A difesa dell'Università. (De Academiis in Lutherum, 1532)
(La filosofia e il suo passato)EAN 9788861293786
Professore a Parigi nei primi decenni del XVI secolo, prima alla facoltà di filosofia («le arti») poi, dal 1514, in quella di teologia; vicario in spiritualibus et temporalibus del vescovo di Le Mans; predicatore e difensore dell’ortodossia contro gli assalti dei Riformatori, Jérôme De Hangest (1480 ca. - 1538) ha avuto tra gli altri meriti quello di aver formulato una definizione di «teologia scolastica» che non solo verrà ripetuta per almeno due secoli (come nella Méthode pour étudier la théologie del Du Pin, 1716), ma influirà sulla tradizione storiografica successiva, fino a Martin Grabmann e alla sua Storia del metodo scolastico (1909-1911). Per De Hagenst, la teologia scolastica è «la conoscenza delle sacre Scritture, acquisita nel rispetto del senso approvato dalla chiesa, avuto riguardo alle interpretazioni e ai giudizi dei dottori ortodossi, e senza rinunziare, ove occorra all’aiuto delle altre discipline». Questa definizione, sulla quale Riccardo Quinto aveva richiamato l’attenzione già in un volume del 2001 che ricostruisce minuziosamente la storia del concetto di «scolastica» (rec. in Studia Patavina 49 [2002] 503-509), appare all’interno dell’opera De Academiis in Lutherum (nel capitolo terzo, qui p. 222), una difesa dello studium universitario (academia), pubblicata a Parigi nel 1532.
Quinto traduce ora, accompagnandola con una introduzione e con un ricco apparato di note, l’opera nella quale Jérôme De Hangest si scaglia con toni molto aspri contro l’Antithesis decalogi Christi et papae di Lutero, ultima parte del De abroganda missa privata del 1522 (WA 8,441-476). In realtà, all’esplicita confutazione delle tesi luterano sono dedicati il primo e l’ultimo dei quattro capitoli di cui si compone il De Academiis. Il secondo e il terzo prendono di mira uno scritto più prossimo cronologicamente, il De incertitudine et vanitate scientiarum et artium di Heinrich Conelius Agrippa di Nettesheim, composto nel 1526 ma pubblicato ad Anversa nel 1530 e a Parigi nel 1531. In questione è essenzialmente l’accostamento adeguato alla sacra Scrittura. Contrariamente ad Agrippa, che per altro non viene mai chiamato per nome, De Hangest non ritiene affatto necessario ricorrere ai testi biblici «originali», ebraico e greco: il testo latino, a cui la chiesa ha fatto riferimento per secoli, assicura una solida base all’elaborazione teologica.
L’introduzione di Quinto espone con chiarezza il quadro in cui si collocano gli approcci umanistici di Agrippa o di Erasmo da Rotterdam e la reazione polemica di De Hangest. Con acutezza, il curatore nota il diverso registro linguistico adottato dal polemista quando si rivolge a Lutero e quando invece affronta le idee degli umanisti. Nel primo caso il tono è aspro, infarcito di epiteti coloriti e violenti; nel secondo è più controllato. Se contro Lutero occorre denunciare l’eresia, rispetto a quanti propongono una lettura del testo biblico basata su criteri linguistici e filologici e sulle affermazioni e Padri, saltando l’apporto degli scolastici, occorre piuttosto mettere in guardia da un pericolo. L’approccio non troppo ostile ad un pensatore come Erasmo può essere anche dovuto, osserva Quinto, ad un comune sentire circa il problema del libero arbitrio, tema che, come testimoniano alcuni suoi scritti, stava certamente a cuore ad De Hangest.
Sebbene l’autore del De Academiis non possieda la statura di un protagonista, egli può essere a ragione considerato «un testimone privilegiato di uno dei momenti di più rapida e radicale trasformazione del quadro storico, intellettuale e religioso dell’Europa moderna» (p. 16). La cura competente di Riccardo Quinto, rivolta tanto agli aspetti filologici e storici quanto agli aspetti teologici dell’opera, ci permette senza dubbio di approfittare di quella testimonianza. Se il carattere illustrativo dell’apparato di note al testo ne facilita la lettura anche ai non specialisti, la qualità dell’analisi e la documentazione bibliografica sono tali da attirare l’attenzione degli studiosi più esigenti.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2010, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)