Commento al Vangelo di Giovanni
-Testo greco a fronte
(Il pensiero occidentale)EAN 9788845269561
Con frequenza – e ogni volta con forza – la lettura del Commento al Vangelo di Giovanni, ora finalmente ritradotto in italiano per lodevole iniziativa della Bompiani, ci può ricondurre a una bella pagina di P. Ricoeur, un sensibilissimo studioso del tema della metafora, che vede la possibilità di una reciproca vivificazione del rimando simbolico e del discorso filosofico dal momento che «le discours spéculatif a sa possibilité dans le dynamisme sémantique de l’enunciation métaphorique» (P. Ricoeur, La métaphore vive, Editions du Seuil, Paris 1975, pp. 323).
Tale considerazione può essere riferita compiutamente al grande ambito del neoplatonismo cristiano di cui l’opera origeniana costituisce uno dei documenti piú significativi, laddove il valore del simbolo è stigmatizzato in una bellissima pagina che discute l’uso, nella Scrittura, del termine «seno» riferito alle parole dette da Dio a Mosè. Origene ci ricorda, riconducendoci dunque al valore del simbolo nella sua esegesi, che «Giovanni riposa sul seno dei misteri del Logos cosí come questi sul seno del Padre» (XXXII, 20) e dunque conferma le ragioni della simbologia come riposte su un intreccio significativo di rimandi tra realtà, simboli e pensiero.
Da questo punto di vista, la possibilità di un discorso che la riguardi, ossia di un suo rilevamento critico-ermeneutico e di una sua valutazione, è fondata sulla compiuta espressione di almeno due impegni teoretici: il primo, di ordine teorico, consiste nello stabilire il carattere del simbolo e dei suoi rinvii, e il secondo, piú propriamente critico, è inteso a determinare il grado d’immediatezza con cui il rapporto tra simbolo e segno si pone, e cioè a sceverare quanto di mediato dalla ragione resta ancora nel rapporto. Se da un lato possiamo dunque senz’altro concordare con alcuni autorevoli interpreti origeniani come Manlio Simonetti per il quale il Commento al quarto Vangelo rappresenta un’opera derivata sostanzialmente dall’insegnamento scolastico rivisitata da Origene in vista della pubblicazione e dunque dotata di un’esegesi spesso improvvisata, come mostrano le continue digressioni, le molteplici interpretazioni spesso disordinate, o eccessivamente sintetiche o al contrario piuttosto prolisse; d’altro canto dobbiamo anche rilevare che il testo, al di là della sua bellezza letteraria e del suo pathos mistico, si presenta eminentemente nella sua trama teologico-speculativa e presuppone un continuo confronto con lo gnosticismo.
È questo uno dei motivi che ci spinge ad apprezzare l’ampia introduzione di Vito Limone il quale ci consente anche di attraversare la ricca e travagliata Wirkungsgeschichte degli studi origeniani, dall’Origene romanus del V sec., come era nominato da Rufino, fino al ritrovamento e allo studio degli originali greci, oggetto dell’edizione berlinese novecentesca dei Griechische Christliche Schriftsteller. A voler individuare una connotazione di senso comprensiva dei molteplici elementi concettuali che Origene intreccia nel suo commento, potremmo certamente richiamarci alle sue stesse affermazioni: basti pensare all’inizio del ventesimo libro in cui Origene prega per ricevere dallo Spirito quei pensieri «pieni e compatti» che gli consentano di interrogare il testo in ogni dettaglio; di qui la necessità di «avere il coraggio di affermare che i vangeli siano la primizia di tutte le scritture e che il Vangelo secondo Giovanni sia la primizia dei vangeli» (I, 4, 23, p. 167).
L’espressione di un’indicazione di metodo che deve assumere il senso di una spiccata esigenza protrettica è però quella ribadita a piú riprese nell’Introduzione da Vito Limone, per il quale ogni tentativo di unificare sotto uno sguardo onniabbracciante le molteplici trame del tessuto speculativo proposto da Origene, deve necessariamente essere sorretto da un robusto confronto analitico, e storicamente documentato, con la portata del linguaggio che lo esprime: l’intrecciarsi di tematiche è infatti il piú delle volte conseguenza del sovrapporsi di diversi ventagli semantici. In questa direzione procede il saggio introduttivo, frutto di un rigoroso esame della collocazione storica, condotto secondo una precisa chiave di lettura che rileva chiaramente la presenza di alcuni temi portanti, veri e propri nodi critici tra loro strettamente correlati e ricorrenti: l’A. ci presenta Origene come testimone e protagonista della temperie culturale prodotta dalla persecuzione dei cristiani, palesandone l’attitudine a rivalutare l’uomo e ad affidarne il carattere elettivo alla sua personalità, tra le piú autorevoli della scuola alessandrina del Didaskaleion.
Limone dedica pagine estremamente feconde per l’interpretazione dei fondamenti dell’immensa produzione letteraria origeniana, che intreccia opportunamente con le tappe fondamentali della sua biografia: da Alessandria, dove emerge il modello di educazione riservato da Origene ai catecumeni, ai ripetuti viaggi ecumenici, fino al trasferimento definitivo a Cesarea, in Palestina, e alle persecuzioni ivi subite che lo condurranno alla morte. Già qui ci troviamo dinanzi a un ampio spettro di considerazioni attraverso le quali Limone svolge alcune osservazioni critiche, poi sviluppate nel prosieguo del saggio introduttivo. Non è possibile in tale sede rendere conto della stringente disamina cui l’A. sottopone la critica e il dissenso di Origene da Eracleone e la complessa problematica relativa alla sua polemica nei confronti dell’esegesi giovannea proposta dagli gnostici: «L’interpretazione gnostico-valentiniana delle sacre Scritture – a suo parere – non sarebbe altro che la costruzione di un sistema di figure ed entità dedotte dall’assunzione del significato meramente “letterale” del testo» (p. 48).
D’altra parte lo stesso Origene si presenta nel Commento come un uomo interamente dedito al culto della parola: di qui la necessità di accordare un’assoluta priorità al commento del quarto Vangelo che gli consenta, nella scansione della gerarchia dei testi biblici, di poter risalire all’interpretazione anagogica del testo sacro. In effetti, proprio a partire da tali considerazioni, sarà possibile chiarire in quale prospettiva debba intendersi la critica di Origene alla possibilità di un’interpretazione «fisiognomica» di Dio, in relazione all’impalcatura stessa della dialettica giovannea luce-tenebre ; e giova oltremodo sottolineare come Limone veda con chiarezza che la concezione origeniana del Summum Ens non si lascia minimamente compromettere dal rapporto con la predicazione necessaria di qualsiasi «elemento fisico», perché, in caso contrario, Dio stesso «sarebbe “corruttibile” e “alterabile” come qualsiasi altro corpo» (p. 56).
Il motivo fondante del rifiuto di qualsiasi compromissione con la «necessità» è poi da riportare, secondo l’A., alla particolare coerenza e alla radicalità del discorso origeniano sul Logos e qui le sue osservazioni ci consentono di chiarire ulteriormente il tema dei nessi storici che collegano il Commento a quella tradizione culturale su cui l’ultima parte del lavoro giustamente si sofferma: Limone non si limita a ricomporre le coordinate dell’influsso concettuale della tradizione valentiniana e medio-platonica (Filone, Albino) lungo tutto l’arco di sviluppo del pensiero medievale, ma ha cura anche di rilevare come, in Origene, essa sia assunta alla luce di un inequivocabile paradigma cristologico «creaturale». Infatti, il tema della complessa dialettica unità-distinzione tra Padre-Figlio, concepita come «relazione generativa» e, al contempo «unità usiologica» (p. 85) non è affatto separabile dal tentativo di organizzare in un saldo orientamento teoretico i capisaldi di un modello di «cristologica creaturale» che rappresenta lo snodo piú rilevante della teologia trinitaria origeniana rispetto alla soluzione ortodossa e all’interpretazione piú frequentata del Λ?γος το? ϑεο?, nella tradizione medio e neoplatonica.
Cosí, in relazione a tale progetto, nella kenosi, nello svuotamento, da parte del Logos della sua stessa natura divina e nell’assunzione di quella umana, l’esegesi di Origene codifica il tema del Figlio come κ?ριος «Signore dell’essere», vale a dire come chi «decide dell’essere, della “sostanza” che il Padre eternamente gli traduce, gli comunica: la Signoria del Figlio prescinde dal contenuto della decisione del Figlio, ma non dalla decisione in quanto tale» (p. 96). Nelle sezioni conclusive del saggio introduttivo, Limone prende in considerazione ulteriori nuclei tematici centrali nel Commento, verificandone i fondamenti concettuali, le fonti e le implicazioni filosofiche e teologiche: si tratta dei temi relativi alla teologia dell’immagine e del Dio visibile, del concetto di Spirito come Croce e Resurrezione dell’angelologia origeniana e infine della teologia della redenzione. L’analisi abbraccia in uno sguardo attento tali temi, motivando con attenzione e rigore scientifico gli elementi di continuità e gli aspetti che li rendono del tutto complementari tra loro.
Ne risulta un quadro estremamente articolato che ribadisce in Origene la presenza di nodi speculativi e teologici ancora non sufficientemente indagati e restituiti finalmente all’attenzione degli esegeti contemporanei.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 1/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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