Come forestieri. Perché il cristianesimo è diventato estraneo agli uomini e alle donne del nostro tempo
(Problemi aperti) [Libro in brossura]EAN 9788849821871
Il cristianesimo non appartiene più al significato comune, alla lingua corrente. La sua morale e la sua teologia suonano estranee. E tuttavia questa condizione stranita e straniera è una preziosa opportunità. Serve a dichiarare la verità finita del mondo, a confermare la riserva escatologica rispetto al tempo presente, a garantire la dignità della creatura al di là della cose che possiede. Il massimo della differenza consente il massimo del servizio all’umano comune. Sono dunque la profezia e l’escatologia a garantire all’uomo distratto la fragile bellezza della sua esistenza.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 12
(http://www.ilregno.it)
«La fede cristiana non si intende più da sé. […] Forse è giunta l’ora nella quale il cristianesimo, non lasciandosi più imporre come comandamento morale o dogma, potrebbe essere proposto come motivo, come invito, come possibilità e configurazione di stile». Queste parole di E. Salmann, poste in esergo all’inizio del libro, forniscono lo spunto all’autore – assistente ecclesiastico nazionale della FUCI – , per introdurre le sue penetranti riflessioni sulla situazione di «estraneità» in cui si trova oggi il cristianesimo rispetto alla vita e alla cultura degli uomini e delle donne di oggi. La ricognizione dell’attuale situazione procede in modo chiaro e convincente dalla prima all’ultima pagina di questa breve opera, ma non è un’analisi fine a se stessa, bensì contiene una proposta concreta, una via di uscita che recuperi la dimensione profetica della chiesa e l’autentica vocazione dei credenti. Il presente saggio è strutturato in un prologo, tre agili capitoli e un epilogo.
Nel prologo l’icona dei Magi diventa il simbolo della condizione perenne del credente: i magi seguono una stella, perché ne conoscono il messaggio, ma incontrano persone, pur sapienti, che non riescono più a collegare le antiche profezie con i nuovi segni del tempo. Ma i magi sono pazienti, non si perdono d’animo, si lasciano ammaestrare anche dai vecchi scribi e da un re sospettoso. Alla fine troveranno il bambino, ma dovranno percorrere un’altra strada per ritornare al loro paese. Così il credente di oggi deve porsi nuovamente in ascolto della parola di Gesù come se fosse la prima volta, in modo da trovare un’altra via che possa condurre al mondo nuovo da tutti sperato.
Nel primo capitolo (Non possiamo non dirci pagani) c’è l’aperta confessione che gran parte dell’umanità ha imparato a vivere senza Dio, lo considera un accessorio, qualcosa che non è più necessario per vivere. Siamo di fronte a un neopaganesimo. Le ragioni di questo estraniamento della fede rispetto al mondo odierno sono molte e vengono analizzate nel secondo capitolo, identificandole nel pensiero antimetafisico che si è diffuso a partire dai primi anni del Novecento. Non siamo più cristiani, perché non siamo più platonici: ma l’autore si domanda se il cristianesimo sia pensabile e giustificabile solo platonicamente (p. 25). La risposta è che bisogna trovare una nuova forma di fedeltà al platonismo, che ricordi il primato dell’assoluto e mostri che il dominio della contingenza è fallace e illusorio. Anche sant’Agostino, con la sua visione della storia e la sua visione sacrificale della vita, è diventato estraneo al nostro tempo. Resta però valida la sua lezione che questo mondo «non è il paradiso» e ciò viene dimenticato si finisce per pronunciare la propria condanna, chiedendo al mondo di essere e di dare ciò che non è e non ha.
Nel terzo capitolo viene sviluppato il tema dell’estraneità profetica del cristianesimo come chance e occasione privilegiata per annunciare e realizzare l’ordine dell’amore, che è la legge essenziale del regno per cui Gesù ha donato liberamente la sua vita. Nessuno di noi è Dio e nessuno lo ha mai visto, ma egli si lascia incontrare come terzo non manipolabile nel rapporto tra l’io e gli altri. Segno di questa accoglienza reciproca deve essere la chiesa, come società alternativa, come «differenza cristiana» rispetto a una società civile dove solo i potenti, i ricchi, i violenti fanno fortuna. Sapendo che questo mondo non è il paradiso, i cristiani sono liberi rispetto al passato e sono chiamati a inventare nuove forme di aggregazione e di espressione della loro fede. Probabilmente dovrà nascere una forma «extraparrocchiale» di cristianesimo (p. 63), che eviti l’intimismo e che renda ospitali e accoglienti le istituzioni pubbliche in cui si è incarnata finora la presenza dei cristiani nel mondo. Ci si accorge che la paroikìa (cioè l’abitazione provvisoria del viandante) è diventata come parrocchia l’emblema della fissità e dell’immobilismo.
In conclusione, afferma l’autore, si può ancora puntare ragionevolmente sulla bontà del cristianesimo, che permetta di sviluppare tutto ciò che è pienamente umano. «Dio serve perché ci spalanca gli occhi sulla verità di questo mondo che appunto non è il paradiso» (p. 67), ma proprio per questo bisogna amarlo, prendersene cura, mai disprezzarlo, sentendosi liberi di andare oltre, di lavorare per renderlo più bello e più degno, una casa comune per tutti gli esseri umani e per tutte le creature di Dio, in cui però abitiamo come forestieri e pellegrini, secondo quanto ammoniva 1Pt 2,11.
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n. 169 (1/2009)
(http://www.credereoggi.it)
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