La metafisica in Edmund Husserl
(Filosofia)EAN 9788846484062
Assumendo come motivo centrale della propria analisi il problema della metafisica nel pensiero di Husserl, questo testo di Nicoletta Ghigi sottopone all’attenzione del lettore una tematica non consuetamente esaminata dalla letteratura critica. Al merito dell’originalità dell’argomento trattato si connette quello del rigore dell’itinerario argomentativo seguito. Il problema metafisico infatti viene riguardato da una prospettiva genetica, che assume come filo conduttore delle proprie analisi il tema della realtà. La puntuale osservazione della costante riconsiderazione e ridelineazione del concetto di realtà nel corso di tutta la produzione filosofica husserliana si costituisce come momento di comprensione della natura e del significato della metafisica in Husserl, poiché consente di rintracciare il percorso, non lineare e non privo di contraddizioni, che porta Husserl a rinnovare costantemente il suo interesse per la metafisica in ordine alla fondazione del suo statuto scientifico. Al fine di porre in rilievo la profonda e radicale riformulazione husserliana della metafisica come scienza del trascendente o dell’intangibile sulla base di un capovolgimento del rapporto tra il trascendente e l’immanente, nell’introduzione viene analizzata l’evoluzione di significato che ha caratterizzato il problema del rapporto tra il tangibile e l’intangibile, e quindi la stessa concezione della metafisica, dalle origini della storia della filosofia fino alla fenomenologia. Il I capitolo ha inizio con l’esame degli scritti giovanili di Husserl. Movendo dalla stessa esigenza del maestro Stumpf di edificare una metafisica costruita “dal basso” che, in quanto tale, abbia luogo dopo la fondazione di una teoria della conoscenza, che si ponga alla base dell’intero sapere, in una Lettera a Wundt del 1920 Husserl chiarisce il suo intento di dar luogo a «una metafisica radicalmente autentica, veramente fondata, radicalmente scientifica […] una nuova metafisica scientifica» (p. 28). Tale proposito emerge prevalentemente in opposizione polemica alle assunzioni dogmatiche della “vecchia” metafisica, quella storicamente costituitasi. Tale accezione prevalentemente negativa della metafisica funge da sfondo anche per le argomentazioni dello scritto di abilitazione alla docenza intitolato Sul concetto di numero. Al fine di dimostrare l’origine psicologica del concetto di numero, in questo scritto Husserl tematizza una peculiare modalità di collegamento, ossia il “collegamento metafisico”, intendendolo come il collegamento in cui si istituiscono legami tra cose. Sulla scia di Brentano, Husserl qualifica tale collegamento come metafisico in quanto non è di natura psichica, ma astratta. In questo ambito, dunque, il termine “metafisica” viene impiegato per indicare la capacità di intuire i concetti astratti, e quindi anche per il riferimento alla stessa formazione dei concetti. Pur volendo proseguire tali analisi sul concetto di numero, nella Filosofia dell’aritmetica Husserl non si accinge all’esplicitazione della sua origine psicologica; piuttosto, con l’obiettivo di dare un fondamento oggettivo all’aritmetica, egli indaga il costituirsi dei concetti al fine di attingere alla loro oggettività assoluta. Andando oltre a una fondazione psicologica dei concetti dell’aritmetica si approda a una “metafisica del calcolo” che, in quanto logica dei segni indipendente dai contenuti della rappresentazione, comprende in sé il momento figurale come sua nozione fondamentale. Non pensato come un’aggregazione empirica e psicologica, esso definisce un collegamento collettivo di un gruppo di cose indipendente dai contenuti e intuitivamente coglibile. S’identifica così con “il collegare in sé”. Negli scritti del 1892/93 raccolti sotto il titolo Raumbuch emerge il problema del “correlato metafisico”. Concepito come analogon, simbolo della realtà, esso solleva la questione della corrispondenza tra la rappresentazione soggettiva e la realtà rappresentata. Tale problema conduce Husserl a pensare il “correlato metafisico” come un’unità simbolica ideale che precede la formazione empirica del concetto. Se già a partire dalla Filosofia dell’aritmetica il problema metafisico viene a delinearsi non più solamente come una riflessione critica sulle ingenuità delle filosofie storicamente costituitesi, ma come il problema della validità oggettiva della rappresentazione soggettiva della realtà che pone in evidenza la non adeguatezza di una sua analisi dal punto di vista empirico e psicologico, con le Ricerche logiche viene operato un definitivo spostamento del problema della concordanza sul piano della genesi logica. Il correlato deve trovare una validità logica, ovvero una validità che legittimi il rappresentato rispetto all’atto del rappresentare. La scoperta dell’idealità che resiste ad ogni indagine empirica rappresenta il momento di passaggio ad una nuova interpretazione della realtà: la realtà effettiva s’identifica ora con la validità ideale, l’esser vero. Alla luce delle considerazioni fin qui condotte, si comprende chiaramente come la natura e il significato della metafisica in Husserl muti in relazione al cammino di senso che vede protagonista il concetto di realtà sotteso alla determinazione della teoria della conoscenza. Fondandosi sul piano logico, in cui si prendono ad oggetto le formazioni reali (reell) della trascendenza, la teoria della conoscenza si istituisce come “filosofia prima”. Essa chiarisce i presupposti delle altre scienze, tra cui anche la metafisica, indicando loro il fondamento logico e la vera realtà conoscibile. Nelle Lezioni sulla metafisica del 1898/99 Husserl esplicita tale rapporto di fondazione tra la teoria della conoscenza e la metafisica, dichiarando che quest’ultima è «la scienza che mira ad offrirci in massima parte l’ultima conoscenza raggiungibile nei confronti della realtà» (p. 58). All’inizio del II capitolo si prende in esame la considerazione husserliana del nesso tra pensiero ed essere che emerge dall’esigenza di pervenire a un chiarimento sul problema del vero essere. A fronte di tale problematica, nelle Lezioni del 1902/03 Husserl sostiene che «pensiero ed essere sono inseparabili […] si appartengono» (p. 65). Sotto quest’ordine di argomentazioni dunque l’essere si connota come “probabilmente vero” e, conseguentemente, la metafisica «non vuole e non deve fare altro che offrirci una conoscenza definitiva della realtà nella misura in cui essa sia raggiungibile» (p. 66). La ridescrizione della realtà trascendente, nel senso di un’oggettualità che si forma in connessione alla soggettività, indirizza la riflessione husserliana in una nuova direzione anche in merito al tema della temporalità in cui l’atto conoscitivo ha luogo. In tal senso, nelle Lezioni sulla coscienza interna del tempo l’oggetto si autentica come qualcosa che “dura” e che si “espande” nella coscienza. A partire da tale rivalutazione del contenuto immanente, la fenomenologia di Husserl si avvia a rileggere la questione metafisica alla luce delle problematiche della costituzione dell’oggetto. Nelle Lezioni del 1907 intitolate Introduzione alla logica, di contro a una “metafisica dell’in sé”, Husserl sostiene che un recupero dell’essere della trascendenza come “costituito” dagli atti conoscitivi possa essere operato da parte di un’“ontologia reale” o “logica reale” che sappia stabilire a priori l’oggettiva possibilità del conoscere, costituendosi così come «scienza dell’essere in senso assoluto» (p. 75). Per poter raggiungere tale scienza è necessaria una “metafisica apriorica” che valuti il concetto di realtà, comprendendovi anche «ciò che è attualmente reale» (p. 76). Ne L’idea della fenomenologia la definitiva considerazione della trascendenza come fenomeno di validità costituentesi all’interno della coscienza fa sì che la conoscenza possa considerarsi «abilitata alla propria utilizzazione metafisica» (p. 79) e la metafisica come una dottrina dell’essere come «scienza, in senso assoluto di ciò che è» (ibidem). L’indagine critica della “metafisica apriorica” sull’essenza della conoscenza traccia così il perimetro della possibilità di una metafisica come «scienza dell’essere in senso assoluto e ultimo» (p.83). Nelle Lezioni del 1907 dedicate a Cosa e spazio la soluzione degli interrogativi sulla strutturazione fenomenologica della datità oggettuale impone alla riflessione husserliana di collocare al centro dei propri interessi la nozione di apprensione. Per Husserl l’apprensione è «l’atto di unificazione, chiarisce l’autrice, in cui l’oggetto viene rappresentato come quella cosa intenzionalmente “connessa”, in un dato momento percettivo, oggettivamente esistente» (p. 85). Equivale pertanto alla rappresentazione percettiva in cui la verità dell’essere della cosa appare, si dà al soggetto. Nella ricapitolazione delle considerazioni svolte, al termine di questo capitolo si pone l’accento sulla diversa considerazione che la trascendenza conosce nel pensiero husserliano dalle Ricerche logiche alle riflessioni del 1907 in relazione alla questione di come considerare l’essere, oggetto della metafisica. Viene così ribadita la fondazione husserliana della metafisica come scienza dell’essere ultimo su una “metafisica apriorica”, che le indica le condizioni di validità su cui poggiare. Il III capitolo si apre con l’esame delle riflessioni husserliane del 1908/09 condotte sotto il profilo della questione etica dell’ontologia in merito al tema dell’essere assoluto. Sotto questo riguardo, Husserl giunge ad affermare che «la coscienza è l’“essere assoluto”. Mentre la cosa deve essere l’essere “relativo”» (p. 93). Se da una parte l’essere della cosa s’identifica con la sua possibilità apprensiva, dall’altra la coscienza è limitata nel suo apprendere la cosa. Ne consegue che il vero assoluto è la coscienza che “tutto comprende” come coscienza propria di Dio. Per Husserl il rilevamento dell’assoluto e dell’essenza della conoscenza si deve porre a fondamento dell’indagine non solo dell’entità logica, ma anche dell’entità materiale. Se ne La filosofia come scienza rigorosa Husserl parla di una scienza “sistematica della filosofia che sia «la via d’accesso all’autentica metafisica» (p. 104), nel Carteggio con Dilthey egli conferma tale rapporto tra fenomenologia e metafisica: animata dal fine di pervenire alla realtà effettiva dell’essere, l’autentica scienza dell’essere trova nella fenomenologia il proprio fondamento logico. Inoltre, in polemica con Dilthey, Husserl conferma la necessità che la metafisica prenda in considerazione i vissuti concreti da cui ha forma la conoscenza della realtà. Nelle Lezioni del 1911 la metafisica viene definita come «scienza assoluta della realtà fattuale» (p. 111), scienza «concreta» (p. 113), aposteriorica in quanto basata su una dottrina dell’essere a priori. Ma a questo punto delle argomentazioni si nota che, se non viene chiarita la “concretezza” che la qualifica, la metafisica non si distingue dalla dottrina ideale e pura dell’essere, quale rappresenta l’“ontologia reale” o metafisica. Sullo sfondo dell’esplicitazione dei caratteri dell’atteggiamento fenomenologico in Idee I, Husserl ribadisce l’idea secondo cui la metafisica è essenzialmente conseguente alla fondazione trascendentale offerta dalla fenomenologia eidetica. Le analisi sul concetto husserliano di metafisica proseguono nel IV capitolo, laddove si determinano le implicazioni del problema dello statuto dei vissuti non intenzionali trattato in Idee I per la questione del rapporto tra «essere come coscienza ed essere come “annunciantesi” nella coscienza, essere “trascendente”» (p. 130). Posta in evidenza anche da Derrida, la contraddizione emergente all’interno della struttura fenomenologica del vissuto sulla base di tale individuazione di contenuti primari “sensoriali” non intenzionali viene sciolta da Husserl allorquando adotta una prospettiva d’indagine di tipo genetico. In questo modo si pone lo sfondo argomentativo in cui può emergere l’autenticità di un contenuto “sensoriale” come “risultato sensibile”, che si struttura passivamente nella ricezione, dando forma ai contenuti primari da cui si genera la costituzione. Pertanto, alla luce del rilevamento di un’intenzionalità fungente che, in quanto tale, si distingue essenzialmente dall’intenzionalità d’atto egologica, nelle Lezioni sulla sintesi passiva viene recuperato il valore intenzionale dei vissuti “sensoriali”. Sulla scorta di tali considerazioni, in Idee II Husserl s’interroga sulla condizione della validità di origine della costituzione oggettiva propria della sintesi associativa e la riconosce nel corpo vivo (Leib). Distinto dal corpo somatico (Körper), il corpo vivo è «quell’elemento, si chiarisce, da cui si rendono possibili tutti i momenti della costituzione stessa (percezione, cinestesi, impressione, associazione rammemorativa, dati sensibili, ecc) i quali, a loro volta, hanno nel processo associativo la loro origine e, dunque, la possibilità di pervenire ad evidenza» (p. 148). Ma, nonostante con la tematizzazione della formazione dei dati iletici o “sensoriali” si pervenga al riconoscimento del “nucleo originario” della costituzione, da cui ha luogo l’esperienza della realtà autentica, finché non si sarà convalidata la trascendenza nell’immanenza una «filosofia, una metafisica non potrà affatto iniziare» (p. 154). Prendendo le distanze dalla posizione kantiana, in Erste Philosophie Husserl sottolinea che, lungi dall’essere una scienza «a priori del reale» (p. 159), la metafisica si caratterizza come «la scienza che ricerca l’universo contingente» (ibidem), la scienza che si occupa dell’“in sé” concepibile in connessione con la coscienza. Alla luce di tali analisi, la metafisica si avvia a divenire un “indicatore di senso” per l’esistenza umana e si appresta a distinguersi dalla fenomenologia, pur essendo legata a questa da un rapporto di reciproco completamento. Indicando la strada agli altri saperi, la fenomenologia continua a fungere da fondamento di validità per la metafisica. Sempre in Erste Philosophie, di cui si parla in particolar modo all’inizio del V capitolo, Husserl interroga le differenti interpretazioni storiche della filosofia per far emergere il significato autentico di “filosofia prima”. Riprendendo la concezione aristotelica, Husserl sostiene che la “filosofia prima” deve essere intesa adeguatamente e autenticamente come la scienza dei presupposti. In quanto pone in evidenza la verità nei suoi vari aspetti, essa fonda la sua priorità sulle sue indagini assolutamente rigorose e non sull’acritico intento di raggiungere apoditticamente il vero. Nella Psicologia fenomenologica e fenomenologia trascendentale del 1925 Husserl affianca alla metafisica una psicologia volta alla giustificazione del “fatto trascendentale”. Entrambe queste scienze si qualificano come scienze “seconde” rispetto alla fenomenologia, perché sono «fondate sulla medesima “consapevolezza” trascendentale» (p. 187). Poggiando sulla fenomenologia, la metafisica può attingere «i problemi teleologici in senso metafisico» (p. 184) in quanto problemi “massimi e ultimi”. Nella prima versione della voce “Fenomenologia” per l’Enciclopedia britannica Husserl chiarisce che «la fenomenologia è antimetafisica nella misura in cui rigetta ogni metafisica che si muove in vuote sustruzioni formali» (p.185). A suo avviso, sulle ceneri di una metafisica dogmatica, perchè incapace di cogliere il vero concetto di a priori, si è formata «una metafisica ricostruttiva» (p. 194) che tiene conto del vero a priori, che sta alla base dell’ontologia formale e che quindi rende possibile un’ontologia materiale. Tale a priori si delinea, pertanto, come un senso che si cela nella filosofia e nel fatto. Nel fatto si nasconde il senso a cui devono tendere le ricerche metafisiche, poiché «questa fattualità, puntualizza Husserl, non è il campo della fenomenologia e della logica, ma quello della metafisica» (p. 197). Alla luce di ciò, Ghigi chiude questo capitolo ponendo l’accento su tale nuova concezione husserliana della metafisica: «La fatticità, il fatto che vi sia un mondo che si riveli trascendentalmente, è il senso a cui Husserl allude parlando di una “metafisica teleologica”, di quella metafisica cioè che secondo l’ideale leibniziano, è in grado di conciliare fisica e metafisica, meccanicismo e teleologia» (ibidem). Seguendo il filo di queste argomentazioni, il VI capitolo affronta il problema del significato teleologico della metafisica husserliana. Dopo aver ulteriormente chiarito la fondazione fenomenologica della scientificità della metafisica nelle Meditazioni cartesiane, sottolineando che la fenomenologia non «si arresta di fronte ai problemi “ultimi e sommi”» (p. 208), ed aver ribadito tale posizione nelle Lettere degli anni trenta, Husserl sottolinea nuovamente che solo la fenomenologia può dare un senso alle questioni metafisiche anche nella Postilla alle Idee I. Oltre a confermare tale concezione, nella Lettera ad Albrecht del 1932 egli sostiene che la metafisica è la «scienza che dà la spiegazione ultima sul mondo e sull’uomo e che ha per tema il loro senso ultimo e dunque assoluto» (p. 216). Il senso dell’essere si rivela nella «volontà di vita» (p. 217), che si dipana nella teleologia, il cui principio è l’essere di Dio. In tal senso, per Husserl l’idea di Dio è la giuda dell’operare umano sia impulsivo che cosciente. Le indagini sul percorso delle riflessioni husserliane sulla questione della metafisica terminano con il rilievo dell’idea di teleologia, che emerge dalle pagine della Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Qui si sostiene che per rendere evidente la metafisica occorre «portare la ragione latente all’autocomprensione» (p. 229). Tale processo di presa di coscienza di sé nel mondo da parte dell’uomo può essere compiuto attraverso una presa di coscienza storica. Pertanto, la filosofia autentica è animata dal compito di indicare all’uomo il telos di cui è inconsapevolmente portatore. Alla luce delle considerazioni compiute, nella conclusione si rende conto del senso “implicito” di metafisica che pervade il pensiero di Husserl: la riflessione husseliana è intimamente connotata da una idea di teleologia che si forma dall’unione di due tensioni, l’intenzionalità fungente e l’intenzionalità d’atto. Pertanto, sulla base del rilevamento della teleologia interna alla storia, il suo pensiero mostra implicitamente il senso precategoriale sotteso allo stesso filosofare. In Husserl la metafisica come metafisica concreta vuole autenticarsi come metafisica teleologica, «perché è caratterizzata da una entelechia che vede protagonisti allo stesso livello sia l’ego (ossia, la comunità intermonadica, unità di individui singoli) che il telos (come espressione concreta, storica, di questa comunità); sia la trascendenza (il telos che “si” rivela nella storia) che la trascendenza come immanenza (il suo rivelarsi nel concreto vivere umano)» (p. 241) Tracciando analiticamente e rigorosamente il percorso genetico del concetto di metafisica, in connessione a quello di realtà, nella filosofia di Husserl, il testo di Nicoletta Ghigi presenta un impianto argomentativo segnato da un’evidente attitudine fenomenologica. Esimendosi dall’occultare i momenti d’oscurità delle tesi husserliane, l’autrice riesce a porre in rilievo criticamente le molteplici suggestioni che scaturiscono dalla questione metafisica husserliana nella sua complessità.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2008
(http://www.pul.it)