronti il diritto di celebrare l’eucaristia come sacramento di solidarietà e unione con Gesú e con gli altri (cf. p. 37). Puntando al futuro, l’appello ad allargare i criteri per la scelta dei leader si fa urgente: le parrocchie vengono sollecitate a «confidare di essere in grado di celebrare una vera e autentica eucaristia quando si riuniscono e condividono il pane e il vino nella preghiera» (p. 43). La comunità dunque si autolegittima nelle scelte sacramentali.
Anche il lettore italiano avverte gli scricchiolii teologici del rapporto domenicano olandese, troppo unilaterale, pur condividendo la percezione della drammaticità della situazione che invoca soluzioni innovative. La sensazione è ovvia: qui si tira troppo la corda, con il rischio di ottenere l’effetto contrario. Stona la concentrazione unilaterale sulla comunità, popolo di Dio, in cui risiederebbe ogni diritto o potere. Il richiamo al Vangelo e il ricordo di Gesú nell’eucaristia e nella vita della comunità risultano alquanto sbiaditi. Mai viene menzionata l’epiclesi dello Spirito per la preghiera eucaristica.
Dinanzi alla proposta domenicana olandese era spontaneo aspettarsi una reazione della Curia generalizia romana dell’Ordine domenicano, che arriva puntuale. Viene affidato l’incarico al domenicano francese Hervé Legrand, docente a Parigi, di una lettura ecclesiologica del rapporto. Legrand, da esperto ecclesiologo, pur condividendo anche lui la drammaticità della situazione olandese, in una ventina di pagine (pp. 49-70) ha buon gioco nel rilevare, con puntualità storico-teologica accompagnata da una certa durezza, l’unilateralità e la faciloneria delle soluzioni proposte dai confratelli olandesi. L’analisi precisa, quasi pignola, del domenicano francese attinge il criterio dalla scienza della comunicazione: ma la sociologia della conoscenza non sembra permettere di valorizzare il sensus fidelium che in teologia è pure un dato da non dimenticare.
A sua volta perciò l’ecclesiologo dell’Istituto cattolico di Parigi si espone all’accusa, espressa con ancora maggiore durezza in una lettera aperta da Hermann Häring, di non capire nulla della situazione olandese e di voler chiarire tutto e fare proposte da estraneo: in fondo è tutta qua la controrisposta del docente emerito di Nimega, che di teologico ormai ha ben poco. Si passa all’invettiva polemica, che segnala il clima ideale per non capirsi più.
Prima dell’«arringa» conclusiva di Hermann Häring, il libretto propone la pastorale dei vescovi olandesi su Chiesa, eucaristia e sacerdozio (pp. 71-98), vescovi che si sentono ignorati totalmente dagli estensori del rapporto. La loro lettera è un richiamo pacato ad allargare lo sguardo sulla crisi di fede più generale, a superare letture faziose dell’ecclesiologia del Vaticano II, talora travisata nel documento domenicano, e ad evitare le polarizzazioni estreme nel delineare i criteri di scelta per un celebrante di una comunità. I vescovi citano a p. 87 l’affermazione forse più esigente nei loro confronti: «Coloro che presiedono le celebrazioni dovrebbero essere membri ispirati delle comunità in questione. Che siano uomini o donne, omo o eterosessuali, sposati o non sposati è irrilevante. Ciò che interessa è se la loro fede sia o no di ispirazione o di stimolo». Se un vescovo è portatore della tradizione apostolica, cerniera con la chiesa universale nello spazio e nel tempo, tale esigenza della base appare ovviamente irricevibile. Ma se il rapporto domenicano esprime fedelmente la mentalità della base cattolica, anche la risposta dei vescovi suona totalmente irrilevante. Ci si avvicina alla rottura, se questa non è già avvenuta.
Il composito libretto merita lettura attenta da parte di chi ha alte responsabilità nella Chiesa. Il comune lettore italiano può pregare e augurarsi che qualche confratello domenicano (come, ad esempio il cardinale C. Schönborn arcivescovo di Vienna, opportunamente richiamato da p. Simoni nell’introduzione a p. 7) ottenga dalle varie posizioni una pausa di ripensamento e aiuti i vescovi locali in un intervento pacificatore con opportune coraggiose riforme, se si è ancora in tempo ad evitare che scenda la notte più oscura sulla Chiesa olandese.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Il testo raccoglie i materiali di un’interessante disputa avvenuta nella Chiesa olandese fra la provincia domenicana e i vescovi, relativamente alla celebrazione domenicale senza prete. La tesi dello scritto dei religiosi afferma il diritto della comunità alla messa e l’opportunità che le comunità possano scegliere il proprio presbitero (uomo o donna). Al testo rispondono i vescovi, ma anche l’Ordine domenicano con una lettera del maestro generale e con uno scritto di p. H. Legrand. A quest’ultimo si contrappone il teologo H. Häring. Cf. Regno-att. 2, 2008,12; 4,2008,81.
Tratto dalla rivista Il Regno 2010 n. 10
(http://www.ilregno.it)