Rispetto allo schema classico della “introduzione”, il volume Hegel ha la peculiarità di essere un’introduzione teleologicamente orientata: scopo degli autori, esplicitamente dichiarato nella premessa, consiste infatti nel chiarire come l’intero cursus philosophiæ del pensatore di Stoccarda, dai fermenti giovanili, di natura assai variegata, alla forma matura del sistema, sia guidato da un preciso Leitmotiv, inteso dagli autori come lo scopo ultimo della speculazione hegeliana, ovvero la necessità di dimostrare l’essenza della filosofia da un lato come scienza della libertà, che rifiuta qualsiasi punto d’appoggio «che non sia il pensiero stesso e il processo di giustificazione che solo il pensiero è in grado di garantire» (p. 12), d’altro lato come scienza che rivela la costituzione del pensiero come struttura razionale ed oggettiva del mondo, di fronte alla quale le costruzioni filosofiche improntate ad una considerazione soggettivistica della realtà si infrangono o risultano parziali. Le parole libertà-sistematicità paiono costituire, a prima vista, un ossimoro fragoroso, ed invece la monografia ne riesce a dimostrare la veridicità, che possiamo evincere soprattutto da quei luoghi in cui gli autori si soffermano sul rapporto che Hegel instaura da un lato fra la propria riflessione e gli altri campi del sapere, dall’altro con la passata tradizione filosofica, in dibattiti che comportano anzitutto il superamento da parte di Hegel di posizioni scientifiche e filosofiche a lui contemporanee, e, al contempo, possono costituire per gli studiosi possibili, fecondi indirizzi di ricerca.
In primo luogo è rilevante notare che configurare la filosofia hegeliana come scienza della libertà nella forma di sistema equivale effettivamente a coglierne l’intimo nucleo: se la concezione della libertà del pensiero, intesa come autonomia di quest’ultimo da qualsiasi dato da esso stesso non giustificato, proviene ad Hegel dalla tradizione illuministica e kantiana, dall’altro la necessità di considerare il pensiero come «l’ambito all’interno del quale si muovono e trovano senso tanto il nostro pensiero quanto i concetti oggettivi delle cose» (p. 132), costituendo quindi una visione sistematica del reale, rappresenta per il filosofo un’importante eredità tramandataci invece dal mondo antico, specialmente quello greco.
L’Idea hegeliana ha la sua origine, per così dire materiale, nella sintesi fra l’unità platonica degli opposti, quale è esposta nel Timeo, e il moderno principio della soggettività, dunque il sistema è unità fra opposti, che si pone e si sviluppa autonomamente, e che costituisce un ontologicamente altro rispetto agli opposti presi nella propria individualità. Nei capitoli «Scienza della logica» e «La filosofia della natura» gli autori chiariscono in che modo una tale concezione della filosofia permetta ad Hegel di porre la propria riflessione in linea con i dibattiti scientifici sulla costituzione della natura avvenuti nell’età moderna: se l’unità risulta da uno spontaneo movimento di autosuperamento insito in ciascun membro del sistema, allora «il non essere si rivela dunque come momento costitutivo della determinatezza in generale.
L’essere determinato si concretizza infatti dapprima solo nel qualcosa, il quale si costituisce come tale solo nel rapporto con quella negatività che è l’altro rispetto ad esso […]. Hegel esplicita la valenza determinante della negatività intrinseca alle determinazioni logiche nella considerazione del concetto di limite […]. In quanto principio della cosa che è altro e uguale rispetto a ciò di cui esso è limite, esso è infatti non solo elemento costitutivo della cosa, ma suo elemento generatore» (p. 152). Questa considerazione dinamica del limite comporterà implicazioni rilevanti per la discussione, avvenuta in età moderna, sul metodo infinitesimale, che presenta anch’esso, in comune con la prospettiva hegeliana, una concezione attuale dell’infinito.
Inoltre, il paradigma della realtà come un sistema costituito dal movimento della cosiddetta negazione determinata consente ad Hegel il recupero, all’interno della propria filosofia della natura, della nozione leibniziana natura non facit saltus, per cui la realtà si configura unitaria, come d’altronde già si evince dalla lettura della Scienza della logica. In questa, le strutture dell’oggettività configurano il reale come un sistema di gradi, in cui ciascun grado «scaturisce necessariamente dall’altro ed è la prossima verità di quello da cui risulta, ma non nel senso che l’un grado sia prodotto dall’altro naturalmente, bensì in quanto prodotto nell’idea interna che costituisce il fondamento della natura» (p. 203).
D’altro lato, però, l’intento di comprendere ogni estraneità fa della logica hegeliana un sistema aperto: «la logica si dispiega nella realtà naturale e spirituale, e in questo dispiegarsi si integra e si modifica in relazione agli ambiti che essa incontra, ovvero produce delle determinazioni di pensiero che, pur avendo la loro origine nella logica, non sono totalmente riconducibili ad essa» (p. 202). Questa doppia caratteristica del sistema consente ad Hegel di accogliere nella propria speculazione sulla natura i risultati delle scienze empiriche, in base ai quali emerge un’immagine della natura quale un mondo estremamente frammentato nelle sue manifestazioni, per cui il filosofo arriva alla concezione del movimento dialettico all’interno della natura sì come sviluppo dell’Idea, ma tale sviluppo logico può essere evidente solo per il pensiero, non per l’osservazione empirica, dalla quale risulta invece come la natura si trasformi in modo tutt’altro che coerente: la storia della natura appare una storia di improvvise trasformazioni, in cui esistono numerose fratture fra un grado e l’altro di sviluppo.
Compito della filosofia della natura è rinvenire la nascosta unità logica della natura, la cui imperfetta sistematicità si traduce però nel dominio, all’interno del concreto sviluppo del mondo naturale, dell’accidentalità, le cui infinite manifestazioni necessitano quindi dell’indagine particolare delle scienze empiriche. Con questa considerazione complessiva della natura Hegel giustifica concettualmente il ruolo delle scienze naturali ed il loro rapporto con la filosofia, e pone la propria riflessione in una certa posizione di consonanza verso le tendenze scientifiche più avanzate del suo tempo, ossia gli studi di Linneo, Blumenbach, Lamarck, che convergevano in una sostanziale polemica verso la concezione leibniziana della natura improntata ad una fluida continuità.
Al contempo, la filosofia della natura hegeliana supera la concezione idealizzata che il primo romanticismo tedesco aveva della natura come realtà quasi sacralizzata, in sé e nei confronti dello spirito sostanzialmente unitaria. Val la pena rilevare che, malgrado le fortissime lacune contenutistiche, la concezione hegeliana della natura e della realtà generale come sistema di gradi, basato su uno spontaneo movimento di autosuperamento insito in ciascun grado, ha continuato ad apportare anche in epoche più recenti un forte contributo al dibattito scientifico: Heisenberg, ad esempio, nel delineare il paradigma “quantistico” della realtà, si richiama esplicitamente alla dialettica hegeliana ad alla sua interpretazione del mondo (Werner Heisenberg, Indeterminazione e realtà, ed. it. a cura di G. Gembillo, Guida Editore, Napoli 1991).
Anche la tendenza delle attuali ricerche scientifiche, inoltre, per quanto queste ultime siano in fieri, sembra essere costituita dalla necessità di integrare teorie sinora considerate inconciliabili, al fine di costruire un modello della natura maggiormente comprensivo della complessità contraddittoria di quest’ultima. Pure nel campo della realtà umana il nesso libertà-sistematicità consente ad Hegel numerose “conquiste”. Anzitutto è di straordinaria rilevanza la concezione hegeliana della malattia mentale, trattata all’interno della filosofia dello spirito soggettivo come dimensione latente all’uomo, e non semplice anomalia della sua realtà: considerando, infatti, la psiche umana come formantesi tramite la propria spontanea capacità di trasformare ogni vissuto in un dato ideale appartenente ad un generale contesto conoscitivo-esperenziale, che costituisce lo sfondo mediativo concreto della coscienza e dunque il dato sistematico di questa, Hegel giunge alla concezione della follia come intreccio fra due differenti dimensioni, la teoretica e la pulsionale, afferenti entrambe al complesso spirituale del soggetto; l’indebolimento della facoltà idealizzatrice della psiche, per cui essa non elabora più un singolo vissuto, ma viene da esso completamente dominata, trae spesso la sua origine da un desiderio frustrato, che impedisce al soggetto di negare la totale identificazione della propria totalità spirituale con la particolarità desiderata. Dunque proprio perché indebolimento di una facoltà razionale che però continua a sussistere, il malato mentale ha pieno diritto ad essere sempre considerato un essere umano e, quindi, ad essere curato; posizione, questa, che gli autori avvicinano a quella di Pinel, antesignano della psicologia e della psichiatria. Osservando i più recenti sviluppi degli indirizzi delle scuole di psicologia, si può assistere alla ripresa di una concezione della psiche umana assai vicina a quella affermata da Hegel, in particolar modo da parte della psicologia della Gestalt, che, al pari del filosofo tedesco, considera l’uomo una complessa e dinamica unità psico-fisica mossa da una pulsione di autorealizzazione, che si invera attraverso un processo di differenziazione ed integrazione fra il sé e l’ambiente circostante, analogamente alla concezione hegeliana di crescita come capacità di idealizzazione, quindi di integrazione, della coscienza rispetto ad un vissuto inizialmente sentito come ad essa differente. È sempre sulla base di tale concezione dell’Idea e della soggettività umana che Hegel afferma nella sua filosofia del diritto, esposta nel capitolo «Lo spirito oggettivo», la natura etica e non contrattuale del matrimonio, quale invece era considerata da Kant. In questo livello di sviluppo dello spirito, la depurazione dell’elemento estraneo al pensiero è costituito dalla naturalità, dall’istintualità dell’uomo, a favore della graduale costruzione di un sistema di vita improntato alla libertà universale, ovvero di tutti, per cui, se da un lato assumono carattere quasi sacrale le istituzioni politiche in quanto esprimono «quella modalità di mediazione della vita comune, che in un dato contesto storico esprime un “mondo libero”, ovvero l’attuazione concreta della libertà di tutti e di ciascuno» (p. 264), dall’altro però le fondamenta di tali istituzioni consistono nel reciproco riconoscimento fra gli uomini come esseri liberi. L’istituzione del matrimonio, in quanto preposta alla formazione della famiglia, costituisce la rinuncia all’autoaffermazione individuale a favore di «un’identità differente, in cui ciò che io sono è mediato dall’esistenza e dal riconoscimento dell’altro» (p. 275), che coinvolge la totalità spirituale di una persona e quindi non può essere trattata con pratiche contrattuali preposte alla concessione o acquisizione di beni particolari. Hegel fonda, quindi, il matrimonio sulla spontanea disposizione d’animo del sentimento dell’amore, che costituisce la base per la costruzione della fiducia all’interno del rapporto familiare. La lettura del percorso filosofico hegeliano proposta dai tre autori come incessante sforzo di sintesi fra libertà e sistematicità consente quindi l’interpretazione del sistema quale struttura mai conclusa, bensì sempre aperta alla comprensione dei più nuovi mutamenti del reale, comprensione in grazia della quale diviene possibile un materiale progresso della conoscenza della natura e dell’uomo. Il carattere non-concluso, dinamico del sistema rinvia alla storia quale sbocco naturale della vita della logica, come evidenzia l’ultimo capitolo, L’assoluta libertà dello spirito. La storia rappresenta l’unico campo in cui la forma puramente logica dell’idea può divenire effettiva libertà, contrariamente alle accuse spesso mosse al filosofo di Stoccarda, in base alle quali il sistema rappresenterebbe una struttura della realtà elaborata a priori, a cui la realtà debba adeguarsi, costringendosi così entro strutture logiche predeterminate. Riguardo al ruolo generale della storia nell’impianto di pensiero hegeliano, gli autori qualificano in particolare come “scandaloso” il legame di continuità posto dal filosofo fra il piano astratto della logica e quello concreto della storia della filosofia: tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento la storia della filosofia inizia appena a costituirsi come effettiva disciplina nel campo del sapere, ma probabilmente l’aspetto più “scandaloso” della riflessione hegeliana doveva essere rappresentata proprio dal rapporto unitario fra pensiero ed essere, logica e realtà; tuttavia, è in grazia di tale considerazione che diviene possibile per il pensiero un reale, ulteriore guadagno di autonomia ed assoluta autofondatività, poiché secondo tale modello neanche il passato rappresenta per l’uomo un elemento lontano ed estraneo, bensì membro da integrarsi produttivamente con le esperienze del presente tempo storico; operazione, questa, che rende il passato sempre vivente nel presente. Il filo conduttore libertà-sistematicità seguito dagli Autori rende Hegel una introduzione chiara al pensiero del filosofo, nella quale i passaggi tra i vari stadi di evoluzione della teoria hegeliana costituiscono un quadro organico della sua complessità e ricchezza. In un’epoca in cui la problematica dell’unità fra differenti posizioni e culture è particolarmente pressante, un tipo di filosofia che sia effettiva integrazione fra opposte determinazioni del reale, o che ne indichi almeno la possibilità, potrebbe costituire un’alternativa di pensiero rispetto a prospettive strettamente relativistiche, all’interno delle quali le opposizioni esistenti semplicemente convivono l’una accanto all’altra, senza trovare una elaborazione universale della realtà in cui una pluralità di questioni possano trovare giustificazione e critica razionale del loro statuto ontoe gnoseologico. Si offre, così, la possibilità di costruire un’epoca storica il cui grado di universalità sia effettivamente superiore rispetto a quello attuale: «Lo spirito assoluto nel suo momento culminante costituisce quella conquista di libertà che, per essere davvero tale, non può rimanere semplicemente ancorata a una forma determinata e finita, ma deve continuamente, proprio per essere sé stessa, “prodursi” in un incessante e mai concluso processo di autorealizzazione e di autocomprensione» (p. 325).
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2011
(http://www.pul.it)