L'etica della cura. Tra sentimenti e ragioni
(Scienze umane e sanità)EAN 9788846489388
Il volume che segnaliamo apre la collana «Scienze Umane e Sanità» promossa dalla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Padova e diretta da Corrado Viafora, titolare della cattedra di bioetica nella medesima Facoltà. Un’iniziativa culturale ed editoriale importante che si propone di mettere a fuoco alcuni nuclei tematici che si situano a livello antropologico e pedagogico e costituiscono, secondo i curatori, le dimensioni profonde, specificamente umane, non solo dell’esistenza, ma di tutta una serie di relazioni, istituzioni e professioni che hanno attinenza con la cura della vita.
L’iniziativa ha lo scopo di informare il lettore italiano sullo stato degli studi e dei problemi riguardanti la cosiddetta etica della cura (Care Ethics) che in questi ultimi anni ha visto non solo un progressivo aumento di interesse da parte degli studiosi di bioetica, ma anche il loro impegno a ricollocare l’etica dei diritti di matrice liberale all’interno di contesti etico-normativi e politici più attenti alla rilevanza delle relazioni nella cura dei pazienti.
Il presente volume è suddiviso in tre parti. Nella prima, di carattere prevalentemente etico-antropologico, Roberto Mordaci affronta il tema del femminile e dell’irriducibilità della cura, Vanna Iori si cimenta con l’analisi del lavoro di cura tra razionalità e affettività, Mino Conte si confronta con i problemi relativi alla pratica educativa tra cura di sé e cura dell’altro. Nella seconda parte del volume, di taglio più etico-normativo, Barbara De Mori e Gaia Marsico analizzano l’etica della cura rispettivamente da un punto di vista naturalistico e femminista, Linus Vanlaere e Chris Gastmans invece, due rappresentanti della scuola di Lovanio, la scandagliano da un punto di vista personalista. Nella terza parte infine, di interesse etico-politico, Kathrin Ohnsorge prende in considerazione la relazione di cura a partire dall’interpretazione comunitarista di D. Callahan e di E. Emanuel, mentre Silvia Mocellin la indaga e la presenta come virtù e diritto nell’interpretazione di A. Mac Intyre e M. Nusbaum.
Dall’analisi dei vari contributi, come opportunamente rilevano i curatori, emergono tre convinzioni o se si vuole tre linee interpretative. In tutti gli autori c’è la consapevolezza che le relazioni di cura in ambito sanitario hanno uno spessore profondo, molto più profondo di quanto si pensi: di conseguenza non possono, né devono, essere interpretate con le sole categorie «politiche» del contratto. In secondo luogo non mancano nei vari saggi cenni più o meno espliciti di denuncia nei confronti di un’etica che affida a principi e regole di fissare astratte linee di demarcazione tra bene e male senza preoccuparsi di incarnare la riflessione nelle situazioni concrete. Si intravede infine un po’ ovunque tra le righe del volume la ricerca di un modello di bioetica clinica che non sia orientato unicamente ad «applicare» alla pratica sanitaria principi e regole dall’«esterno», come si trattasse di una pura tecnica, bensì si avvalga di nuove e approfondite riflessioni antropologiche che aiutino a cogliere strutture e fini morali che la innervano e la governano dall’«interno».
Che dire? Il tentativo di integrare l’etica dei diritti, di matrice liberale, dentro ad uno spazio antropologico più ampio e sensibile alla rilevanza, anche terapeutica, delle relazioni personali e interpersonali è non solo interessante, ma ricco di stimoli, soprattutto se collocato e valutato nel contesto di una bioetica sempre più frastagliata e frammentata che rende difficile la ricerca del consenso. Anche perché molti dei cultori di bioetica spesso e volentieri procedono a livello etico-normativo e metaetico in un modo che non è sempre lineare, rigoroso, coerente. In termini un po’ giornalistici verrebbe da dire che i vari tentativi contemporanei di elaborare sistematicamente un’etica della cura rivelano piuttosto la necessità e l’urgenza di prendersi cura dell’etica, della sua linearità logica e metodologica, oltre che della semantica di termini ed espressioni linguistiche che ricorrono nei suoi discorsi, nelle sue argomentazioni. Si prenda il termine «cura» o l’espressione linguistica corrispondente «prendersi cura», che nella bioetica contemporanea è una delle espressioni più ricorrenti, ma anche più pertinenti. L’impressione che si ricava è che non sempre venga usata dai singoli autori, a volte addirittura dallo stesso autore, in modo logicamente coerente e metodologicamente rigoroso. Trattandosi, come si dice, di un termine «ombrella» che ricopre significati diversi a seconda che venga usato a livello descrittivo, normativo, formativo, fondativi, non è difficile manipolarne di volta in volta la semantica attribuendogli all’interno di uno stesso contesto significati diversi o assumendolo con lo stesso significato all’interno di contesti diversi. A questo punto il rischio di oscurare più che chiarire il problema di cui si sta parlando più che una minaccia è una realtà. Di qui l’opportunità, anzi la necessità di definirlo meglio in riferimento al contesto operativo in cui viene collocato e usato in modo da non incorrere in contraddizioni o equivoci fuorvianti e soprattutto inutili.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)