Quale intelligenza della fede cristiana?
-Con il testo integrale e traduzione del De Aeternitate mundi di Tommaso d'Aquino
(Eccedenza del passato)EAN 9788860261274
Il tema del lavoro, come nota anche la Prefazione di Pasquale Giustiniani, è una riflessione sull’opuscolo di Tommaso d’Aquino, De aeternitatae mundi, scritto negli anni 1270-1271, verso la conclusione del secondo soggiorno parigino. Attingendo all’edizione critica leonina, tomo 43, Antonio Tubiello, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Capua, ne offre una bella versione in lingua italiana. Il testo latino, con la traduzione a fronte, è preceduto da un accurato e ampio lavoro di Introduzione, dove l’autore focalizza anzitutto l’orizzonte epistemologico che muove l’Angelico rispetto al depositum fidei (pp. 15-22); ripercorre poi la genesi storica del documento (pp. 22-28); successivamente enuclea i passaggi della riflessione di Tommaso in ordine alla possibilità di un’eternità del mondo (pp. 28-45). Tommaso d’Aquino († 1274), convinto della necessità di un nuovo orizzonte speculativo, diverso da quello della tradizione, si propone, com’è noto, di raccogliere il genuino testo aristotelico e depurarlo da tutti gli elementi estranei, e ciò al fine di fondare un cammino di ricerca filosofica concordante con la “verità” cristiana e propedeutico alla conoscenza teologica.
Importante, per quanto riguarda il controllo testuale sull’originale greco, fu la collaborazione del confratello Guglielmo di Moerbecke, che traduce, o rivede per lui direttamente dal greco, il Corpus aristotelico e non pochi testi dei commentatori greci citati nell’opuscolo (Temistio, Alessandro di Afrodisia, Simplicio…); fu così possibile a Tommaso eliminare le sviste degli intermediari arabi e le loro versioni malsicure e profondamente influenzate dalla tradizione neoplatonica, per fondare una dottrina capace di dimostrare la coerenza delle verità della fede a chi non le accettasse e volesse procedere con il solo criterio razionale o logico-dialettico. L’Angelico opera una distinzione tra il piano della ricerca filosofica e quello della teologia, respingendo la piena reductio artium ad theologiam che era stata invece accolta anche dal suo contemporaneo Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274).
Tommaso è convinto che la ragione umana abbia diritto al suo specifico campo d’indagine, dove poter procedere col solo lume dell’intelletto. La “pretesa” dei teologi d’imporre alla filosofia i contenuti della rivelazione è, pertanto, erronea, anche se la ragione finita, da sola, non è in grado di comprenderne propter quid i contenuti. Ciò significa che i due ambiti vanno nettamente distinti, e separati i loro metodi e strumenti: «La ragione ha certamente l’attitudine metafisica ad afferrare la verità dell’essere, ma non ha alcuna capacità di dischiudere interamente e definitivamente la dimensione di mistero implicata nella realtà, che solo una fede rivelata ex alto sarebbe invece in grado di manifestare in maniera adeguata» (p. 17). Siamo ben lontani da qualsiasi deriva gnostica o agnostica, come sostiene giustamente Tubiello, ma soltanto di fronte a «un sapiente e retto uso della ragione umana, che incontra nella fede rivelata una sua naturale alleata, per cogliere la verità nella sua pienezza, nella convinzione che la natura non sia negata, ma anzi completata dalla grazia divina» (ivi).
Forte di questo impianto teoretico, Tommaso affronta, con l’opuscolo De aeternitatae mundi, considerato da alcuni autorevoli interpreti il «punto più avanzato della riflessione metafisica di Tommaso» (ivi), il problema dell’eternità del mondo o il suo inizio nel tempo, e intende confrontarsi circa «l’effettiva possibilità di estendere il metodo della dimostrazione razionale persino a qualche fondamentale contenuto della rivelazione» (p. 18) come si riteneva all’epoca la tesi della creazione del mondo nel tempo, sulla scia della sacra Scrittura. L’Angelico offre una soluzione in contrasto col pensiero corrente (san Bonaventura), non escludendo, cioè, che sia possibile che il mondo universo, benché posto in essere da una Causa divina assoluta, sia eterno (quindi, infinito nella sua temporalità, seppur contingente nella sua ontologia).
Il suo intento non è solo mostrare come la ragione sia capace di dimostrare razionalmente la «compossibilità ontologica e logica» (p. 19) in base alla quale creazione significa anzitutto «dipendenza ontologica della creatura rispetto al Creatore» (p. 20) – il che rende compatibile l’esistenza di Dio creatore e il mondo ab aeterno –, ma anche di affermare come la ragione non possa oltrepassare i suoi limiti: «la creazione del mondo nel tempo non è una verità rivelabile, osserva Tubiello interpretando Tommaso, ma una verità rivelata […]; essa non è dimostrata, ne dimostrabile, da parte della ragione […] insomma è una verità di fede» (p. 19).
Dopo aver chiarito l’impianto epistemologico, Tubiello delinea il contesto storico e culturale in cui si colloca l’opuscolo tomano. Siamo nella seconda metà del XIII secolo, un periodo attraversato da una grande crisi dottrinale e da aspri scontri ideologici, che facevano capo a centri del sapere importanti come l’università di Parigi, nella cui Facultas artium i maestri proponevano posizioni radicalmente aristoteliche. Dal 1269 al 1272 Tommaso venne chiamato per la seconda volta come maestro in questo Ateneo, dove dovrà fronteggiare la difficile situazione venutasi a creare in quanto il clero secolare si opponeva all’insegnamento del clero regolare costituito dagli ordini mendicanti (Frati Minori e Frati Predicatori). In secondo luogo, sempre più stridente diventava il contrasto tra la linea agostiniana, portata avanti dai francescani (Bonaventura da Bagnoregio e altri) e la linea aristotelica “moderata”, sostenuta dai domenicani.
Infine, un’interpretazione di Aristotele, maturata nell’ambiente della Facoltà delle Arti, aveva dato luogo alla corrente detta “averroismo latino”, che su alcuni punti sembrava minacciare i fondamenti stessi della fede, come mostreranno i provvedimenti del vescovo di Parigi, Etienne Tempier. In questo clima, Tommaso comprende la necessità di «fare chiarezza sulla possibilità e le modalità ermeneutiche dell’utilizzazione di materiali aristotelici in campo teologico» (p. 25). Se con l’opuscolo filosofico De unitate intellectus, l’Angelico prende posizione contro l’interpretazione averroista del pensiero di Aristotele, con l’opuscolo De aeternitate mundi la sua attenzione è rivolta ai rappresentanti della linea agostiniana intransigente, definiti, dallo stesso Tommaso nella clausola di dedica dell’opuscolo presente in codici più tardivi, murmurantes i quali, sulla base di «“dimostrazioni” fragili e sommesse, destinate ad essere dileggiate ed irrise» (p. 27), sostenevano «la necessità logica prim’ancora che dottrinale e rivelata» (p. 26) della creazione del mondo nel tempo e, quindi, condannavano come eretica la possibilità di una creazione ab aeterno.
Contro questi anonimi oppositori, murmurantes appunto, Tommaso reagisce mostrando, sulla base di letture approfondite della filosofia della natura di Aristotele e, in particolare, del libro VIII della Fisica, la sua definitiva convinzione, ossia la possibilità, da un punto di vista razionale, di una creazione ab aeterno: «non solo la non eternità del mondo non è stata dimostrata, non solo non può essere dimostrata, ma un mondo eterno creato è possibile» (p. 27). Il secondo soggiorno di Tommaso a Parigi e il suo intervento sul tema dell’eternità del mondo, come su altri momenti del dibattito filosofico-teologico, non aiutò a rasserenare il clima di aspre polemiche, che continuò anche dopo la sua partenza da Parigi nell’estate del 1272.
Definito il contesto storico-dottrinale, Tubiello entra nel merito della riflessione di Tommaso, il quale esordisce così nell’opuscolo: «è stato insinuato il dubbio se esso sia potuto essere da sempre» (p. 48). Il dubbio, dunque, (dubitatio mota est) come punto di partenza dell’argomentazione proposta dall’Angelico, che però ha bisogno di essere precisato per avere una legittimità razionale. Molto acutamente Tommaso, e Tubiello lo evidenzia opportunamente, conoscendo le obiezioni provenienti da quella frangia di pensatori che sostenevano un’interpretazione rigorista della teologia di Agostino (che portava a ragionare dei rapporti tra Creatore e creatura solo in termini di essere e tempo), cerca di delimitare la questione dell’eternità del mondo, pur nella contingenza assoluta rispetto al Creatore, alla sola sfera logico-intellettuale.
Infatti, affermare l’eternità del mondo inteso come un principio altro, indipendente e, quindi, non prodotto direttamente da Dio, significherebbe cadere nell’errore, sia da un punto di vista logico che teologico: «la domanda, seppur razionalmente legittima, perderebbe ogni suo valore se identificassimo l’essere sempre stato di un qualcosa distinto da Dio con l’essere non creato o non causato da Dio» (p. 31). Viceversa, sarebbe del tutto legittimo chiedersi, ed è questa la posizione dell’Angelico, se «un ente distinto e diverso da Dio, ma da lui comunque creato e causato […] possa essere anche stato da sempre […], eterno» (ivi). Accolta la tesi creazionista, si tratta solo di verificare se i due asserti filosofici siano in evidente contraddizione o possano coesistere.
Muovendo con un sistema sillogistico, esamina anzitutto le ragioni che renderebbero i due asserti contraddittori. I motivi sono sostanzialmente due: «o Dio, per sua natura, non ha una potenza assoluta tale da poter creare o porre in essere qualcosa che sia da sempre; oppure […], è la creatura, in quanto fatta da un altro», che «non ammetterebbe di per sé di poter esistere da sempre» (p. 32). Escluso il primo motivo (nessuno, infatti, dubita dell’infinita potenza assoluta di Dio), l’argomentazione si concentra sul secondo, adducendo come luogo di possibile contraddizione altri due motivi: «o perché si nega l’esistenza eterna di una potenza passiva; o perché una tale ammissione implicherebbe una contraddizione sul piano dell’intelligibilità» (ivi).
Postulare l’esistenza eterna di una potenza passiva rispetto all’agente divino, ossia una materia prima eterna e del tutto indipendente da Dio, argomenta l’Angelico con lucida chiarezza, verrebbe a contrapporsi con la verità rivelata della creazione che «in quanto atto proprio dell’Essere assoluto, non presuppone nulla all’infuori dell’Agente creatore: soltanto il Creatore null’altro» (p. 33). Non è, perciò, ammissibile l’esistenza di una potenza passiva o materia prima, in quanto l’atto creativo di Dio è ex nihilo. Ma pur eliminando la teoria della potenza passiva, ciò non toglie, afferma Tommaso, che Dio possa aver creato ab aeterno qualche ente. Esempio di questa possibilità, è la creazione dell’Angelo, che è stato fatto pur non essendoci una materia preesistente.
L’eventuale contraddizione rimane, allora, solo sul piano logico-intellettuale: se la posizione fosse inaccettabile intellettualmente, sarebbe da ritenere falsa (cioè nulla); ma se non vi fosse contraddizione logica, allora: «l’affermazione non sarebbe falsa, ma possibile cosicché diventerebbe piuttosto un errore sostenere il contrario» (p. 35). Due, infatti, i motivi addotti che renderebbero l’esser creato e l’essere da sempre di qualcosa contraddittorio: o la necessità che la causa agente preceda nel tempo il proprio effetto, o la necessità che il non essere di un ente creato preceda nel tempo il suo essere creato, visto che viene detto creato soltanto quando è posto da Dio in essere ex nihilo. Circa la prima ragione di contraddizione (causa agente e effetto), Tommaso osserva che, proprio in base al principio di causalità, non esiste ragione alcuna che renda la causa agente necessariamente anteriore rispetto all’effetto. D’altra parte, osserva Tommaso, basta anche solo osservare (induttivamente) la nostra esperienza (per esempio, le mutazioni istantanee), per rendersi conto che tra causa ed effetto si annulla ogni distanza temporale: causa produttrice ed effetto dato sono simultanei. Ora Dio, nel creare, volendolo, può aver agito per causalità istantanea, per cui non vi è alcuna necessità logica che la sua azione debba precedere nel tempo il mondo creato: «Dio è causa istantanea e immediata della creazione del mondo, cosicché data la causa è dato l’effetto» (p. 36). Ma, a prescindere dalla causalità, anche se si affrontasse il problema dal lato della semplice volontà, la conclusione non cambierebbe: essendo Dio essere perfettissimo, non è necessario che la volontà preceda l’effetto («la sua volontà precede solo logicamente il suo effetto, ma non realmente»: p. 37).
La nozione di causa, dunque, non è in contraddizione con l’affermazione posta da Tommaso, ossia che tra causa creatrice ed effetto non esiste nessun rapporto di anteriorità nel tempo: «l’atto creativo […] prescinde, ad un’attenta analisi razionale, dalla durata temporale nel suo rapporto col mondo» (p. 38). Circa il secondo motivo di contraddizione, cioè se sia possibile che qualcosa, che è stato creato, sia anche da sempre, visto che l’essere creato dal nulla di qualcosa suppone che il suo non essere (creato) preceda nel tempo il suo essere (creato), Tommaso afferma che non esiste alcuna relazione tra l’essere creato e il nulla, «poiché la creazione è rapporto tra l’Essere sussistente e l’essere in cui e per cui l’ente è l’ente» (p. 39).
Non esiste relazione alcuna tra l’essere creato dal nulla e il Nulla inteso come dimensione ontologica di essere, in quanto il nulla è per definizione non-essere. L’ente creato non è l’ente che precedentemente era qualcosa (nulla), «bensì è l’ente che dipende interamente nell’attualità del suo essere e del suo permanere nell’essere, dall’Essere e nell’Essere che lo crea» (p. 41). Per cui, l’affermazione che qualcosa creato da Dio sia da sempre, non risulta logicamente contraddittoria. D’altra parte, lo stesso Boezio, nell’opera La consolazione della filosofia, riferisce Tommaso in risposta agli argomenti addotti da suoi oppositori (i quali, basandosi su alcune citazioni di San Giovanni Damasceno e Ugo di San Vittore, ritenevano impossibile un mondo creato ab aeterno), sostiene che «il mondo, in quanto posto in essere, potrebbe essere eterno divenire ovvero durata indefinita ed interminabile » (ivi).
Ovviamente, l’eternità del mondo di cui parliamo è da intendere come tempo indefinito, che accompagna (in senso analogico) l’Eterno Essere, anche se da lui «ontologicamente dipendente e a Lui tendente nella sua evoluzione verso forme sempre più alte e perfette» (p. 42). Lo studio attento e ben condotto di Tubiello presenta diversi pregi, a prescindere dalle numerose mende tipografiche, purtroppo rilevabili in più parti. Anzitutto, è un pregio l’aver tradotto, commentato e pubblicato l’opuscolo De aeternitatae mundi: un contributo alla conoscenza del pensiero di questo genio dell’Occidente. In secondo luogo, il lavoro aiuta a illuminare la personalità di Tommaso, che appare un pensatore innovatore, vivo, attento, capace di esprimere una posizione “laica”, ossia ”indipendente” rispetto all’ambiente parigino di quel tempo, ritenuta allora ai limiti dell’eresia.
Profondo conoscitore della tradizione filosofica e teologica, l’Angelico non si è limitato a riproporla in maniera sterile e arida, ma ha saputo affermare le legittime esigenze della ragione che ha il suo campo d’indagine, distinto, anche se non separato, dalla teologia, ha un suo ruolo e un proprio statuto, a cui deve rimanere fedele anche quando si accosta, con coscienza critica, alla rivelazione: intelligo ut credam, insomma. Infine, il modello epistemologico di Tommaso, che Tubiello ha ripercorso con stile semplice e chiaro, può considerarsi un contributo per il superamento della frattura che ha accompagnato la riflessione filosofica del mondo, filosofia e teologia.
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 1-4/2012
(http://www.pftim.it)