Quasi una novantina di pregiudizi, credenze, luoghi comuni, scandagliati da altrettanti autori: tutti affermati esperti nel loro campo (filosofi, sociologi, psicologi, giornalisti, scrittori, giuristi, magistrati, storici, scienziati, critici musicali ...).
Una girandola che non dà tregua: potrebbe produrre disorientamento, invece cattura. Sei invogliato a seguirla in tutta la sua evoluzione, a 360 gradi, ma puoi sentirti libero di selezionare dall'indice gli spunti che già di primo acchito più ti colpiscono: e anche in questo caso ti ritroveresti con il carniere ben fornito.
I capitoli riportano i pregiudizi in ordine alfabetico e fin dal titolo (ad esempio, "L'abito non fa il monaco") è impossibile non farsi allettare, e qualche volta stupire. Potremo ritrovare le verità della nonna ("Non c'è più religione", "Il pesce fa bene alla memoria perché contiene il fosforo"), mettere in discussione talune fobie oggi in voga ("I clandestini sono tutti delinquenti", 'Gli immigrati ci rubano il lavoro"), scoprire la fragilità di certe convinzioni magari consolatorie ("Le donne sono migliori degli uomini", "Gli ebrei sono intelligenti", "Gli omosessuali sono sensibili").
Il menù straborda di piatti appetitosi e se si vuole evitare l'imbarazzo della scelta non c'è che affidarsi alla sequenza alfabetica dei capitoli: già questo assicura una varietà incredibile di cibi e di cuochi, adatti ai gusti più diversi e comunque tutti accomunati da una qualità di cucina eccellente. Nonostante l'eterogeneità degli autori, le pietanze sono accomunate da una fattura chiara, semplice, accattivante: nessuna elaborazione artificiosa, che infastidisca il palato, e un servizio veloce che facilita il cambio delle tante portate.
Due citazioni, tratte dal libro, mi paiono particolarmente appropriate per dar conto del perché il pregiudizio, come dice appunto il titolo ("Il pregiudizio universale"), goda di una diffusione senza confini.
La prima è tratta dalla introduzione di Giuseppe Antonelli: «Il pregiudizio, spesso, è nient’altro che un luogo comune; uno spazio mentale condiviso, stretto e affollato. Consola e rassicura, si diffonde e rafforza proprio perché è comune: definisce e rinsalda la coesione di un gruppo, disegnandone un’identità. Prima ancora che etnocentrico, il pregiudizio è concentrico. Maschi contro femmine, famiglia contro società, campanile contro campanile, Nord contro Sud, italiani contro resto del mondo. (E, in molti casi, viceversa).»
La seconda citazione è di Pietro Veronese, dal capitolo "Gli africani sono pigri": «Il pregiudizio, alla fine, è uno specchio: crediamo di vedere qualcun altro ma in realtà colui che stiamo indicando siamo noi stessi, riflessi. Un amico, stimato sociologo, osservando dei portuali africani caricare caoticamente la stiva di un battello ne dedusse il disadattamento culturale di un intero continente davanti alle esigenze della logica capitalistica. Lui però se ne stava a guardare dal parapetto. Un’amica, celebre economista, mi disse una volta la frase seguente: «se in tutte le società i neri sono il gruppo meno performante ci sarà pure un motivo». Ma non mi risulta che lei abbia mai dovuto battersi per accedere agli studi o all’università.».
Insomma: ai pregiudizi siamo affezionati perché parlano di noi e in qualche modo 'siamo noi'. Anche per questo, è quasi impossibile scalzarli: forse, con fatica, ci è dato solo di farli 'barcollare' un po'.
Una cosa che invece senz'altro possiamo fare (e dovremmo fare) è conoscerli. Soprattutto i nostri.
Già così, se proprio non riusciremo a evitarli, almeno in parte riusciremo a 'contenerli', governandoli con la consapevolezza
In questo lavoro di autoconoscenza personale, la mappa fornita dal libro è preziosa: ce li può far scoprire.