Il cerchio e l'ellisse. Husserl e il darsi delle cose
(Fenomenologia e filosofia dell'esperienz)EAN 9788849817911
Un nodo problematico che emerge con sicura rilevanza nell’ambito di una teoria fenomenologica della conoscenza, intesa come legalità di esperienze connesse ad un senso razionale, comprensibile, intersoggettivo, è quello relativo alla percezione. L’esperienza percettiva è, infatti, la soglia attraverso la quale ci si svela, in maniera tale da non richiedere ulteriore fondamento, un mondo esterno a cui sono diretti tutti i nostri atti o in cui rientrano tutti i nostri interessi pratici. Ma qual è il confine tra la nostra percezione già strutturata, quella che avviene per intenderci nel corso normale di una coscienza formata e matura, e la sensazione, questo “presunto” elemento fisico, materiale, che dovrebbe essere, secondo una concezione non ancora fenomenologica, la condizione senza la quale non si dà percezione? E, ammesso che questa distinzione tra percezione e sensazione sia valida, quale sarà il grado di evidenza che spetta a ciascuno di questi due ambiti, dal momento che sappiamo come gli organi di senso possano non di rado ingannarci, facendoci vedere o sentire cose che in realtà non ci sono o sono altre da quello che ora vedo o sento con pretesa evidenza? Sono, queste, alcune delle domande che Vincenzo Costa, studioso e interprete di primo piano del pensiero fenomenologico nelle sue diverse ramificazioni e nei suoi molteplici esiti filosofici, affronta nella sua ultima opera dal titolo Il cerchio e l’ellisse – Husserl e il darsi delle cose. Attraverso una valutazione attenta dei ripensamenti e delle rotture che la fenomenologia di Husserl produce nell’orizzonte più ampio della filosofia moderna, quest’opera mette a disposizione del lettore una serie di strumenti concettuali e interpretativi utili anche per comprendere i movimenti interni, le svolte del pensiero di Husserl. Le riflessioni husserliane su un tema fondamentale quale quello della percezione, o meglio dell’appercezione, e dell’evidenza che le appartiene, sviluppate secondo la distinzione fenomenologica tra intuizione e datità, atto e contenuto, vengono qui lette come chiarificazioni di una puntuale, benché problematica, presa delle distanze compiuta da Husserl, non solo rispetto alla tradizione moderna (Descartes, Hume, Kant) e al dibattito contemporaneo (Brentano, Stumpf, Hofmann), ma anche rispetto alle proprie teorie precedenti. In particolare, Costa individua un passaggio fondamentale, in cui si rivela un notevole progresso di aperture concettuali nel comprendere la natura del fenomeno percettivo, dalle Ricerche logiche alle opere husserliane quasi immediatamente successive, dunque un ripensamento che si può indicare come svolta trascendentale. «Allorché la fenomenologia assume una prospettiva trascendentale, l’idea di una riduzione al vissuto basata sulla contrapposizione percezione interna/percezione esterna diviene sempre meno sostenibile, e tuttavia ciò non implica un abbandono tout court della nozione di datità, e quindi di filosofia, ma la presa d’atto che il movimento della verità precede il costituirsi della soggettività, che questa non ne è la garante, poiché non è la detentrice della razionalità nello stesso senso in cui ciò viene pensato da autori come Fichte e Schelling» (p. 19). Il passo che il fenomenologo compie per giungere ad una prospettiva trascendentale consiste nel liberarsi da una tradizione filosofica che vede nella percezione interna, dunque nell’immanenza dell’atto psichico in cui l’io riconosce se stesso in quanto percipiente, l’origine evidente del percorso conoscitivo. Sul problema dell’evidenza si articola, infatti, buona parte dell’impianto teoretico e dell’intento di chiarificazione della fenomenologia di Husserl che sorregge questo testo di Costa. I termini della questione si specificano in riferimento alla natura del fenomeno percettivo, poiché nell’incontro originario, ovvio e quotidiano con gli oggetti del mondo noi siamo continuamente alle prese con i decorsi appercettivi dell’esperienza, in cui si annunciano degli oggetti intenzionali che sono irriducibili al mero vissuto o alle mere sensazioni. Ciò significa che l’oggetto del nostro percepire non è mai dato secondo quella immediatezza che dovrebbe coincidere con l’evidenza cartesiana, dunque con la formula della clara et distincta percepito (cfr. cap. III § 4, pp. 70-73). Il luogo dell’evidenza non è segnato entro i confini della psiche, esso è piuttosto un andar fuori dalla psiche, un cercare, oltre la percezione di sé, una relazione sensata a ciò che si manifesta. L’io non trae l’evidenza del pensiero semplicemente grazie alla sua presenza o ai suoi atti puntualmente determinati, escludendo da essi la sfera della temporalità e limitandosi al momento ora, ma dal flusso ordinato di esperienze che segue una struttura di rimandi all’interno della sfera dell’intuizione (cfr. p. 69). «Cosa potrebbe insegnarci tutto ciò? – si domanda l’autore – Io credo: che la coscienza è distanza, una fessura nel tempo. L’espressione “io sono”, il “sum”, acquista senso solo in quanto ha contenuti determinati, e in quanto questi contenuti possono essere “identificati” e di fatto sono identificati. Dunque, che un essere qualsiasi possa dire “io” senza essere all’interno di un orizzonte potrebbe rivelarsi inconcepibile, dato che può dire io solo chi può rapportarsi a se stesso, dunque un essere che è un rapporto col tempo» (p. 72). La sensazione stessa, se intesa alla maniera di Brentano come processo fisico che si svolge secondo le regolarità proprie agli organi di senso, risulta inadeguata a spiegare la natura trascendentale che sta al fondo del fenomeno percettivo e anzi si dimostra, ad un’analisi descrittiva, come un fondamento del tutto ingiustificato e astratto. Sul nuovo concetto di sensazione proposto da Husserl e sul ruolo che in esso ha svolto la riflessione di un suo brillante allievo, Heinrich Hofmann, l’opera di Costa si sofferma nel capitolo quarto, la cui domanda di partenza è formulata nel titolo La sensazione: immagine o manifestazione dell’oggetto? (cfr. pp. 77- 108). La ricerca di Hofmann ha spinto Husserl a distinguere dal punto di vista fenomenologico gli oggetti intenzionali dai contenuti reali di una psiche, ossia le cose che esperiamo in quanto tali dai momenti della loro manifestazione. Hofmann distingue, ad esempio, la cosa visiva dalla manifestazione della cosa visiva, indicando con il primo termine non ciò che veramente vediamo della cosa, il lato propriamente visto, «bensì ciò che si presenta come una cosa senza tuttavia essere una cosa “reale” [was zwar den Eindruck eines Dinges mache, aber doch kein ”wirkliches” Ding sei]» (p. 105). In altri termini, le cose che esperiamo quotidianamente non si esauriscono nei momenti della loro manifestazione ad una psiche, non sono cioè oggetti mentali privi di consistenza al di fuori della relazione intenzionale, ma sono al contrario costituzioni sensate e dotate di una legalità propria, oggettualità che dirigono i nostri stessi modi di comprenderle e che ci si presentano secondo decorsi percettivi e generativi ben precisi ed evidenti. L’evidenza con la quale essi emergono nel processo conoscitivo non è, però, l’evidenza attuale della singola sensazione o della singola cogitatio, ma è fondata nell’apertura fenomenologica all’orizzonte di senso da cui dipendono gli oggetti intenzionali e le loro forme di connessione. L’evidenza, dunque, del decorso fenomenico e della nostra esperienza del mondo, come piano generale di rimandi che è «la condizione trascendentale dell’apparire delle cose» (p. 166). Il tema del “mondo”, che rappresenta l’esito fondamentale e decisivo della fenomenologia trascendentale, è nello stesso tempo il sentiero che conduce a porre ulteriori confronti, sia interni alla stessa fenomenologia (per esempio tra la teoria del mondo dell’esperienza percettiva e quella del mondo storico) che esterni (con Heidegger soprattutto). Ed è anche un tema su cui si possono misurare le aperture dell’ultima fase del pensiero di Husserl, filosoficamente tesa a ribadire la propria distanza tanto dal relativismo culturale, che ignora la differenza infinita tra il sapere e la verità (p. 174), quanto dall’idealismo dogmatico, che fa derivare ogni senso veritativo dall’opera di una ragione astratta, posta al di sopra della storia. Attraverso un uso discreto e mirato dei manoscritti husserliani e un lavoro analitico e puntuale sulle opere, questo testo di Vincenzo Costa accompagna il lettore lungo un cammino interpretativo molto denso, che non manca mai di sollevare domande e di interrogare in prima persona la filosofia di Husserl. Per chi si affaccia ora alla fenomenologia esso risulterà utile per il modo in cui mette a confronto le teorie fenomenologiche con la tradizione moderna e per la chiarezza dell’esposizione, ben modulata sugli esempi, sia personali che testuali. Lo specialista, dal canto suo, potrà trarne insegnamento per non soccombere alla lettera husserliana e per ricondurla ad un senso degno ancora oggi di essere ripetuto, ripercorso, o ancora per andare, come ebbe a scrivere Vincenzo Vitello, “con Husserl oltre Husserl”.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2008
(http://www.pul.it)
L’Autore in questo libro si propone, a partire da una lettura del percorso filosofico husserliano, di rivisitare e reinterpretare le nozioni fondamentali della filosofia moderna: sensazione, evidenza, datità, trascendentale, soggettività, immanenza, trascendenza, idealismo, realtà. Una volta posta la centralità del soggetto a cui tutto va ricondotto, si giunge alla dissoluzione della razionalità e delle cose stesse che, confuse con gli atti soggettivi in cui si manifestano, divengono eventi mentali, qualcosa che accade “dentro” la coscienza. Pertanto viene sottolineato che nel pensiero di Cartesio, padre e fondatore della modernità, non vi è una riduzione alla coscienza, ma una riduzione della coscienza e quindi che la sua nozione di evidenza si installa sulla rimozione della manifestatività delle cose. Secondo l’Autore un superamento di questa deriva è dato da Husserl, allorché affida alla coscienza trascendentale il compito di costituire il reale: il che non vuol dire che la coscienza è creatrice, costruttrice di esso, ma che è luogo dell’accoglienza del reale che in essa si manifesta nella sua essenza.
Tratto dalla Rivista di Scienze dell'Educazione n. 2/2008
(www.pfse-auxilium.org)
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luca ferrara il 30 luglio 2014 alle 23:30 ha scritto:
Bellissimo saggio sul pensiero di Husserl. Chiaro, preciso, elegante. L'ho trovato molto utile per approcciare il pensiero dell'autore tedesco. Il testo è di facile lettura ed è ricco di note e di apparati bibliografici.