Gioventù corte. Giovani adulti di origine straniera
(Politiche migratorie)EAN 9788856849202
Originale, senza dubbio, il contributo di Davide Girardi, ricercatore della Fondazione Nord Est, al fiorente segmento di studi sulle relazioni interculturali. Originale perché lo sguardo del ricercatore mette a fuoco le dimensioni vitali di chi, entro certa misura, è costretto a diventare adulto prima dei suoi coetanei, semplicemente perché gli è toccato di nascere nel Nord Africa o in un paese dell’Est europeo, anziché in Italia o, piú in largo, in un paese occidentale.
Il volume steso da Girardi raccoglie i risultati di una ricerca sociologica condotta su un campione di giovani adulti di nazionalità marocchina e rumena di età compresa tra i 18 e i 29 anni, residenti nel Veneto. Una ricerca svolta con attento rigore metodologico che presenta una interessante analisi delle dimensioni che toccano il senso e le pratiche del lavoro, del consumo, delle relazioni di genere, dei rapporti amicali e della sfera etico-morale, in una lettura che confronta le dinamiche di relazione intra e interculturale, soprattutto tra chi è giovane troppo presto e chi rischia di essere giovane troppo a lungo: immigrati da una parte e autoctoni dall’altra.
Lasciando spazio alla riflessione del lettore, curioso della differenza, su ciò che inevitabilmente distanzia e distingue chi appartiene a sistemi simbolico-culturali gioco forza differenti, ma anche su ciò che avvicina e con-fonde, nel senso di una prolifica fusione, l’essere giovani adulti nella sponda Nord e in quella Sud del Mediterraneo in questo terzo millennio che, proprio nel suo abbrivio, appare gravido di problematiche socioeconomiche e di incognite sospese, soprattutto, per chi è giovane adesso. È un lavoro che si focalizza – non a caso – su una popolazione di giovani adulti di origine marocchina e rumena, perché rappresentativi delle piú numerose presenze di origine straniera in Italia, con il particolare risvolto sociale di non essere piú nell’età della formazione scolastica, bensí inseriti nelle realtà lavorative, o in cerca di lavoro; in tale direzione diventa significativo rivolgersi direttamente al testo, cosí da rendere – pure nella brevità – il senso dell’attualità e della profondità della ricerca perfezionata dall’A.: «La percentuale di donne di nazionalità marocchina senza un lavoro è di oltre il doppio superiore rispetto a quella delle coetanee di nazionalità romena (57 per cento contro 26 per cento); tra gli uomini, invece, la divergenza piú marcata riguarda l’accentuazione dei giovani adulti di origine marocchina tra i titolari di un impiego non stabile (16 per cento rispetto all’8 per cento dei romeni). Spostando l’attenzione all’indicatore del tasso di attività elaborato sulla rilevazione Istat-rcfl, si conferma il margine tra le donne delle due componenti nazionali: quello delle romene è pari al 68,4 per cento, piú del doppio di quello delle donne marocchine.
Se non è fuori luogo richiamare la connotazione di genere assunta in particolare dalle migrazioni dall’Europa dell’Est, nel campione di intervistati sarebbe invece incongruo attribuire le differenze osservate a ragioni di ordine culturale; limitatamente al campione, non si può fare a meno di sottolineare come le donne marocchine, a livello aggregato, presentino un livello di scolarizzazione sensibilmente inferiore a quello delle coetanee romene e come il differente capitale culturale possa porle in una situazione di svantaggio nel mercato del lavoro (fatta eccezione, in parte, per le rispondenti che studiano e per quelle che hanno conseguito in Italia il loro ultimo titolo di studio)» (pp. 36-37). Giusto per ribadire ciò che emerge, anche, dagli studi sulla povertà e sulle strategie che dovrebbero orientare le politiche per la cooperazione internazionale: l’istruzione salva dalla povertà o, quantomeno, può offrire maggiori opportunità di impiego, di relazione, di adattamento, di dignità della vita.
Due i risultati piú interessanti della ricerca di Girardi, secondo Enzo Pace che ha curato la prefazione del volume: «Da un lato, la prossimità materiale nella condizione dei giovani autoctoni con i giovani adulti di origine straniera, dall’altro, i diversi atteggiamenti culturali, morali e religiosi fra i segmenti che compongono l’universo sondato. Tutto ciò aiuta a gettare uno sguardo sul peso che i fattori culturali e religiosi hanno nel differenziare gli atteggiamenti e i comportamenti fra giovani di una stessa coorte, ma appartenenti a sub-culture diverse: i giovani di origine marocchina sono mediamente piú religiosi di quelli romeni e questi ultimi, a loro volta, piú degli italiani autoctoni.
Tutto ciò aiuta a uscire dallo sguardo unilaterale con cui solitamente guardiamo agli immigrati e alle loro figlie e ai loro figli come indistinto “loro” cui contrapporre un altrettanto indistinto “noi”» (p. 13). «Il Nord Est, diversamente dal suo passato – conclude Daniele Marini nella postfazione all’opera – sarà (e già oggi in buona misura è) multietnico, con la presenza di diverse culture e con una pluralità di esperienze religiose. Guardare alla costruzione del Nord Est futuro, dunque, non può non partire anche da queste dimensioni, dalla ricerca di una maggiore e migliore integrazione, dalla ricerca di percorsi che possano accomunare le giovani generazioni (e non solo) in un dialogo interculturale e nella possibile costruzione di universi simbolici minimamente condivisi» (p. 185).
È questo il senso ultimo del lavoro di Girardi, che arricchisce la ricerca sociale di settore nel suo apporto piú alto: l’attenzione all’umanità.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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