Il turbante e la corona. Iran, trent'anni dopo
(Saggi)EAN 9788855800723
Come già altre volte in questa stessa rivista, ho di nuovo il piacere di presentare un’opera il cui autore non è un accademico ma un giornalista. Il suo è un lungo e ben documentato reportage sull’Iran degli ultimissimi anni, che scava a fondo nella società politica e in quella economica, negli ambienti delle gerarchie religiose e nelle «camorre» del bazar, tra le élites al potere e quelle della dissidenza, portando alla luce un Iran di solito largamente sconosciuto sia al turista che allo stesso studioso della «grande storia». Il volume si divide in due parti, la prima intitolata «Persia antica e moderna» si muove con agilità tra brevi flash sui fasti della Persia antica e certe miserie di quella moderna, con una attenzione particolare al passato prossimo. Molti sono gli argomenti illustrati, ci soffermeremo qui su uno soltanto, la ricostruzione dell’ambiente familiare del famoso ayatollah Khomeyni, artefice indiscusso della rivoluzione islamica del 1979, che ci fornisce un’idea del modo di procedere dell’Autore. Il quale in sostanza attraverso microstorie ci aiuta a far luce su «storie più grandi», in particolare sulla struttura sociale dell’Iran della prima metà del ’900, utile a comprendere molti dei meccanismi che ancora sorreggono la società attuale. Il nonno, Ahmad detto «l’indiano» perché giunto in Persia dall’India nel ’800, si forma nelle università religiose sciite di Najaf nell’odierno Iraq - dove sorge il mausoleo di ‘Ali genero e cugino di Maometto nonché il primo imam sciita - prima di stabilirsi definitivamente in Persia nel villaggio di Khomeyni. Il personaggio è non solo un religioso stimato ma anche un latifondista che, attraverso vari matrimoni, si imparenta con le più ricche famiglie della zona. Dalla terza moglie avrà tre figlie e Mustafà, destinato a divenire il padre del famoso ayatollah; alla morte, Ahmad l’Indiano verrà riportato in Iraq per essere sepolto a Kerbela, la città santa degli sciiti che ospita il mausoleo del suo più celebre martire, Husayn perito a Kerbela nel 680 nella lotta contro il califfo «usurpatore» omayyade. Già questa prima sommaria ricostruzione dell’ambiente familiare del fondatore e protagonista della Rivoluzione del 1979 ci fornisce un’idea di quel clima cosmopolita e multietnico in cui tipicamente si muovono le gerarchie sciite dell’Iran odierno. I cui maggiori e più prestigiosi centri religiosi, se si eccettua la cittadina di Qom a sud di Teheran, si trovano in Iraq a Najaf e Kerbela, ossia in terre arabe, e i cui adepti hanno grosse comunità anche in Pakistan e India. Non può stupire più di tanto che l’attuale più autorevole ayatollah sciita in Iraq, al-Sistani, sia di origini iraniane. Di fatto ci troviamo di fronte a una gerarchia religiosa transnazionale, che parla arabo e persiano indifferentemente, per la quale i confini internazionali attuali tra Iran e Iraq non hanno mai costituito una barriera alla comune attività e alla unità d’intenti. Neppure i recenti sviluppi, che dopo la seconda guerra del Golfo hanno portato all’attuale regime di occupazione militare americana dell’Iraq, hanno mai impedito alle gerarchie sciite irakene e iraniane di operare in sintonia. Con conseguenze che normalmente sfuggono all’occhio spesso superficiale di tanti osservatori: l’attuale regime irakeno si appoggia su una tacita e mai interrotta collaborazione de facto tra autorità militari d’occupazione e clero sciita filo-iraniano… e tutto questo mentre in questi stessi anni la propaganda iraniana non ha mai cessato di descrive l’America come il «Grande Satana» e, di converso, quella americana si è scagliata contro l’Iran «stato canaglia» , pericoloso aspirante al «club nucleare» ecc. ecc. Continuando con l’album di famiglia, Mustafà, il padre dell’ayatollah Khomeyni, studia nelle madrase di Isfahan e va a completare gli studi in Iraq a Najaf e a Samarra (altra città santa che ospita tre famosi mausolei di altrettanti imam sciiti); ritornato in patria conclude un matrimonio vantaggioso con la figlia di Husayn Khonsari, un religioso tra i più noti di Isfahan a sua volta imparentato con Shaykh Fadlallah Nuri altro religioso conservatore che verrà giustiziato durante i moti connessi con la rivoluzione costituzionale del 1909. Le due famiglie, i Khomeyni e i Khonsari, costituiscono nei rispettivi territori delle vere e proprie aristocrazie, basate sulla ricchezza prodotta dai latifondi e dal commercio del bazar, sicché riproducono quella tipica «alleanza tra mercanti, proprietari terrieri e ulema» su cui si fondava il potere nelle province ma che, particolare non trascurabile, si rinnova in sostanza un secolo più tardi nel «patto tra ayatollah, bazari e intellettuali» che porterà al rovesciamento dell’ultimo scià nel 1979 e alla instaurazione della Repubblica Islamica d’Iran. La seconda parte del volume tratta dei nostri giorni, ovvero dalla Rivoluzione del 1979 sino agli sviluppi più recenti. Vi si parla di molte cose, anche delle pagine buie della prigione di Evin, presso Teheran, attraverso la quale passano le ultime generazioni di intellettuali d’opposizione, molti dei quali non ne usciranno vivi. Importanti capitoli sono pure dedicati ad analizzare la dissidenza interna alla stessa gerarchia religiosa e la galassia delle sue varie correnti, dalle più reazionarie a quelle più progressiste e illuminate. La parte più interessante del libro di Alberto Negri riguarda però l’analisi della sostituzione della vecchia élite nobiliare legata alla Corona, ossia alla dinastia dell’ultimo scià, con la nuova élite rivoluzionaria che è espressione del «patto» di cui s’è detto sopra. All’indomani della Rivoluzione del 1979 si assiste in effetti a espropri massicci di terreni e beni della vecchia classe dominante legata alla monarchia, che verranno incamerati da «fondazioni» gestite dal clero sciita, o meglio dalle poche grandi famiglie - l’«aristocrazia sciita» - che da sempre lo controllano. Con conseguenze facilmente immaginabili. Dopo la presa del potere la parola d’ordine vagamente «marxisteggiante» era stata quella di togliere ai nobili e dare ai mosta’zafin (lett.: «i diseredati», gli emarginati), insomma redistribuire su vasta scala la ricchezza; ma il programma si scontra presto con la struttura sociale su descritta che, come s’è visto, ha il suo perno nella alleanza tra bazari, grandi proprietari e ayatollah. Emerge insomma fin dall’indomani della presa del potere un latente «conflitto di classe» tra due blocchi sociali. L’ala «dura e pura» della Rivoluzione è riemersa nel 2005 - dopo l’interregno relativamente liberale dell’illuminato presidente Khatami - con l’elezione dell’attuale presidente Ahmadinejad, ingegnere ex-sindaco di Teheran, che vinse le prime elezioni ergendosi a paladino dei «diseredati» e scagliandosi proprio contro il rivale Rafsanjani, un religioso di grande prestigio e alto prelato sciita la cui famiglia è tuttora detentrice di un vero impero economico-finanziario. In quell’occasione l’anima «rivoluzionaria», egualitarista e pauperista (si pensi al sobrio look, al limite della trasandatezza, dell’attuale presidente) ebbe successo nel denunciare l’elegante e raffinato «ayatollah arricchito e corrotto», quasi additandolo pubblicamente a traditore degli ideali rivoluzionari. L’Autore descrive molto bene questo intreccio tra interessi politico-religiosi e commercial-finanziari che si esprime soprattutto nel primato delle suddette grandi Fondazioni. Ve ne sono di ogni tipo, in origine legate a opere pie come la gestione di santuari o la somministrazione di sussidi e provvidenze alle fasce disagiate della popolazione; compito, quest’ultimo, ancora oggi svolto con una certa efficacia in un’ottica di consolidamento del consenso tra le popolazioni suburbane e rurali. Ma col tempo tali Fondazioni hanno accumulato risorse finanziarie e patrimoniali ingenti, che sono in sostanza poste sotto il controllo diretto o indiretto delle varie fazioni religiose che si contendono il potere. Oggi le Fondazioni, trasformatesi esse stesse in centri di potere, hanno il pieno controllo delle più importanti leve economiche e finanziarie del paese: per dare un’idea del loro peso, diremo solo che con i vertici di queste Fondazioni deve direttamente trattare ogni grande società straniera che desideri concludere affari in Iran nei più vari settori, da quello energetico a quello dell’industria o delle costruzioni. Questo bel volume di Alberto Negri, che getta uno sguardo curioso ma criticamente avvertito su tanti aspetti poco noti della teocrazia iraniana, è completato da cartine geografiche, schemi che riproducono la struttura costituzionale dell’Iran odierno, tabelle storiche (elenco degli imam sciiti, cronologie), un glossario e una buona bibliografia.
Tratto dalla Rivista Studia Patavina 2011 n. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)