Teologhe in Italia. Indagine su una tenace minoranza
(Oi christianoi - Sezione moderna e contemporanea)EAN 9788861241015
Due volumi di diverso impianto, che affrontano il medesimo tema e risultano utilmente complementari nell’illustrare l’ormai consolidata presenza femminile negli studi e nell’insegnamento della teologia. Un dato acquisito, e però ancora relativamente recente, tanto da mantenere quasi un timbro di novità e l’eco di attese lungamente sopite, di perduranti difficoltà pur nell’ottenimento della meta. Non a caso, il volume a più voci curato da Carfora e Tanzarella esordisce con il ricordo del 1970 – lontano, ma ancora iscrivibile nella memoria biografica di molte e molti –, quando Paolo VI proclamò «dottore della Chiesa» Teresa d’Avila e, pochi giorni dopo, Caterina da Siena: l’iscrizione nel catalogo dei dottori della Chiesa non era soltanto un tributo alla santità e alla dottrina di queste due donne, ma venne giustamente recepita come un’importante apertura, inedita, relativa alla «capacità» dottrinale delle donne in quanto tali. (1)
Nella sua lunga storia, la Chiesa cattolica non aveva largheggiato nell’elargire tale titolo, riservandolo a soli trenta grandi, la cui scienza e sapienza avevano illuminato e sorretto la fede ecclesiale: tutti chierici, tutti maschi. La costanza della tradizione era divenuta, intenzionalmente o meno, principio di esclusione: la bassissima probabilità che un uomo, anche se dotto e santo, potesse essere riconosciuto «dottore della Chiesa», aveva a che fare con il rigore della selezione di coloro che potevano aspirare a questo titolo, ma non con una preclusione legata al loro sesso. Si comprende dunque la rilevanza di quell’atto con cui la sacra Congregazione dei riti e poi Paolo VI, che ne accolse la sentenza, sancirono la fine di una secolare separatezza e il simbolico inizio di un tempo nuovo nel quale l’inclinazione religiosa delle donne non fosse confinata ai margini della «scientia Dei».
Dalla metà degli anni Sessanta, quando il Pontificio istituto biblico ammise anche i laici come uditori, e la Gregoriana aprì alle donne l’iscrizione all’Istituto di spiritualità (1966), la strada è in discesa: la costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus (rivista, secondo la linea conciliare, dalla Congregazione per l’educazione cattolica nel 1968; ndr) parla espressamente dell’accesso dei laici, uomini e donne, alle facoltà teologiche (2) e, ancora più incisivamente, l’apertura è ribadita dalla costituzione apostolica Sapientia christiana di Giovanni Paolo II (29.4.1979). L’affluenza delle donne agli studi teologici di livello accademico dopo i primi timidi passi (3) si presenta certo minoritaria, ma non episodica; soprattutto, consapevole, determinata, spesso entusiasta: una rimonta forse prevedibile, alla scoperta di un continente inesplorato e fino ad allora impenetrabile, ma comunque tale da movimentare le stanze della teologia con la sola loro presenza e forse con nuove domande. A questa stagione pionieristica del tardivo e spesso faticoso ingresso delle donne in teologia in veste di discenti, ha fatto necessariamente seguito – e con problemi per certi versi maggiori – la stagione successiva, nella quale dal possesso di titoli canonici conseguiti al termine di un percorso di studio, o di altri titoli spendibili in istituzioni accademiche ecclesiastiche, una porzione di questa utenza è passata a incarichi di docenza.
O ha aspirato a farlo, o si è dedicata – magari al di fuori di un contesto professionale a tempo pieno – alla ricerca in questo o quel campo della teologia, pubblicandone i risultati. Il testo di Carfora e Tanzarella è precisamente, puntualmente dedicato a questa «tenace minoranza» che fra molte difficoltà è riuscita a coltivare il lavoro teologico e la produzione scientifica, con particolare riguardo ai luoghi istituzionali: facoltà teologiche, pontificie e non, studi e istituti teologici. (4) Alcuni dati macroscopici: nelle facoltà teologiche italiane, rispetto al totale dei docenti, le donne sono circa il 10,4%; poche di esse, peraltro, insegnano discipline strettamente teologiche. Gli istituti teologici mostrano una percentuale che si aggira intorno all’8,4%; gli studi teologici intorno al 6%. Negli Istituti di scienze religiose, invece, la presenza femminile sarebbe più massiccia (cf. 16 e, per i dati quantitativi della mappa attuale, i due contributi di A. Marini Mansi ed E. Cianci, 137-180).
Insieme all’indagine statistica – non esaustiva, ma di sicuro interesse – sulla presenza femminile nelle istituzioni, il volume si propone di «tracciare un quadro ragionato dell’apporto delle donne alla teologia» e di «operare una prima ricognizione, suddivisa per ambiti disciplinari, della produzione teologica femminile in Italia»: l’ottica non riguarda dunque la sola teologia femminista, ma la produzione teologica a tutto campo, dall’esegesi all’ecclesiologia, dalla teologia morale a quella spirituale, alla sistematica, alla liturgia, all’ecumenismo, alla teologia pastorale, alla patrologia, alla storia ecclesiastica, all’arte cristiana. Per ciascuno di questi ambiti viene tentato un provvisorio ma aggiornato bilancio sul contributo delle donne al panorama teologico italiano, giudicato nell’insieme significativo, talora originale, ma anche scarsamente recepito. La non perfetta simmetria fra i singoli saggi che compongono il volume fa sì che per alcuni ambiti (si veda il saggio di A. Guida sull’esegesi al femminile nell’ultimo ventennio, quello di G. De Vecchi sulle teologhe morali o quello di D. Del Gaudio per l’ambito antropologico) si dia conto, utilmente, anche delle figure e delle pubblicazioni più accreditate, sostanziando così il panorama di precisi riferimenti, mentre per altri settori si fornisce piuttosto un bilancio dei temi più frequentati dalla ricerca delle donne o – utile esso pure – un quadro delle principali iniziative, associazioni, testate di riviste, ove le donne sono ben rappresentate. Aprendo il volume di Cettina Militello, si riesce a portare a distanza ravvicinata quella «foto di gruppo con teologhe» che nel precedente volume poteva qua e là rimanere sfocata. Vi sono raccolte ventisette interviste ad altrettante teologhe, italiane e non, che l’autrice aveva proposto su Vita pastorale alcuni anni or sono. Il trait d’union, con pochissime eccezioni, è anagrafico: le donne che qui conversano con Cettina Militello sono, come ella dice, «figlie del Concilio», nate dopo di esso o comunque troppo piccole per averlo vissuto in prima persona: tutte però segnate dall’incontro con i testi e con il clima ecclesiale di anni ancor pregni del portato conciliare, cui devono, in modi svariati, il loro fruttuoso incontro con la teologia. (5)
La chiave dell’intervista rende l’opera oltremodo sciolta, leggibile, accattivante. Ma, nella precisione delle domande, dirette sia a illustrare il percorso di vita sia gli interessi e gli orientamenti teologici e l’impegno ecclesiale, anche questo volume può essere considerato un «bilancio» che si affianca al precedente e completa con ulteriori tasselli il costante impegno di Cettina Militello e dell’Istituto Costanza Scelfo a raccogliere di tempo in tempo la dispersa ricchezza della riflessione teologica femminile: si pensi ai due volumi Donna e teologia. Bilancio di un secolo (EDB, Bologna 2004) e Il Vaticano II e la sua ricezione al femminile (EDB, Bologna 2007), che rispecchiano gli omonimi «Colloqui» organizzati dall’Istituto. Le schede biografiche e bibliografiche in calce alle singole interviste aggiungono alla vivezza di questi «volti e storie» il pregio non trascurabile del documento che sintetizza le identità. È scritta invece in prima persona, in chiusa al volume, una bella «autobiografia spirituale» di Maria Teresa Garutti Bellenzier (classe 1928), fra le più note protagoniste, prima e dopo il Concilio, della promozione culturale e spirituale delle donne.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2010 n. 18
(http://www.ilregno.it)
_______________________________
(1) La lettera apostolica Multiformis sapientia Dei è del 27.9.1970; la lettera apostolica Mirabilis in Ecclesia Deus del 4 ottobre dello stesso anno. Risale invece al 20.12.1967 la seduta della sacra Congregazione dei riti che sciolse la riserva intorno alla capacità dottrinale delle donne (cf. Teologhe in Italia, 5-6).
(2) Accenni alla storia precedente alle pp. 8 e 137-138: a fronte dell’esclusione accademica, esistevano alcune esperienze minori, quali il Pontificio istituto «Regina Mundi» (dal 1954), per sole donne (essenzialmente religiose), o la scuola superiore di Teologia per laici finalizzata alla preparazione degli insegnanti di religione (1960).
(3) Cf. la testimonianza di M. Luisa Rigato, p. 8, prima immatricolata al Biblico. Più ampiamente, la stessa Rigato è intervistata in MILITELLO, Volti e storie. Donne e teologia in Italia, 42-52.
(4) Sui criteri della ricerca, condotta a più mani all’interno dell’Istituto di storia del cristianesimo della Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, vedi le pp. 9-18 e, per la parte statistica, le pp. 137-143.
(5) I nomi delle intervistate: Carla Ricci, Elena Velkova Velkovska, Elena Lea Bartolini, M. Luisa Rigato, Serena Noceti, Marinella Perroni, Teodora, Margherita Maria e Teresa Francesca Rossi, Cristina Carnicella, Nuria Calduch Benages, Cristina Simonelli, Daria Pezzoli Olgiati, Lilia Sebastiani, Stella Morra, Carmen Aparicio Valls, Morena Baldacci, Letizia Tomassone, Valeria Ferrari Schiefer, Maria Campatelli, Benedetta Selene Zorzi, Marcella Farina, Manuela Terribile, Silvana Manfredi, Gabriella Clara Aiosa, Sandra Mazzolini, Adriana Valerio, Valeria Trapani, Miriam Diez Bosch.
Donne e teologia: un binomio sempre meno insolito da quando, all’indomani della conclusione del Vaticano II, si sono aperte anche per loro le porte delle Universit à e degli Atenei pontifici. In oltre quarant’anni la loro presenza nelle Facolt à teologiche ha registrato una crescita costante che corrisponde oggi a una media superiore al 10% del totale degli studenti, mentre la percentuale delle docenti teolo ghe si attesta intorno al 6%. Dati che rappresentano un punto di partenza obbligato per avviare un approccio realistico e meno retorico al tema, e per tracciare un quadro, sia pure approssimativo, che consenta di dar conto dell’apporto delle donne non soltanto per ciò che riguarda la teologia femminista, ma per ogni tipologia di produzione teologica femminile.
La ricerca curata da A. Carfora e S. Tanzarella è frutto di un lavoro condotto in un seminario di studi promosso dall’Istituto di Storia del Cristianesimo della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Sez. San Luigi) a cui hanno collaborato ricercatori e docenti in vario modo appartenenti o collegati all’Istituto o più in generale alla Facoltà. L’intento è quello di offrire una prima e parziale ricognizione, suddivisa per ambiti disciplinari, della produzione teologica femminile in Italia, con particolare attenzione ad alcuni temi prevalenti, anche allo scopo di verificare se esistono campi di interesse comuni e condivisi. L’esposizione è preceduta da un contributo di N.Rodinò e C. Taddei Ferretti che traccia una retrospettiva storica e una visione di insieme a partire dalla turbolenta stagione postconciliare segnata dai ben noti mutamenti socio-culturali. Sono gli anni in cui le prime donne, laiche e religiose, cominciano a studiare nelle Facoltà teologiche animate dal desiderio di poter partecipare, con strumenti appropriati, alle sfide dell’epoca. Per loro si trattava quasi sempre di intraprendere una strada in salita e piena di incognite, senz’altro più accidentata di quella prevista per i loro colleghi maschi.
In quel periodo gravido di prospettive, dopo il «primo femminismo, rivendicativo, e all’interno del secondo femminismo, che evidenzia il valore della differenza, maturava un femminismo» (22) meno ripiegato su se stesso e più disponibile al dibattito su tutti i fronti. Nel primo articolo, A. Guida individua alcuni punti cruciali nel campo dell’esegesi e della teologia biblica, premettendo un’opportuna distinzione, mutuata da M. Perroni, «tra una lettura “del femminile “, una lettura “al femminile” e una lettura “femminista” della Scrittura» (30). L’autrice lamenta che la presenza delle esegete in Italia, rispetto a quanto avviene altrove, non è ancora sufficientemente organizzata e risulta quindi poco incisiva. N’ Salato prova a ricostruire i tratti salienti di un pensiero ecclesiologico al femminile (Ecclesia in foemineo modo) tenendo conto della produzione delle donne in questo campo, in particolare per ciò che riguarda il loro contributo ai temi della laicità e al rapporto tra carisma e ministeri. Anche in questi ambiti, solitamente più esposti e delicati, le donne non hanno fatto mancare la loro voce che spesso traduce una sensibilità oggi più che mai necessaria per una Chiesa che intenda presentarsi con un volto credibile.
Il contributo di G. De Vecchi evidenzia come il Vaticano II abbia posto le premesse indispensabili per una rinnovata impostazione della teologia morale, fatta propria anche dalle .moraliste. italiane che, benché meno numerose rispetto a quelle di altre discipline teologiche, si scoprono accomunate per affinità di approccio prima che per condivisione di temi. L’A. poi, quasi per giustificare una presenza anonima che oltrepassa i confini accademici, introduce l’interessante categoria di .cristiane scientifiche.: donne «che nel quotidiano si occupano di filosofia o di medicina o di scienze sociali (e così per tutti gli ambiti del sapere) e che sanno coniugare il metodo epistemologico del proprio campo di ricerca con quello della Teologia» (58). Nell’ambito dell’antropologia teologica, secondo quanto rileva D’ Del Gaudio, la produzione "al femminile" si è concentrata in particolare sulle questioni relative al genere, con alcune significative incursioni nei settori della teologia della creazione, della grazia, della corporeità, della bellezza, del dialogo, per non parlare di qualche saggio sul pensiero antropologico di alcune figure del XX secolo, come Edith Stein, Luigi Pareyson e Giovanni Paolo II.
Lo studio di F. Asti delinea il panorama della teologia spirituale, soffermandosi soprattutto sul fenomeno delle madri spirituali che sono in numero maggiore rispetto alle donne direttamente impegnate nell’ambito accademico. D’altra parte, se «la teologia spirituale non è solo riflessione critica sul dato rivelato vissuto in una esistenza concreta, ma è soprattutto itinerario di santità» (71), risulta fondamentale accostare gli scritti di molte donne che nel loro contesto culturale, sociale ed ecclesiale hanno lasciato percepire la "loro" esperienza di Dio. C. Taddei Ferretti prende in esame l’apporto teologico offerto dalle donne all’ecumenismo. Non solo quello delle donne cattoliche, ma anche di coloro che appartengono ad altre confessioni: tutte attivamente coinvolte anche nella prassi ecumenica. In tal senso, non si può non ricordare colei che è stata definita madre dell’ecumenismo in Italia, Maria Vingiani, che nel 1947 ha fondato il Segretariato Attività Ecumeniche (SAE), una realtà laica con una propria autonomia. Riguardo alla presenza di teologhe nel settore della liturgia, B. Saiano fa notare come, malgrado tutte le affermazioni di principio, il loro numero, in particolare in Italia, rimanga ancora piuttosto esiguo.
Anche in questo caso le ragioni sono molteplici e non soltanto di natura teologica. Ciò nonostante, dal momento che la liturgia costituisce uno dei luoghi più espressivi dell’essere chiesa oltre che uno dei più sintomatici per testare le aperture promosse dal Concilio, occorre interrogarsi se la loro quasi assenza sia una spia che deve preoccupare. Il contributo di F. D’Andrea si limita a illustrare il lavoro di una sola teologa pastoralista, Aurora Sarcià, i cui interessi vertono quasi esclusivamente sulle CEB (Comunit à ecclesiali di base) con particolare riferimento al ruolo in esse svolto dai laici e dalle donne. La scelta di presentare quest’unica esperienza mostra in tutta evidenza come anche questo settore della teologia sia ancora appannaggio maschile. Aprendo il contributo delle donne allo studio della patrologia, M. B. Durante Mangoni precisa subito che quest’ambito di ricerca non è esclusivo della teologia, ma è strettamente legato alla letteratura cristiana antica e perciò, l’autrice sceglie di esaminare anche i lavori di alcune docenti nelle Università statali, particolarmente sensibili e attente ai temi teologici.
A. de Luzenberger mostra, nel suo articolo, come sono sempre più numerose le donne che si occupano di Storia del Cristianesimo e della Chiesa, svolgendo ricerche su temi molto diversificati e non necessariamente intrecciati con quelli, peraltro mai trascurati, inerenti ai women’s studies, più interessati ad approfondire il rapporto spesso travagliato tra donne e istituzione ecclesiastica. Viene inoltre segnalata la qualificata presenza femminile nelle riviste specializzate di questo settore e anche il loro costante aumento come docenti, ma soltanto nei circa settanta Istituti Superiori di Scienze Religiose sparsi sulla penisola. Infine, S. Proniewicz propone un interessante incontro tra arte, teologia e spiritualit à nell’approccio elaborato da Yvonne zu Dohna, che insegna dal 2003 presso la Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Il testo si chiude con un’indagine statistica, condotta da A. Marini Mansi ed E. Cianci, relativa alla presenza delle teologhe nelle istituzioni accademiche ecclesiastiche. L’analisi, pur senza pretese di esaustività e procedendo per .carotaggi., evidenzia elementi utili per ulteriori riflessioni. Oltre alla constatazione che sono ancora poche le donne che insegnano discipline teologiche (fatta eccezione per il Marianum che registra una presenza maggiore dovuta probabilmente al carattere peculiare di questo Istituto), l’indagine segnala che le religiose costituiscono una minoranza nella minoranza. Anche le donne laiche tuttavia, insieme ai maschi laici più numerosi, risultano in netta minoranza rispetto ai chierici e ai religiosi.
La questione che riguarda le donne quindi, non va disgiunta da quella più generale che tocca i laici e il loro “posto” in teologia che rimane sostanzialmente precario. Del resto, ciò sembra confermare un trend regressivo registrato anche nella prassi pastorale che, rispetto a un recente passato, confina i laici entro compiti ben circoscritti e subordinati. I contributi offerti in questa ricerca risultano evidentemente differenti, non soltanto per ambito tematico e approccio metodologico, ma anche per qualità di approfondimento e audacia di prospettiva. Buona la scelta di accostare alcune voci maschili a quelle femminili: atto, a quanto pare, non richiesto dal politically correct, ma che attesta invece un percorso comune che, mentre registra i passi compiuti, non sempre così scontati, accetta le sfide poste non soltanto alle teologhe, ma alla teologia. Questa indagine perciò, va accolta come un atto di riconoscenza per quella che si conferma una “tenace minoranza“ - ci auguriamo sempre più tenace e sempre meno minoranza - ma, al contempo, essa rappresenta un monito di consapevolezza per tutti. Del resto, sarebbe davvero strano che le nostre comunità cristiane, popolate per la stragrande maggioranza al femminile, rimanessero prive della voce e del vissuto di tante donne, teologhe e non.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2011
(www.rassegnaditeologia.it)