Omnia nobis est Christus. L'umanesimo dell'incarnazione in Giovanni Battista Montini.
(Ai crocevia)EAN 9788861241398
Cristo pienezza dell’uomo, il Cristo “necessario” e insieme “inarrivabile” alle categorie mondane a prescindere dalla fede. Si tratta della pubblicazione, presso la stimolante collana ai crocevia della tesi dottorale (PUG 2005) dell’attuale rettore del seminario di Mazara del Vallo. Come dice C. Valenziano nella prefazione si è tentato una “sincronia cristologica del pensiero montiniano” (6). Una indagine sul ”pensiero cristocentrico e il sorgere della scelta del dialogo” nel futuro Paolo VI (15).
Il lavoro si articola in quattro capitoli: 1. Gesù maestro e la religione del vero; 2. Cristo epifania della grandezza dell’uomo; 3. Cristo unico mediatore necessario; 4. Trasfigurare la realtà con la verità. Diciamo subito che il libro è a più di un titolo meritorio. Il percorso storico sulla genesi del pensiero montiniano non è colta solo dal punto di vista accademico- intellettuale, ma anche (e qui si nota un’originalità) sottolineando la portata .cristologica. di talune amicizie del Montini. Il teologare in comunione, come ritraduzione cristiana del sym-philosophein. Si muove da una presentazione di G. Battista Montini, con un breve profilo biografico e una rassegna dei temi rilevanti nei principali scritti giovanili. Oltre al debito dottrinale verso s. Paolo e s. Agostino, emerge la nota ammirazione per la cultura francese (Pascal, de Grandmaison, Maritain). Il giovane Montini sottolinea con forza il nesso verità/legge e libertà, alla luce del .giogo di Cristo.: «l’uomo possiede la libertà solo per rendere omaggio volontario alla luce e al bene [.] la legge e la libertà diventano una cosa sola» (Scritti giovanili, 41).
Si palesa l’urgenza di oltrepassare una riduzione della intelligenza alla razionalità matematica (ib., 141s) per indurre l’uomo contemporaneo a riscoprire la .scala di Giacobbe. metafisica che poggia sull’inestinguibile sete trascendentale: la ricerca della verità, bontà, bellezza assoluta; l’inquietudo agostiniana. Sboccia il programma di una vita: testimonianza alla verità come di lei “custodia, ricerca e professione” (ib., 191). «Con occhio pio e puro cercherò in ogni verità particolare, riflessi della Verità prima » (Colloqui religiosi, 81). Con forza egli avverte l’esigenza di una nuova apologetica; non più difensiva, ma propositiva, epifanica, di "penetrazione" alla luce del Vangelo come lumen originario di ogni altro chiarore, in quanto «il Vangelo è la biografia del prototipo dell’umanità» (Scr. giov. 228). Nei corsi di religione come assistente della FUCI (1928-33) si affrontano i grandi temi dottrinali, cristologici, ecclesiologici e morali (cf Coscienza universitaria, Roma 1930), nella convinzio ne che «la nostra fede è congiunta con la scienza ed è capace di trarre dalle gloriose conquiste del pensiero e dei suoi errori, luminosa testimonianza» (ib., 12). Accettando la classica definizione di verità come adeguazione intellettuale al reale, il giovane Montini vuole portare questo movimento di adesione e corrispondenza alle sue ultima conseguenze morali e religiose: per cui «riconoscere ed adorare significa essere al vertice della potenza e della libertà» (ib., 100).
Oltre il soggettivismo moderno (cf i tre riformatori di Maritain) va ricucito il rapporto col tutto della vita che in ambito di fede si declina come ossequio alla Tradizione, definita come «vita così identica a sé stessa nella mobilità contingente e storica delle sue manifestazioni», «identità vitale del cattolicesimo» (ib., 62). Alla scuola del platonismo cristiano (da Agostino a Bonaventura) occorre percepire l’indole simbolica della natura e avviarsi alla trascendenza a partire dall’interiorità. L’A. prosegue l’esposizione articolando (forse non senza un po’ di forzatura) i momenti focali della riflessione montiniana alla luce di Gv 14,6: Cristo come via, verità e vita. Il Vangelo è via in quanto svela la santità come «concetto universale della moralità normale cristiana» (La via di Cristo, Roma 1931, 118) e come .vita di Cristo nei battezzati.. La verità di Cristo si rivela paradossale: «nessuno più docile di lui, e nessuno più libero [.] assorto in continua contemplazione e al sua azione non ha pausa. La sua purezza rifulge con maestà abbagliante, ed egli non teme accomunarsi con i peccatori. È forte e dolce; è semplice e profondo; originale ed elementare; impavido e sensibile; amabile e austero; mortificato e socievole; silenzioso ed eroico» (Introduzione allo studio di Cristo, Roma 1933, 69). Nell .umanità si rivela la divinità: «noi consociamo a divinità nell’umanità di Cristo, riflesso del Dio invisibile» (ib., 123).
E di questa rivelazione si può fare esperienza oggi nella Chiesa. La vita di Cristo è partecipabile in mondo personale, ma non individualistico, nella liturgia, la quale ripercorre l’iter che dal segno esterno porta alla grazia invisibile. Il secondo capitolo rintraccia lo sviluppo dell’umanesimo cristiano montiniano nella concreta esperienza di dialogo e di amicizie spirituali ed intellettuali del futuro papa (89-154). Sono qui ricordati - soprattutto alla luce dei carteggi - i legami personali con i padri dell’oratorio Giulio Bevilacqua (. 1965) e Paolo Caresana (. 1973), ma anche il futuro deportato Andrea Trebeschi (. 1945) e l’importante contatto con p. Giuseppe De Luca (. 1962). L’A. associa a queste amicizie contemporanee il legame del tutto peculiare che Montini intesse, da vescovo di Milano, con i suoi predecessori Ambrogio e Carlo. Dal primo egli assimila soprattutto il senso del mistero della Chiesa e la bonitas insieme misericordiosa e aderente alla verità; dal secondo soprattutto la carità pastorale del pio legislatore e riformatore. Una convinzione: «l’uomo senza una guida salvatrice, diventa nemico dell’uomo» (cf 148). Il capitolo si conclude con un paragrafo che pone il dialogo al centro tra carità intellettuale e pastorale (149-154). Il dialogo nasce e cresce in Montini dal gaudium veritatis che insieme è forte e saldo, ma anche aperto al confronto per un costante arricchimento. Nella scia di Maritain (Humanisme intégral) e di de Lubac (Le drame.), il vescovo Montini vede nel Cristo il vero e buon .Prometeo. che senza nulla togliere al divino dà tutto all’uomo: ed è di questo che l’uomo moderno ha bisogno.
Il cap. 3 è probabilmente quello nodale e teologicamente più ricco: «Cristo unico mediatore necessario» (155-216). Un primo paragrafo mette l’accento sulla derivazione paolina dell’umanesimo cristocentrico (cf il riferimento a Ef 1,10 nei commenti all’apostolo [1929-1933]). L’ansia di portare Cristo all’uomo moderno si palesa nella missione cittadina del 1957 ed in genere nella .paternità pastorale e teologica., esercitata veramente a tutto tondo dal vescovo di Milano, ben cosciente della deriva ateistica della società. L’ideale è quello di una «pacificazione della tradizione cattolica italiana con l’umanesimo buono della vita moderna. (cf 183), la quale non può eludere il mistero della croce, che va però proposto come .la stazione di arrivo dell’infinito amore di Dio per gli uomini» (185). L’arcivescovo della metropoli lombarda dimostra un approccio positivo che lo assimila alle posizioni coeve di Congar, Daniélou, Rahner e ad dirittura Teilhard de Chardin (190s). Il § 3 su “.La necessità di Cristo” propone i testi più belli del volume; in genere tratti dai Discorsi e scritti milanesi. Denunciare e risanare il “messianismo profano” (comunismo), recuperando la capacitas Dei nel suo orizzonte cristologico ed ecclesiologico che dice la verità dell’uomo come figliolanza divina e fratellanza inter-umana. (Dispiace che l’autore non menzioni le date dei vari discorsi). Stupendo quello che ha dato il titolo all’opera recensita (cf Disc. I, 139-152, pp. 205-208). Altrove si legge che Cristo è «non solo il Rivelatore di Dio, è il Rivelatore dell’uomo all’uomo stesso» (Sul senso morale, Disc. III, 4095). Si intravede qui GS 22. L’ultimo capitolo, prosegue l’analisi dei Discorsi milanesi riprendendo la questione del nesso tra antropologia e cristologia. Cristo-Verità è luce sulla vocazione e missione dell’uomo come identità filiale destinata alla ricerca che sfocia in adorazione. È questa luce cristica, che dice propriamente “incarnazione” del divino che potrà trasfigurare l’ambito profano, specie del lavoro (227-241) e dell’arte (242-256). Tale epifania del divino o trasfigurazione dell’umano accade a condizione che «il sacro sia in una determinata relazione col profano in modo che quello non sia contaminato, e questo non sia alterato, ma santificato» (Disc. I, 641).
Ciò presuppone un’apertura al divino che rende necessario un «iniziale fondamento di religiosità naturale che manca alla mentalità moderna» (ib., III, 4845). Il mondo del lavoro trova possibile trasfigurazione, cioè illuminazione e salvezza nel Cristo lavoratore che ha praticato in prima persona «l’arte di far utili le cose e di cambiarle, in modo che da rozze, inutili, nemiche e pesanti, diventino amiche e utili accessibili a noi» (ib., II, 2920). L’arte poi, che tende a esprimere il bello (già definito «il bene che si offre come spettacolo per far amare l’essere», cf 243), ossia a rendere visibile nello splendore della grazia la bontà dello spirito, è in se stessa un’eco e una riprova (cf S. Weil) dell’Incarnazione: «il Verbo si è fatto carne. e la carne si è fatta parola! Ecco la definizione dell’arte, dell’arte cristiana: la materia diventa parola, parola di Dio! la bellezza è la prova esperimentabile che l’Incarnazione è possibile» (Disc. II, 2782s). La conclusione ripercorre la trama della tesi rinvenendo le due passioni di Montini: «l’uomo contemporaneo e la vitalità della fede» (257), conciliate nell’umanesimo cristocentrico o «cristologia integrale, o della trasfigurazione» (ivi). «Cristo si mostra norma per l’autenticità di ogni uomo [.] come senso perché verità, come valore, perché è bene, come mistero perché è parola umanizzata di Dio» (265).
Siamo grati allo studioso siciliano per questo lavoro che aiuta a riscoprire - con dovizie di documentazione - il volto genuinamente teologico ed umanista di papa Montini. Si potrebbero fare taluni rilievi come una certa prolissità e mancanza di sistematicità, o ancora l’assenza di una bibliografia in coda al volume, o ancora i numerosi refusi, specie nelle citazioni latine (e non sempre dovuti alla .correzione automatica.). Ma tutto ciò è secondario. Questione di contenuto sarebbe piuttosto quella di rilevare se per Montini la vera e prima epifania di Cristo nel nostro mondo vada cercata non tanto nell’ambito del lavoro e dell’arte, quanto nel mistero stesso della Chiesa come koinonia. (Da qui il taglio ecclesiologico impresso da Paolo VI al concilio). Sottolineo infine che due temi ricorrono - in modo opportuno - costantemente quali doni di Cristo all’umanità: la rivelazione della paternità divina e la capacità di trasfigurare la realtà (cf 54, 155, 192, 218s, 233, 58, 88s, 155s). Si ricorderà al riguardo che piacque a Dio chiamare a sé il grande pontefice proprio il 6 agosto mentre pronunciava il “Padre nostro”.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2012
(www.rassegnaditeologia.it)
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