«Dio che non esisti, io ti prego» Dino Buzzati, la fatica di credere
(Frontiere)EAN 9788851403713
È possibile eludere il problema della fede? Per quanto molti “intellettuali” affermati si vantino di essersi “liberati” dalle “superstizioni della religione”, ne esistono altrettanti – e spesso più validi – che non fanno mistero della propria religiosità. E ve ne sono altri che, pur ostentando agnosticismo o incredulità, non riescono a non far trapelare dai propri scritti la costante presenza delle problematiche religiose. Uno di questi è sicuramente Dino Buzzati (1906-1972), il Kafka italiano, l’autore del Deserto dei tartari e dei numerosi racconti imperniati sull’angoscia esistenziale.
Nato e cresciuto in un’atmosfera positivista, Buzzati non riesce ad eludere le domande che qualsiasi spirito, a maggior ragione se particolarmente dotato come avvenne per lo scrittore bellunese, deve necessariamente porsi nel corso della propria vita. Merito indubbio di Buzzati è aver cercato di affrontare questi temi anziché – come molti altri autori della sua generazione – far di tutto per ignorarli.
In una collana che la casa editrice Àncora dedica alle tematiche religiose in autori popolari (finora uscite ricerche sulle opere di Cesare Pavese e dei cantautori Fabrizio De Andrè e Franco Battiato), Lucia Bellaspiga approfondisce, anche con l’ausilio di materiale inedito, la religiosità di Buzzati, dimostrando come in tutta la sua opera il pensiero fosse rivolto a temi ultraterreni (la fine del mondo, la morte, la vita dell’aldilà, la tentazione demoniaca).
Dio – che lo scrittore scrive sempre con la maiuscola – quando non è direttamente presente permea del proprio mistero tutto il creato e chi rifiuta una simile visione, chi oppone alla realtà della presenza di Dio una concezione materialista e limitata è degno del disprezzo dell’autore, che pure ne condivide e comprende il punto di vista. È il caso, clamoroso, dell’armatore Kam, il ricchissimo protagonista del racconto La poesia, scelto per l’ultima antologia che Buzzati curò prima di morire, che ha avuto una visione rivelatrice, ma che ha dimenticato quanto Dio stesso gli aveva donato, lo spirito poetico, materialmente racchiuso in un leggerissimo pacchetto di carta azzurrina, abbandonandolo ad impolverarsi in un cassetto e quindi gettandolo, immemore di cosa contenesse.
Un altro racconto estremamente indicativo della moralità naturaliter christiana di Buzzati è Il cane che ha visto Dio, in cui un paese di peccatori e bestemmiatori si sente costretto prima a nascondere, poi addirittura a rinunciare alla propria ansia di trasgressione dalla presenza di un cane che ha assistito alle visioni di un santo eremita. La bestiola, con il suo solo umile sguardo, inibisce alla popolazione di peccare: nel giro di qualche anno le bestemmie non si sentono più, la chiesa inizia a riempirsi, il desiderio di trasgressione si affievolisce fino scomparire. E quando si comprenderà che quello che si aggirava per il paese non era il cane dell’eremita, ma semplicemente una bestia che gli somigliava, il desiderio del peccato si è così allontanato che nessuno avrà più voglia di riprendere le “antiche usanze”.
Buzzati morì senza trovare la forza di rivolgersi al confessore della clinica milanese “La Madonnina”, che pure si era offerto di incontrarlo, ma comunque chiedendo a suor Beniamina, l’infermiera che lo accudiva, di permettergli baciare il suo crocefisso. Alla suora aveva spesso detto di invidiarle la fede, quella fede che diceva di aver perduto. Sul comodino aveva un volume, che portava sempre con sé, con le massime di Pascal. Una in particolare era sottolineata: «Non mi cercheresti – è Dio che parla – se non mi avessi già trovato».
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 27 - Agosto/Settembre 2007
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