Dio del silenzio, apri la solitudine
-La fede tormentata di Salvatore Quasimodo
(Maestri di Frontiera)EAN 9788851405953
Curzia Ferrari è stata l’amica di Salvatore Quasimodo, da questo singolare sodalizio umano e culturale, ella è venuta alla conoscenza di una dimensione spesso obliata dalla critica sulla personalità religiosa del grande poeta (premio Nobel per la letteratura nel 1959).La sua educazione fin dall’infanzia è stata religiosa, a cominciare dalla madre che lo formò al rapporto semplice e immediato con il divino, quando bambino andava «sillabando al buio le preghiere». Da Giorgio la Pira, suo commilitone a scuola, apprese la sensibilità entusiasta dell’esperienza del sacro. A lui si potrebbero applicare alcuni versi del suo poemetto Il fanciullo canuto (1919): «Saremo con gli uccelli che volano gli stagni,/ i taciturni compagni/ di chi canta la vita/ con la voce di Dio sopra la terra».
Certo è che Quasimodo sentiva forte il problema inerente la fede intorno al Dio cristiano, anche se giornali d’ispirazione cattolica lo consideravano filocomunista o comunista tout court. Fu lo scrittore Piero Chiara a scrivere, con poco fondamento, in occasione della sua morte: «Quasimodo è morto da vero ateo».
Per una buona sorte il francescano Nazzareno Fabretti gli venne incontro per sollevare dalle angosce il poeta tormentato, alla ricerca di un assoluto troppo taciturno, ma non impercepibile. Anche dall’amicizia con mons. Mariano dal Tindaro, nipote del grande Segretario di Stato di Leone XIII, Rampolla del Tindaro (che subì il veto da parte della corte asburgica nel conclave del 2003, quando fu eletto papa Pio X), apprese non solo una distinta formazione filologica greca e latina (ottima preparazione culturale per le sue traduzioni dal greco e dal latino), ma anche ad amare la bibbia e in particolare i Vangeli, soprattutto il Vangelo secondo San Giovanni con il suo portale maestoso, incipit dai bagliori teologici e filosofici eterni: «In principio era il Verbo».
Curzia Ferrari penetra fibrilla dopo fibrilla l’anima attraversata dall’inquietudine religiosa di Quasimodo in tutte le sue manifestazioni, che vanno dal peso della corporeità: «che tristezza il mio cuore/ di carne!», o «la nostra carne è come erba!», fino al grido di chi cerca «il volto di Dio» come il salmista. È «il Dio del fiore vivo» (non più il «Dio dei tumori» della «ragione laica» come nella poesia Sputnik (scritta in occasione del lancio del primo satellite artificiale nel 1959), componimento che tante polemiche sollevò quasi fosse quella «ragione laica» una sfida alla fede rivelata. Quel Dio che gli fa dire «La vita è un sogno. Vero è l’uomo/ e il suo pianto geloso del silenzio./ Dio del silenzio, apri la solitudine». Quest’ultimo verso è opportunamente messo come titolo a questa avvincente ricerca che solo un famigliare del poeta poteva scrivere con tanta ricchezza d’informazione, a cui una critica per quanto puntigliosa non poteva certo arrivare.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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