Della fede
-La certezza, il dubbio, la lotta
(Le sfere)EAN 9788843073535
Indiscusso protagonista della teologia contemporanea, l’autore ci offre ora un affresco estremamente suggestivo e, per molti versi, originale sul ‘Racconto cristiano’. Non racconto tra racconti, il Racconto cristiano “senza esser fondato, pretende di dare un fondamento all’esistenza umana” (risvolto di copertina) – Kierkegaard direbbe che “è l’unico fenomeno storico (…) che ha voluto (…) interessare l’individuo ben altrimenti che dal punto di vista puramente storico” (Briciole di filosofie, Brescia 1962, p. 257). Attraverso tre densi capitoli l’autore invita a rendersi conto che tale Racconto non è concorrente a nessun altro. “Sono gli altri racconti che si pongono in concorrenza con esso e a volte diventano nemici, ma il racconto messianico non ha nemici. Esso sempre in forza del suo principio, accogliendo sop-porta, resta sotto ogni altro racconto nel quale l’uomo dice di se stesso. Paradossalmente esso non sta al di sopra, ma si abbassa, sta sotto” (p. 153). In una società pluralistica e laica si è pensato di mettere al centro la concorrenza del Racconto cristiano, lasciando poi che fosse il gioco democratico a decidere del successo. “Qualcuno parla di ‘minoranze creative’ che, dialogando con i fautori degli altri racconti, soprattutto di quello laico della modernità, dovrebbero far valere le proprie istanze nella società civile. Tra quanti senza avvedersene fino in fondo corrono il rischio di seppellire l’originalità del Racconto cristiano sotto il peso dei progetti, delle dottrine, che i cristiani, peraltro legittimamente sviluppano a partire dalla fede nel racconto stesso” (p. 154), rendendolo inavvertitamente ‘organico’ alla gestione del potere, l’autore pone il teologo Ratzinger sia in dialogo con Habermas che negli scritti successivi, come Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, (Milano 2004 – cf. n. 37, p. 163.)
Ora, l’interrogativo, che la lettura solleva, riguarda il distanziamento qualitativo tra il Racconto messianico, che sta sotto, e i racconti che storicamente stanno via via sopra, restando sempre altra cosa. Di quale indole è tale distanziamento o, in genere, quale la linea teoretica che illumina questo denso discorso filosofico-teologico? Una qualche risposta, sia pure indiretta, viene dalla condivisione, da parte dell’autore, della presentazione, in termini radicalmente negativi, della linea scostista-occamiana che Blumenberg ci offre nell’opera classica La legittimità dell’età moderna (Genova, Marietti 1992, pp. 136-160). In merito a questa interpretazione, quale “disperato tentativo di dare un senso all’esistente”, l’autore scrive: “Personalmente ho trovato semplicemente superba la sua (di Blumenberg) analisi della funzione storica del Nominalismo tardo medievale come ultimo tentativo di salvare, attraverso la distinzione tra la potenza di Dio assoluta e quella ordinata, un senso positivo al mondo esistente” (p. 130). Si comprende da ciò che, pur avendo assunto come sponda comparativa l’uscita illuministica dalla minorità (Kant), l’autore pare resti talvolta entro questo stesso cerchio logico, ritenendo la razionalità sostanza delle cose – le cose non solo sono o diventano razionali, ma sono perché razionali. In fondo, è la linea che rende conto del passaggio dal mondo greco all’età moderna attraverso l’età patristica, la cui differenza viene risolta nella diversa fondazione di tale razionalità, se nell’iperurario, in Dio, in una qualche trascendenza o nel mondo stesso, dando per scontata la risoluzione della realtà nella razionalità. In quest’ottica la realtà, essenzialmente razionale, ondeggia assieme alla razionalità, subendone le variazioni epocali. È quanto ho cercato di problematizzare, mettendo in discussione la lettura di Blumenberg del contributo di Duns Scoto e di Occam – che invece Ruggieri ritiene “semplicemente superba” – rilevando che l’‘ottimismo francescano’ lo si apprezza solo se si cambia la grammatica di lettura del reale – non la razionalità, ma la libertà creativa di segno oblativo, rispetto a cui la razionalità è la modalità secondo cui ci si appropria nel tempo di quel dono (cf. O. Todisco, Il bene oltre il dualismo gnostico. Hans Blumenberg e il volontarismo scotista, in F. BoTTURI (a cura), Le ragioni dell’etica. Natura del bene e problema fondativo, Milano, VeP 2005, pp. 119-136). Se non si recupera la positività dei racconti, creati e gestiti entro la razionalità divisoria, definitoria, classificatoria… – l’uomo ha bisogno di distinguere, contrapporre, classificare… per vincere l’angoscia dell’imprevedibile – non ci si accosterà al reale con lo spirito rispettoso di chi apprezza ciò in cui si imbatte e insieme vuol ‘procedere oltre’, alla luce di quella ‘gratuità’ che qualifica la ‘cosa’ che Dio ha voluto (Duns Scoto) o, meglio, donato (Bonaventura), e che il Racconto sollecita a ripensare e a vivere. È questa positività originaria che la Scuola francescana ama mettere in luce e assumere come registro interpretativo del reale, con cui procedere al ridimensionamento – non negazione – della distinzione tra il Racconto e i racconti, e a dissipare quell’aria di nascosta superiorità propria di chi sa di stare da parte del Racconto nei riguardi dei racconti – è il gigante che sa di portare sulle spalle i nani!
Tratto dalla rivista "Miscellanea Francescana" n. III-IV/2014
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