Il decisivo tema della responsabilità morale è ben affrontato dall’ultimo volume di F. Miano. L’A., sviluppando le sue competenze sull’etica contemporanea, disegna un’interessante ricostruzione del dibattito intorno a questa significativa categoria antropologica. Come viene messo in luce nelle parti introduttive, il tema della responsabilità nella riflessione filosofica, pur non avendo un’origine novecentesca, trova il suo massimo sviluppo proprio nel XX secolo. Anzi, come segnala l’A., la fioritura contemporanea di una ricca riflessione morale «ha al suo centro la nozione di responsabilità» (12).
Su questo versante certamente un posto significativo occupa il confronto che la filosofia ha istituito con il paradigma scientifico e con gli effetti e mutamenti che l’avanzare del progresso tecnologico ha messo in atto. La riflessione etica ha aiutato persino la filosofia a ridefinire il proprio statuto epistemologico in direzione di un riconquistato legame con la dimensione sociale, con quella esistenziale e con le problematiche dello sviluppo umano. Per questa via, filosofia e prassi, vita e storia, tornano a riconnettersi in modo originale e fecondo, rispondendo a quella ingiunzione antropologica originaria e costitutiva per la scienza dell’agire rappresentata dalla sua tessitura attorno alle umane domande di senso e al procedere storico-comunitario del nostro ineludibile essere-con altri.
Il testo è organizzato in modo da facilitare un progressivo approfondimento storico-tematico, modulato attorno alle esperienze speculative più importanti di questa riflessione sull’agire: da Husserl, Heidegger e Jaspers alla Arendt; dalla teologia della parola di Barth a Bultmann e al cristianesimo resistente di Bonhoeffer; dalla filosofia del dialogo di Buber alla riflessione sull’alterità operata da Levinas; dall’euristica della paura di Jonas alla critica della tecnica di Anders; dal paradigma discorsivo di Apel e Habermas alla tematizzazione del riconoscimento in Ricoeur e alle aporie della responsabilità di Derrida. In tutto nove documentati capitoli e un utilissimo apparato bibliografico di base, seguito da un breve glossario. Il secondo capitolo si riferisce, in apertura, al luogo da cui prende concreto avvio la discussione attorno al tema della responsabilit à in senso morale.
Si tratta ovviamente delle indicazioni che Max Weber ha consegnato alla riflessione etica del Novecento a partire dalla famosa conferenza del 1919 La politica come professione. In quella sede, nelle parti conclusive, il famoso pensatore aveva abilmente distinto l’etica della convinzione (detta anche dell’intenzione) dall’etica della responsabilit à. La prima, secondo il filosofo, perseguirebbe il fine considerato come buono senza preoccuparsi degli effetti primari e secondari che questo produce. Essa corrisponde all’agire razionale rispetto al valore (tipica di quanti si lasciano intransigentemente orientare da un qualsiasi riferimento ideale o assoluto). La seconda, invece, usa paradigmaticamente il riferimento alle conseguenze dell’agire per definire i contorni della valutazione morale (preoccupandosi del rapporto mezzi-scopo e degli effetti che la scelta produce). Nel settecento Wolff (Filosofia pratica, I, § 527) aveva definito il senso della responsabilità come "imputazione", ovvero come il giudizio per mezzo del quale qualcuno è considerato come autore libero di un fatto, definizione poi ripresa da Kant.
Successivamente Hamilton ne diede un significato politico. Ma saranno le dispute sul concetto di libertà in ambito anglosassone a inaugurarne un uso vicino a quello novecentesco (di tipo weberiano). Va sottolineato il fatto che la responsabilit à diventa sempre più una categoria in uso nella riflessione morale attraverso l’intreccio con il plesso teorico libertà-scelta. Infatti è su una specifica concezione della libertà e delle conseguenze del suo esercizio che l’età contemporanea ha fatto della responsabilità un vero è proprio principio fondante dell’etica. Jonas in anni recenti ha cercato di sostituire al consunto imperativo categorico kantiano, stimato come poco aperto alla riflessione sulle conseguenze dell’agire e alla finitezza umana, un imperativo che assegna il primato non all’uomo in astratto ma alle generazioni future. Queste ultime, infatti, subiranno gli effetti cumulativi della strapotere dell’homo tecnologicus. In questa chiave l’etica si arricchisce della proiezione al futuro, anche di coloro che ancora non abitano quello spazio datoci come dono che è la terra.
Pertanto la responsabilit à è intesa come cuore di una morale attenta alla relazione, anzi fa della relazione l’elemento su cui si gioca il con-essere e l’autenticità del singolo. Come sottolinea l’A., riferendosi alla speculazione di Jonas, «l’accresciuto potere dell’uomo in campo tecnologico, ha determinato mutamenti così radicali e significativi, che l’etica tradizionale non è più in grado di interpretarli e tantomeno di offrire indirizzi e principi adeguati rispetto ad essi» (113). La violazione della natura e dell’essere impone la ricerca di un argine etico al potere tecnico-scientifico e all .opera di civilizzazione che rischia di ritorcersi contro l’uomo stesso, compiendo quel paradossale ribaltamento già indicato dai francofortesi come dialettica dell’illuminismo. Così «la preoccupazione per il futuro determina in radice l’orientamento dell’etica e ne definisce gli imperativi irrinunciabili: "noi non abbiamo il diritto di scegliere o anche solo rischiare il non-essere delle generazioni future in vista di quelle attuali.» (122). Questi riferimenti a Jonas permettono all’A. di avanzare alcune considerazioni utili, a nostro parere, per la generale considerazione dell’etica oggi: «il nuovo imperativo ha carattere pubblico, collettivo, ha carattere politico» (123).
L’etica deve tornare a ritessere i legami con la sua coessenziale dimensione pubblica. Uno dei grossi problemi teorici legati alla crisi dell'etica nelle società post-secolari, infatti, riguarda la diffusa convinzione circa la .privatezza. dell’orizzonte morale. È vero che le scelte sono sempre avanzate dai singoli in autonomia, ma è ingiustificato pensare che queste non abbiano almeno una qualche rilevanza relazionale, comunitaria, pubblica e storica. Insomma, l’altro nelle sue forme e nei suoi modi ci inchioda alla responsabilità delle nostre azioni. Scegliere è sempre scegliere con l’altro, per l’altro, in vista dell’altro. Solo una malintesa autonomia può pensare che l’uomo possa svincolarsi dal legame di responsabilità e cura che ci lega a una comune vicenda. La responsabilità, come viene avocato nelle pagine su Derrida e le aporie della responsabilità (176ss), non è platonicamente da riferirsi solo a un oggetto lontano come il bene trascendente (o a una assiologia più o meno dogmaticamente accettata), ma diventa carattere naturale dell’essere personale, disposizione a una libertà per l’altro o per il riconoscimento dell’altro, della sua indisponibilità, della sua unicità.
Il testo di Miano, alla cui lettura abbiamo qui troppo lapidariamente invitato, è un considerevole strumento per incamminarsi sulla via difficile della riflessione sulla responsabilità umana, con il suo carico di angosciante provocatorietà e la sua liberante dottrina non retorica del primato dell’altro. Proprio perché dire responsabilità, in fondo, è dire libertà; agire secondo responsabilità è esercizio e sentiero di autenticità. Interessante anche la tematizzazione fatta da Mounier della libertà, che il testo riporta sul finale (184): «L’uomo libero è un uomo che il mondo interroga e che al mondo risponde: è l’uomo responsabile». L’avventura della responsabilità segna dunque in vario modo il destino del soggetto morale e della stessa convivenza comune. «La responsabilità incombe su di me - scrive l’autore riferendo del primato dell’altro in Levinas - e io non posso rifiutare perché in questa responsabilità è la mia inalienabile identità di soggetto. Sono me nella misura in cui sono responsabile»! (145). In chiusura di questa breve recensione, non potendo entrare nel dettaglio dell'opera, ci pare opportuno evidenziare il fatto che l’idea di responsabilità risulta, in ultima analisi, un buon punto di incontro tra i vari approcci contemporanei alla morale.
Nonostante la proclamata incapacit à fondativa dell’attuale filosofia pratica, avanzata da tante teorie postmoderne e dalle scienze sociali, si può convenire che il tema della responsabilità, come l’autore a nostro modo di vedere propone in filigrana, non solo rende meno radicali le separazioni tra i paradigmi dell’etica contemporanea (anche di quelli che programmaticamente sono sviluppati come alternativi: da una parte il neoaristotelismo, dall’altra il neokantismo), ma è in grado di arricchire la riflessione morale centrandola sul valore strutturale dei legami per la vita dell’uomo. Peraltro porre al centro le relazioni aiuta a sciogliere alcune aporie conseguenti alla stilizzazione della differenza tra teleologia e deontologia morale, ridando così pieno senso al fenomeno della cosiddetta riabilitazione della filosofia pratica degli ultimi decenni.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 3/2011
(www.rassegnaditeologia.it)
-
10,00 €→ 9,50 € -
10,00 €→ 9,50 € -
10,00 €→ 9,50 € -
8,00 €→ 7,60 € -
5,00 €→ 4,75 €