I cristiani ai leoni. I martiri cristiani nel contesto mediatico dei giochi gladiatori
(Oi christianoi - Sezione antica)EAN 9788861241084
Il cinema, le illustrazioni popolari dei romanzi ottocenteschi, la pittura hanno impresso nell’immaginario collettivo, in forme spesso storicamente fantasiose, l’immagine di torme di cristiani abbandonate nelle arene a leoni famelici. Un esempio per tutti può essere il quadro di Gerome, del 1883, L’ultima preghiera dei martiri cristiani nell’arena, che vorrebbe raffigurare la persecuzione neroniana. Ma tutta la scena, con un maestoso leone in primo piano che esce da una botola in un’arena già del tipo del Colosseo (inaugurato 16 anni dopo e senza il complesso sistema di sotterranei costruito in seguito), è in contrasto con le fonti storiche (Tacito) e mostra come l’autore si sia attenuto a una tradizione oleografica e agiografica che è quella che sostanzialmente ancora permane nella mente di tanti occasionali visitatori del Colosseo o di altre arene, anche di provincia, dove probabilmente, per il loro alto costo, leoni e pantere non ci sono mai stati, e i cristiani, se c’erano, erano ridotti a gruppetti isolati e nascosti. Se cerchiamo di restituire concretezza storica al martirio cristiano nel contesto delle arene, ci rendiamo conto che in apparenza non molti sono i testi cristiani affidabili che ci restano mentre ricca è la documentazione, letteraria e archeologica, sulla gladiatura che può aiutarci a capire il significato delle esecuzioni di cristiani in quel contesto. E rileggendo in profondità i testi cristiani alla luce delle nostre conoscenze su questa cruenta forma di spettacolo del mondo romano, il martirio cristiano può assumere nuovi significati e nuove sfumature. È quanto ha cercato di fare Anna Carfora in questo saggio nel complesso lucido e organico, in cui una larga informazione sul mondo degli spettacoli gladiatorii si unisce felicemente a una conoscenza critica approfondita degli scritti cristiani. L’autrice si occupa da tempo del martirio cristiano e la sua ricerca ha già avuto esito in due contributi: Morte e presente nelle Meditazioni di Marco Aurelio e negli Atti dei martiri contemporanei (Napoli 2001) e La Passione di Perpetua e Felicita. Donne e martirio nel cristianesimo delle origini (Palermo 2007), un denso saggio su uno dei testi martirologici più articolati e stimolanti, seguito da una scorrevole versione italiana della Passio. Il nucleo dell’analisi è di tipo comunicativo: «Se i giochi, e le esecuzioni all’interno di esse, non sono puro divertimento come la storiografia ha ormai diffusamente mostrato, allora si può parlare di un complesso paradigma dei giochi gladiatorii, nel quali i cristiani condannati a morte vengono inseriti e devono giocare un ruolo. Rispetto a questo paradigma, però, i martiri prendono, per così dire, una loro posizione. Non si limitano ad assumere su di sé un ruolo che viene loro assegnato, ma interagiscono con il paradigma introducendo in esso elementi di sovvertimento e ciò avviene secondo categorie e modalità di impatto mediatico» (70). Le conclusioni a cui giunge l’autrice sono interessanti: i cristiani si appropriano di moduli comunicativi dei giochi e ne sovvertono il senso. «Se si considera la questione sotto il profilo della ritualità che si attua nei giochi, il comportamento dei martiri che fa dell’umiliazione corporale il trionfo della corporeità spacca la ritualità stessa introducendo il dissenso, laddove “i rituali semplicemente funzionano per promuovere la solidarietà sociale. Non si concede spazio al conflitto e al dissenso” (Price)» (123). Ma il discorso, su questi stimoli, poteva essere spinto anche più avanti: il martirio cristiano è anche un’opera di mediazione culturale condotta da uomini di diversa estrazione sociale e intellettuale. I cristiani erano parte integrante di quella società da cui stavano imparando a distaccarsi in uno sforzo identitario che era tutto in divenire. Come i loro correligionari colti, i cosiddetti apologisti, proprio negli stessi decenni, cercavano di appropriarsi dei concetti della filosofia greca per rendere accessibili le loro verità ai pagani, così i condannati nell’arena utilizzavano gli stessi atteggiamenti che tante volte avevano visto o di cui avevano magari anche goduto per parlare ai loro concittadini in un linguaggio che non era quello della cultura ma del costume. Letto così, il martirio cristiano si rivela anche un altro aspetto del confronto tra cristiani e mondo circostante, al di là dei pronunciamenti intellettuali: gli spettacoli (ma non le condanne pubbliche a quanto risulta) erano già esplicitamente condannati, ma quando i cristiani scendevano nell’arena accettavano e ribaltavano quelle regole. Nell’ultimo capitolo l’autrice esamina le note testimonianze pagane di Epitteto, Luciano, Galeno, Marco Aurelio e Celso sulla morte cristiana ed è ovvio che ci si riferisce a una morte pubblica. La conclusione più immediata è che queste morti attiravano l’attenzione e ponevano problemi di natura filosofica e politica. Gli intellettuali pagani si chiedevano in fondo: perché vanno a morire così? Sulla base di quale motivazione teorica accettabile? E quali possono essere le conseguenze sullo stato di un tale atteggiamento (domanda specifica di Celso)? Viene confermato il valore eversivo della morte del martire e su questo piano siamo a una lettura sostanzialmente corrente. Le testimonianze pagane consentono all’autrice, dal suo punto di vista, di ribadire le linee portanti della sua analisi: i martiri sono la tipologia di cristiani forse meglio conosciuta dal cittadino romano e il loro comportamento nell’arena sovverte i correnti modelli di pensiero. Le loro virtù mostrate nell’arena anche attraverso il linguaggio del corpo rovesciano quelle tradizionali e fanno appello a facoltà diverse da quelle dell’uomo di cultura che privilegia la razionalità e l’austerità. Ma in un’epoca in cui il filosofo Peregrino, per un periodo anche cristiano, organizzava il suo spettacolare suicidio a Olimpia come coronamento della sua carriera, questo linguaggio era forse più efficace di quello dei filosofi. E Luciano che ne riporta con atteggiamento beffardo le vicende è, secondo l’autrice, l’autore pagano che forse meglio ha capito come la società stesse cambiando. Pur ridicolizzando i cristiani anche per la loro credenza nella risurrezione, è come se egli capisse che il mondo andava nel senso di tali follie. Le testimonianze pagane però poco ci spiegano come i cristiani andassero a morire, a parte parzialmente gli avverbi di Marco Aurelio; ci dicono piuttosto quali aporie le persone colte vedevano nella loro scelta, i punti deboli che scorgevano nella loro concezione della vita e della morte. Sotto questo aspetto esse non completano, ma contrastano il profilo del martire come l’autrice ha inteso delinearlo, non solo testimone di una spiritualità alternativa e di una passiva resistenza al supplizio, ma attivo interlocutore, anche nel momento supremo della morte, di una società nella quale era pienamente inserito e dalla quale tendeva a distaccarsi rielaborando i suoi stessi modelli. Forse un maggiore approfondimento di questo punto avrebbe giovato a un saggio stimolante che unisce un metodo rigoroso a una notevole capacità di informare in modo critico e contribuisce certamente a vedere un fenomeno come il martirio del II secolo con occhi meno moderni e nel reale contesto della sua epoca.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 4
(http://www.ilregno.it)
Sanguis martyrum semen christianorum: Anna Carfora affronta con una modalità d'?indagine nuova l?'antico tema dell'?influsso della testimonianza martiriale, ipotizzandone la mediaticità e arrivando a positivi esiti nella ricostruzione dell?'impatto di tale comunicazione sul popolo, sulla politica, sulla cultura pagana e all ?interno delle stesse comunità cristiane. Il tema non è nuovo, (11-17), però mai era stato portato ad oggetto precipuo di una considerazione tematica. L?'autrice inoltre è meno interessata a rilevare la dimensione quantitativa in riferimento al proselitismo, tipico dell?'approccio tradizionale che si è prestato nel corso della storia ad un uso acritico (20); piuttosto ricerca la dimensione qualitativa e cioè la dinamica comunicativa del martirio, la sua potenzialità di persuasione e produttività (26).
Nuova risulta soprattutto la domanda con cui l?'A. accosta e fa dialogare le diverse fonti tra loro. Il periodo di analisi si concentra sulla «fase evolutiva più interessante» (10) dove troviamo anche una felice congiuntura di fonti sia pagane che cristiane (9-11), lasciano fuori quindi il periodo delle grandi persecuzioni. La ricerca presenta cinque capitoli. Nel primo capitolo (19-28) la studiosa si cimenta con l?'approccio tradizionale al tema ? che va fatto risalire alla celebre espressione dell?'Apologetico di Tertulliano ? ma anche con i motivi della sua messa in crisi. Nel secondo capitolo (29-49) la visibilit à del martirio viene ricostruita tramite lo studio dei giochi gladiatorii. Vengono presi in considerazione la collocazione degli stadii, i tempi e le modalità delle condanne, il numero delle persone presenti, il ruolo dei noxii ?nel quale rientravano i martiri cristiani. L?'A. offre vivaci ricostruzioni nello spiegarci la spettacolarità dei giochi come occasione di prestigio politico dell?imperatore e di comunicazione prettamente visiva di questo con le masse. Il terzo capitolo (51-71) mette a fuoco meglio tale funzione politico-sociale dei giochi. Essi furono un chiaro strumento di governo ed ebbero un ruolo strategico nel processo di romanizzazione dell?impero, soprattutto nelle province multietniche.
Con lo studio della ripartizione dei posti, della funzione delle acclamazioni, la studiosa evidenzia le dinamiche sociali, il ruolo della folla, la sua manipolazione ma anche la sua possibilità di pressione sociale, insomma «l?esercizio di un potere che si basa sul vedere e far vedere» (62). In quanto valvola di sfogo e di canalizzazione della violenza in tempo di pace (64- 65), tali spettacoli implicavano esecuzioni capitali dei noxii, pene di cui l?A. analizza gli elementi (retribuzione, umiliazione, correzione, prevenzione, deterrenza). Ne emergono belle analisi sull?'uso politico del corpo e sul suo fattore spettacolare e religioso soprattutto quando collegato con la messinscena mitologica così da assumere valenza sacrificale. La studiosa mostra che i giochi non furono puro divertimento, ma un complesso paradigma in cui i martiri entrano con un ruolo di sovvertimento che avviene secondo categorie di impatto mediatico (71) offrendo di fatto ampia pubblicità al cristianesimo.
Nel quarto capitolo (73-123) la studiosa considera l?efficacia e la modalità comunicativa del martirio all?interno della vita ecclesiale in cui tali racconti ebbero un uso liturgico, pastorale, catechetico, esortativo ed edificante. I tradizionali temi teologici del martirio vengono riletti alla luce del contesto ambientale e della visibilit à in cui avveniva la condanna: così gli elementi quali l?imitazione e la ri-presentazione di Cristo, l?'assimilazione a lui, la terminologia eucaristica, l?uso tecnico del termine martyria (84-97) intesa come parrhesia e homologia, mostrano in modo nuovo il carattere epifanico della testimonianza martiriale e si comprendono meglio se collocate nel contesto di una «estetica della testimonianza» (96) e della sua plasticità scenica: «al di là di ogni forma di confessione verbale di fede qui si impone l?'evidenza plastica, persuasiva e mediatica dell?identificazione di Blandina [con Cristo]» (96).
L?'A. diventa una vera e propria regista quando ricostruisce, senza tradire la metodologia scientifica, lo spazio a tre dimensioni dell?anfiteatro e ci fa ascoltare le grida, ci fa vedere i gesti, i movimenti, le forme, i colori, gli sguardi, ci fa sentire gli odori, ricostruendo la dinamica dei giochi e dando ruoli agli spettatori, agli attori e agli organizzatori dello spettacolo. Carfora non si lascia sfuggire nulla delle indicazioni provenienti dai testi letterari per ricostruire la scenografia di un dramma che è sociale, politico, religioso e anche psicologico. Perché il martire diventa messaggio tramite il suo corpo più che tramite quello che dice. A riscontro dell?impatto della morte dei martiri così forte da suscitare una reazione, per quanto differente, nei diversi strati sociali, l?A. nell'?ultimo capitolo (125-142) del volume studia la reazione degli intellettuali pagani. Si tratta di una fonte interessante e piuttosto consistente che consolida le ipotesi avanzate: Epitteto, Celso, Galeno, Luciano, Marco Aurelio. Per alcuni di questi gli unici cristiani conosciuti sono i martiri; da altri trapela la motivazione che porta i cristiani al martirio e che implica il senso nuovo dato essi alla sofferenza, alla morte e alla corporeit à (118-123). Da tutti viene indirettamente confermata la rilevanza sociale, politica e culturale del martirio cristiano e l?efficacia dell?influsso che la ?teatralit à? (parataxis) del martirio è capace di esercitare sulle coscienze al punto che alcuni temono una ricaduta politica negativa: «se i giochi svolgono una funzione politica, se veicolano l?'ideologia del potere imperiale e fungono da elemento di coesione e fattore di compattezza per l?'Impero, se al loro interno la morte del condannato non solo deve ristabilire un ordine sociale e religioso che è stato infranto, ma deve spettacolarizzare l?azione deterrente con la mortificazione del condannato stesso e il trionfo del potere, la tragodia dei martiri vanifica l'?intenzionalità politica delle esecuzioni stesse» (139).
Ne emerge un quadro vivo delle modalità in cui i martiri, inserendosi nel meccanismo ludico e mediatico, interagendo con le folle e le strutture di quello stesso potere che doveva uscire dai giochi rafforzato, ne abbiano invece incrinato le finalità, contribuendo alla notorietà del cristianesimo e alla cristianizzazione dell'?impero.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 2/2011
(www.rassegnaditeologia.it)
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