Diritto greco-romano bizantino
(Lineamenta Iuris Manuali) [Con risvolti di copertina]EAN 9788846507303
La storia bizantina è una storia che appartiene anche al mondo occidentale, intessuta com’è, di vicende comuni. Essa si srotola in un crogiuolo di complesse forze motrici che costituiscono i fondamenti delle moderne civiltà: Costantinopoli raccoglie, infatti, il retaggio dell’Impero romano, di cui si sente erede, ma si confronta con una realtà diversissima, molto meno coesa, più conflittuale; protegge il cristianesimo, quando i centri di evangelizzazione si trovano ormai in territori di fede mussulmana (come Siria, Egitto, Etiopia); diffonde le culture greca, araba e romana, traghettandole nel Medioevo e poi nel Rinascimento; tutela il pensiero filosofico greco, innestandolo nella predicazione cristiana; sovrintende, in un certo qual modo, alla nascita degli Stati europei, riuscendo ad arginare l’avanzata dell’Islam fino al XV secolo, ponendosi così in una posizione unica fra passato e presente, fra Impero romano ed Europa moderna.
Oggetto di queste dodici lezioni è un particolare aspetto di tale storia: l’esperienza giuridica bizantina, nata dalle ceneri di quella romana, per poi vivere autonomamente in ámbiti diversissimi e in contesti politici e culturali molto lontani. Troppo a lungo esaminata solo come frutto della rielaborazione in epoca postromana della testualità normativa definita da Giustiniano (non è un caso che non ci sia, per il Diritto bizantino, una tradizione manualistica del peso di quella romanistica), essa ha invece una sua assoluta peculiarità, pur affondando le radici nel Diritto romano, che è base imprescindibile di lavoro, non solo come materiale costitutivo delle principali Fonti di cognizione del Diritto bizantino, ma anche come risultante delle forze di influenza esercitata o recepita dai Romani nelle relazioni con popoli stranieri, e soprattutto con la Grecia e con l’Oriente mediterraneo, ben prima del consolidarsi del regime imperiale.
Tratto dalla rivista "Apollinaris" n 1 del 2011 (LXXXIV)
(http://www.pul.it)
«Un fantasma si aggira per l’Europa del XXI secolo, dopo che il Secolo Breve, il XX, ne ha liquidato sanguinosamente gli ultimi discendenti. È il fantasma di Bisanzio ad aleggiare sulle zone incandescenti del nostro mondo attuale, sulle aree di conflitto, sulle faglie d’attrito, dai Balcani al Caucaso, dall’Anatolia alla Mesopotamia». Con il riadattamento della metafora dello «spettro comunista» del Manifesto di Karl Marx, Silvia Ronchey, una delle più autorevoli voci della bizantinistica internazionale, apre la presentazione dell’edizione italiana, e segnatamente del primo volume, di un importante trattato dedicato all’impero bizantino (1), gettando una ventata di freschezza in un clima editoriale attraversato di recente da particolare e positiva effervescenza.
Non c’è dubbio infatti che il panorama scientifico degli studi storici e giuridici dedicati all’Impero romano nell’ultimo decennio abbia registrato un rigoglio di studi sulla tarda antichità, sulle cause della crisi e della decadenza dell’impero, sull’alba del nuovo mondo di matrice germanica, sull’Oriente bizantino. È in questo felice contesto che nel febbraio del 2011 appare un libro accolto nella collana di manualistica edita dalla Lateran University Press della prestigiosa Pontificia Università Lateranense, dal titolo Diritto greco-romano bizantino. È il risultato della ancor breve, ma evidentemente assai fruttuosa attività didattica di Francesca Galgano. La sola intrapresa è meritevole di attenzione, dal momento che è pressoché assoluto il vuoto che nella letteratura specialistica e soprattutto manualistica affligge gli studi storico-giuridici in materia.
Come accennavo prima, ultimamente sono numerosi i libri dedicati all’esperienza bizantina dell’impero romano: da Giorgio Ravegnani (2) a Mario Gallina (3), da Warren Treadgold (4) a Cyril Mango (5), per non dire sul piano della trattatistica dei volumi curati da Cécile Morrisson (6), oltre alle rinnovate ristampe della Storia dell’impero bizantino di Georg Ostrogorsky, senza dimenticare la pubblicazione per i tipi di Sellerio – grazie all’autorevole cura di una bizantinista del calibro di Silvia Ronchey – dell’importante libro di Alexander P. Kazhdan sull’aristocrazia bizantina (7). Come è facile accorgersi, tutto questo effervescente e rinnovato interesse verso Costantinopoli e il suo impero è ricco e approfondito per gli aspetti di storia politica, sociale, economica, mentre manca, costituendo una lacuna enorme, una vera trattazione del giuridico. A parte alcuni manuali o trattati del XIX secolo, come quelli di Zachariae von Lingenthal (8) o studi specifici e circoscritti come quello di Brandileone dedicato alla sopravvivenza del diritto bizantino nell’Italia meridionale oppure, passando al panorama scientifico novecentesco, come i libri di Villanueva (9), apparso nel 1906, e di Tocanel (10), nel 1966, sostanzialmente non si dispone di quasi nulla di significativo relativamente all’esperienza giuridica.
Giunge dunque la novità dell’agile manuale di Francesca Galgano. Attenzione però, perché quello che abbiamo tra le mani è un libro anomalo. Infatti, è sufficiente appena sfogliarlo, scorrerne rapidamente l’indice per accorgersi subito che non è un manuale come potremmo immaginare, secondo quello che potremmo individuare come canovaccio tradizionale. Si tratta invece di 12 lezioni, corredate di una premessa, ciascuna con una fisionomia propria, ben definita e autonoma dalle altre, rispetto alle quali ciascuno è libero di seguire nella lettura una propria successione. Nonostante ciò, sarebbe sbagliato dire che nel libro di Galgano un filo rosso non esiste: esso esiste, ed è assai visibile, riguardando prevalentemente le fonti del diritto a cui sono dedicate le lezioni quarta, ottava, nona, dodicesima a cui idealmente si affianca la quinta.
Un manuale dunque dalla struttura non consueta, che rende anche meno semplice darne conto. Eppure per cogliere le coordinate lungo le quali la studiosa si è mossa, bisogna partire proprio dal titolo: Diritto greco-romano bizantino. Sono proprio i primi due capitoli (o meglio lezioni) che mostrano un opportuno carattere introduttivo e informativo, per quanto sintetico, su alcune questioni preliminari tutt’altro che irrilevanti, veri e propri nodi da provare a sciogliere subito, a cominciare appunto dalla spiegazione della denominazione: ‘diritto grecoromano’ o ‘bizantino’? Addirittura, a ben vedere, sono tre gli aggettivi utilizzati per delimitare l’ambito o chiarire la complessa fisionomia disciplinare. E allora perché tre aggettivi? Eccesso di sottigliezza? Oppure di vana pedanteria? Niente di tutto questo, al contrario l’esigenza di qualificare un’esperienza giuridica complessa e sfuggente a comodi inquadramenti saldata senza soluzione di continuità con la tradizione giuridica e amministrativa romana in quel cosmo culturale, politico, simbolico della basileia segnato dalla filosofia ellenica.
A tal riguardo, trovo assolutamente utile la premessa e credo sia anche efficace quando l’a. scrive che «la storia bizantina è una storia che appartiene anche al mondo occidentale, intessuta, com’è, di vicende comuni... Tale storia, inoltre, si srotola in un crogiulo di complesse forze motrici, che costituiscono i fondamenti delle moderne civiltà: Bisanzio raccoglie, infatti, il retaggio dell’impero romano di cui si sente orgogliosamente erede, e ne proroga l’impianto giuridico, ma si confronta con una realtà diversissima, meno coesa, più conflittuale (essa condivide con l’Occidente la frantumazione territoriale dell’impero)» (p. ix). Galgano ha ragione. L’impianto storiografico tradizionale ha finito per utilizzare il fatidico 476 d.C. come cesura rispetto alla quale le distorsioni ottiche sono state formidabili, tali comunque da far perdere di vista che la continuazione limitata ormai al solo Oriente dell’impero è parte integrante della storia d’Europa. Distorsioni, dicevo prima. Gli esempi sono molteplici tanto da sfiorare la banalità. A cominciare dalla nuova grande capitale e indiscusso centro del potere imperiale: Bisanzio? No, è corretto chiamarla non col vecchio ‘toponimo’ dell’originario villaggio, ma con il nome della sua fondazione e con il quale la chiamavano i suoi abitanti: Costantinopoli. Non Bisanzio dunque, e neppure bizantini, semmai nea Rhòme e Rhomàioi in greco, e del resto anche la loro lingua (da cui originò il greco moderno) denominata rhomaiiké glossa e oggi roméika.
Mai gli abitanti di Costantinopoli si guardarono come estranei dell’impero romano, essi erano romani o romèi e rhomaiosyne il loro sentimento di identità nazionale. E il loro impero in tutti i documenti ufficiali non era mica l’impero bizantino, entità diversa rispetto all’impero romano. Del resto ci è familiare come l’imperatore ‘bizantino’ per eccellenza, ovvero Giustiniano, nella Deo auctore esprimesse il senso di assoluta continuità anche sul piano normativo addirittura sin da Romolo (Deo auctore 1: Cum itaque nihil tam studiosum in omnibus rebus invenitur quam legum auctoritas, quae et divinas et humanas res bene disponit et omnem iniquitatem expellit, repperimus autem omnem legum tramitem, qui ab urbe Roma condita et Romuleis descendit temporibus, ita esse confusum, ut in infinitum extendatur et nullius humanae naturae capacitate concludatur: primum nobis fuit studium a sacratissimis retro principibus initium sumere et eorum constitutiones emendare et viae dilucidae tradere, quatenus in unum codicem congregatae et omni supervacua similitudine et iniquissima discordia absolutae universis hominibus promptum suae sinceritatis praebeant praesidium).
Detto questo, non dobbiamo poi sorprenderci di quanto contraddittoriamente è possibile incontrare nel panorama storiografico; per farsi un’idea è sufficiente rimandare ad alcuni scorci di due recenti libri: il primo di Cyril Mango, per quanto autorevole, di stampo squisitamente tradizionale, e il secondo di Giorgio Ravegnani, secondo me, di maggior precisione e aderenza alle fonti. Scrive Mango: «Se, dunque, nel primo periodo bizantino l’idea di Romanitas aveva ben poco vigore, ancor meno ne aveva nel periodo medio bizantino... Quando (inizio del nono secolo) san Gregorio Decapolita, originario dell’Asia Minore meridionale, fece scalo al porto di Ainos in Tracia, fu subito arrestato dalla polizia imperiale e dové subire l’ingiuria del bastone. Non ci viene detto il perché; forse le sue fattezze somigliavano a quelle di un arabo. Poi gli venne domandato: ‘Chi siete, e quale è la vostra religione?’ La risposta fu: ‘Sono cristiano, il tale e la tale i miei genitori; sono di fede ortodossa’. Religione e origine locale costituivano il suo passaporto. Non pensò di descriversi come romano» (11).
Forse Mango ha scritto questo passaggio sotto la suggestione del caso di Paolo di Tarso, ma per quanto narrativamente efficace l’espediente finisce per oscurare il dato storico per il quale allora si era nel I sec. d.C. e ancora lontani dalla constitutio Antoniniana di concessione universale della cittadinanza romana (12). Scrive invece Ravegnani: «L’uso di Bizantini in riferimento agli abitanti dell’impero d’Oriente è di origine moderna e non trova riscontro nelle fonti se non per indicare i cittadini della capitale. I Bizantini, infatti, si ritenevano Romani e così si definirono nel corso di tutta la loro storia, adattando lo stesso termine al mondo in cui vivevano: la Rhomania, la ‘terra dei Romani’, in contrapposizione a quella dei barbari che non ne facevano parte. Il termine compare nel IV secolo e pare essere di origine popolare: a partire dal successivo entra nell’uso corrente e fino al XV secolo si parla di Rhomania con riferimento all’impero di Costantinopoli ». Dicevo prima di formidabili distorsioni. Come non rilevare l’altro errore di chiamare impero d’Oriente anche la riunificazione delle due partes condotta da Giustiniano arma et iura, binomio attestante l’unità e l’unicità dell’impero romano. Eppure una simile radicata prospettiva falsante ancora condiziona pesantemente i nostri studi e costringe la romanistica quasi a una imperforabile separatezza dalla bizantinistica.
Tuttavia, appare sempre più chiaro come ciò sia la conseguenza culturale di un’espunzione ottocentesca dovuta a un’idea di Europa germanica, saldatasi con le pulsioni nazionaliste italiane, esaltate ancor di più nel corso del ventennio fascista, quando si assumeva retoricamente l’impero romano come fondamento del ‘rinascente impero’, ma al tempo stesso si focalizzava, con grave e distorcente limitazione, l’obiettivo della propaganda politica su una parte soltanto di quel territorio; il tutto trovava poi alimentazione ulteriore in un fertile humus di evidente matrice religiosa tra un Occidente sostanzialmente cattolico e un Oriente prevalentemente ortodosso. Sin dalle prime pagine del manuale di Galgano si capisce che la trattazione si dipana anche, forse soprattutto, attraverso il filo della tradizione lateranense dell’insegnamento della disciplina di Historia iuris graeco-romani da Ilario Alibrandi. Il filo tirato da Francesca Galgano serve a tessere una trama che riguarda la giusantichistica italiana, a cominciare addirittura dalle origini di Studia et Documenta Historiae et Iuris del suo primo direttore, Emilio Albertario, fautore di un’intelligente e colta apertura alle esperienze giuridiche del mondo greco e orientale.
Sono anni duri, quelli di inizio Novecento: la Storia attraversa l’Europa, tensioni, violenze, e poi guerre; eppure resta impresso nel panorama culturale il segno di una grande stagione di eccellenti filologi e giuristi con forte attrazione verso Oriente, da Carlo Nallino a Salvatore Riccobono, da Pietro de Francisci a Edoardo Volterra. Archeologia e giusantichistica si intrecciano fittamente, scoperte ed edizioni di testi giuridici animano il dibattito scientifico e culturale. Il diritto romano è oggetto di studi diversissimi (basti pensare alla stagione interpolazionistica), ma al tempo stesso posto in continuo confronto con le altre esperienze giuridiche, con i diritti orientali (egizio, assiro, ebraico, ecc.), secondo un approccio fecondissimo capace di assicurare risultati tali da rendere sempre più indiscussi funzione e insegnamento nelle facoltà giuridiche (oggi invece ulteriormente ridimensionato dall’ennesima improvvida riforma degli studi universitari). Ed è dunque in questo felice contesto che nasce l’espressione diritto grecoromano.
La seconda lezione riguarda la periodizzazione. Come ogni scelta convenzionale, l’inizio della storia c.d. bizantina è opinabile: la fondazione di Costantinopoli? La morte di Giustiniano? La destituzione di Romolo Augustolo e, secondo questo logoro canone storiografico, la caduta dell’impero romano d’Occidente? Oppure ancora la distinzione delle due partes imperii per opera di Diocleziano? O infine la morte di Maurizio (602 d.C.)? La cesura tuttavia può dirsi sicura con Eraclio attraverso una radicale ristrutturazione dell’organizzazione amministrativa centrale e periferica, che muta profondamente la fisionomia dell’impero, sebbene non debba dimenticarsi come già assai prima si fosse registrata una netta e irreversibile svolta. Innanzitutto con Giustiniano, quando l’Occidente romano ridottosi sostanzialmente all’Italia sottoposta dunque al governo del praefectus praetorio per Italiam, già nel 554 d.C., all’indomani della devastante guerra greco-gotica, subì con la Pragmatica Sanctio il mutamento della sua denominazione da diocesis o praefectura in provincia Italiae. Non siamo in presenza di un dettaglio o di una questione meramente lessicale, perché il declassamento dell’Italia in provincia in altri termini esprimeva il punto più basso della sua parabola discendente, ovvero un’Italia ridotta ormai a un vero e proprio dominio bizantino, che nulla aveva a che vedere con la condizione di privilegio di cui per secoli con Roma aveva goduto.
E in seguito, dopo appena qualche decennio quando, con l’invasione dei Longobardi nel 568 d.C. e i disastri militari che ne derivarono, l’imperatore Maurizio (582-602 d.C.) istituiva l’esarcato d’Italia sancendo al massimo livello amministrativo il predominio dei militari sulla società civile. Di diretta pertinenza del giusromanista sono le lezioni dedicate alle fonti. La Quarta concerne le fonti del diritto bizantino con le novità rispetto al tradizionale quadro delle fonti di produzione normativa romane: i diritti locali e il fenomeno di penetrazione nel diritto romano (il Volksrecht mitteisiano), ovvero il diritto vivo come emergeva dalla prassi negoziale, giudiziaria e notarile; e in seguito i canoni ecclesiastici che assurgevano, quando ratificati dal basileus, al rango di costituzioni imperiali. L’Ottava lezione è dedicata all’apertura dell’età delle codificazioni, e innanzitutto del Codex Theodosianus.
La Nona impegna il lettore nella codificazione giustinianea; mentre la Dodicesima è rivolta alle successive opere ‘bizantine’. Perché, come Galgano avverte bene i lettori, la storia dell’esperienza giuridica bizantina non finisce con la conquista turca: molte di quelle compilazioni conservano il loro ciclo vitale in Russia, Romania, Bulgaria, Grecia, o persino nei paesi sotto la dominazione mussulmana (come il Libro syro-romano, l’Ecloga o il Prochiro). È una vera esplosione di una febbrile attività intellettuale ed editoriale quella che si registra da quel momento in avanti, fatta di riassunti, traduzioni, repertori, commenti, opere tematiche, ruotanti attorno al lavoro avviato dalla mirabile squadra di commissari guidati da Triboniano e voluta da Giustiniano. Tuttavia, questa fiorente letteratura – grazie alla quale i materiali raccolti dai giustinianei vengono rielaborati, rimaneggiati, adattati alle nuove esigenze pratiche – si caratterizza di certo per i suoi scopi prevalentemente didattici, ma non manca di influire anche sulla produzione normativa successiva: nasce così l’Ecloga isaurica, ovvero una silloge di leggi compendiate, voluta da Leone III l’Isaurico e dal figlio Costantino V Copronimo. E poi, nel segno di una rinascita culturale e anche giuridica si staglia il tentativo di restituire lustro alla tradizione giustinianea, lungo un ambizioso progetto normativo concepito magnificamente da uno dei più autorevoli esponenti della dinastia macedone, Basilio I.
Questi abroga l’Ecloga, troppo distante dalla raffinata compilazione di Giustiniano, ma riesce a realizzare soltanto parte di quel progetto, con l’introduzione di due manuali: il Prochiro e l’Epanagoghé. Fu invece suo figlio, Leone VI, a realizzare il gigantesco disegno di innovazione dell’ordinamento giuridico concepito, con la monumentale raccolta dei 60 libri dei Basilici, nei secoli successivi affiancati da scolii, che riesce ad attraversare il tempo oscurando la compilazione giustinianea. Alle lezioni sulle fonti, Francesca Galgano alterna ora quella sulla mutata geografia dell’impero, ora quella sulla nascita della nuova capitale nel 330 d.C., oppure l’altra sull’importante riforma degli studi giuridici varata da Giustiniano, o ancora sulla presenza dei Barbari e sull’impatto che gli opposti fenomeni di scontro e di integrazione produssero sull’impero. In definitiva, le dodici lezioni di Francesca Galgano alla fine si presentano come tessere di un mosaico assai vasto, che fortunatamente negli ultimi tempi tende a ricomporsi e a mostrarsi quale positiva novità al centro dell’attenzione dei nostri studi; questi infatti appaiono sempre più segnati da una diversa e maggiore consapevole maturità.
Una consapevolezza che trova la sua scaturigine nel raggiunto convincimento di abbattere barriere disciplinari e guardare con nuove lenti alla plurisecolare esperienza dell’impero romano senza cesure e senza confini, assumendo, secondo la lezione nient’affatto superata di Fernand Braudel, il Mediterraneo come unità centrale per comprendere passaggi e trasformazioni della storia europea e della sua esperienza giuridica. Il Mediterraneo, fondamentale scacchiere internazionale di cui Costantinopoli fu per tanti secoli la superpotenza politica, economica e militare, ma anche quel microsmo che seppe riflettere «puntualmente il cosmo culturale, politico, simbolico della basileia in cui la sapienza filosofica ellenica si era saldata con la tradizione giuridca e amministrativa romana, in una formidabile alleanza», come scrive ancora Silvia Ronchey nel suo Romanzo di Costantinopoli: circa mille pagine che provocano nel lettore un formidabile stordimento, un vero godimento intellettuale (13). La Storia, come si sa, non ammette salti e «se la comprensione di Bisanzio non può fare a meno dell’Oriente, per lo stesso principio e a maggior motivo la storia del medievo occidentale non può fare a meno di Bisanzio» (14): ricostruire ciò che in Europa accadde dal tramonto della pars Occidentis alla modernità del XV secolo passa inevitabilmente attraverso le vicende dell’impero romano di Costantinopoli (15).
È venuto il tempo che anche gli studi giusromanistici cerchino e trovino nuove prospettive di ricerca che assicurerebbero a loro volta giovamento e dinamismo in una rinnovata stagione di interrelazioni con la bizantinistica. Il manuale di Francesca Galgano, dunque, mi piace ripetermi, costituisce nel recente panorama editoriale una novità, e pure bella. E come ogni novità, esso inizia a occupare una parte del vuoto di cui ho sinteticamente parlato. L’augurio è che la studiosa possa continuare assiduamente nell’impegno didattico di questo affascinante segmento degli studi storico-giuridici, perché inevitabilmente sarà ‘costretta’ a versare per iscritto ciò che emergerà dal rapporto fecondo di studio e di confronto con gli studenti, e perché in tal modo possa dare ancora più corpo e struttura a un testo, di cui si sente davvero il bisogno, affiancando alla narrazione generale e delle fonti del diritto anche l’analisi delle trasformazioni e delle innovazioni delle plurisecolari istituzioni imperiali.
Tratto dalla rivista "Studia et Documenta" n. 1/2011
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1 S. RONCHEY, Presentazione dell’edizione italiana di Il mondo bizantino. 1. L’impero romano d’Oriente (330-641) a cura di C. Morrison, Torino 2007, xvii. Della medesima studiosa vd. Lo Stato bizantino, Torino 2002.
2 G. RAVEGNANI. Introduzione alla storia bizantina, Bologna 2006.
3 M. GALLINA, Bisanzio. Storia di un impero (secoli IV-XIII), Bologna 2008.
4 W. TREADGOLD, Storia di Bisanzio, Bologna 2005.
5 C. MANGO, La civiltà bizantina, Roma-Bari 2009.
6 Cfr. nt. 1.
7 A. P. KAZHDAN – S. RONCHEY, L’aristocrazia bizantina dal principio dell’XI alla fine del XII secolo2, Palermo 1999.
8 K. E. ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Historiae iuris graeco-romani delineatio, Heildelberg 1839; ma soprattutto il monumentale Ius graecoromanum voll. 7, Lipsia 1856-1888.
9 L. S. VILLANUEVA, Diritto bizantino, Milano 1906.
10 P. TOCANEL, Ius Graeco-romanum sive Byzantinum, Roma 1966.
11 C. MANGO, La civiltà bizantina, Roma-Bari 2009, 40 s.
12 G. RAVEGNANI, Introduzione alla storia bizantina, Bologna 2008, 7.
13 S. RONCHEY – T. BRACCINI, Il romanzo di Costantinopoli. Guida letteraria alla Roma d’Oriente, Torino 2010, viii.
14 S. RONCHEY, Lo Stato bizantino cit. 6.
15 Cfr. L. CANFORA, Ricollocare Bisanzio nella storia d’Europa, prefazione a É. PATLAGEAN, Un Medioevo greco. Bisanzio tra IX e XV secolo, Bari 2009, 5 ss.
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