La teologia della liberazione in America latina
(Le bussole)EAN 9788843047543
Il saggio ripercorre l’itinerario essenziale della teologia della liberazione, così come si è articolato in America Latina, in contesti segnati dall’estrema povertà e da una militarizzazione violenta. La professoressa Silvia Scatena, docente universitaria di Storia contemporanea e collaboratrice della Fondazione per le scienze religiose di Bologna, sembra mostrare una certa attrazione verso l’esperienza della teologia della liberazione. Tuttavia, con grande equilibrio e onestà intellettuale, evita accuratamente le posizioni di parte che potrebbero favorire discriminanti chiavi di lettura. L’obiettivo che si propone di conseguire il testo è prendere conoscenza di quest’importante movimento culturale basato sulla prassi di vita cristiana, attivissimo in America Latina e diffuso anche nel resto del mondo. Il lettore è introdotto, fase dopo fase, nel mondo della teologia della liberazione, di cui si narra l’evoluzione a partire dagli anni del Concilio Vaticano II fino alla notifica della Congregazione per la Dottrina della Fede fatta a Jon Sobrino il 26 novembre 2006, che condanna l’elezione dei poveri come luogo teologico fondamentale e altri punti equivoci della cristologia sobriniana.
Articolando così questo percorso di studio, l’autrice racconta, in maniera misurata e scevra da qualsiasi sentimentalismo, gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, piuttosto “roventi” sia dal punto di vista storico che per la formazione della teologia della liberazione. In un contesto contrassegnato dalle richieste di apertura ai “segni dei tempi” con cui si inaugurava il Vaticano II e dall’evidente crisi liberal-populista che attraversava l’America Latina, si sviluppa nel clero locale una crescente attenzione per le condizioni di vita dei fedeli, in particolare delle maggioranze povere, nei relativi “ambienti di vita”. Nel 1955 nasce, così, sotto la spinta di alti prelati (come il brasiliano Helder Camara, il cileno Manuel Larraín, il peruviano Dammert Bellido e l’ecuadoriano Leonidas Proaño), il Celam (Consiglio Episcopale Latinoamericano), che si propone come scopo il rinnovamento e il coordinamento della pastorale continentale. I principali problemi dell’America Latina, identificati con il sottosviluppo non solo spirituale, ma anche materiale, la povertà, la violenza politica e sociale, diventano in quegli anni il cuore della predicazione di un’ampia parte del clero. Tuttavia, il termine “liberazione” fa il proprio ingresso a pieno titolo nel dibattito ecclesiale, solo all’indomani della pubblicazione della Populorum progressio (1967), in cui Paolo VI affronta il tema della giustizia a livello mondiale, evidenziando la necessità di un superamento del neocolonialismo economico responsabile dell’impoverimento del Terzo Mondo. Nel 1968, il sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez presenta alla conferenza di Chimbote una relazione dal titolo Verso una teologia della liberazione, in cui traccia gli orientamenti basilari di quella teologia nascente: l’idea di una teologia come “atto secondo”, ovvero conseguenza diretta e naturale di un “atto primo” ritratto dall’impegno in favore dei poveri; la salvezza in Cristo come momento di profonda realizzazione dell’uomo nel presente storico e non come consolazione spirituale destinata alla vita eterna e, per concludere, il ricorso alle scienze sociali come strumento di analisi della realtà in cui la chiesa è chiamata a operare.
In seguito, i fondamenti delineati da Gutiérrez sono sistematizzati e teorizzati, con aggiuntiva accentuazione della tematica del povero come soggetto attivo e interlocutore privilegiato della chiesa, dell’importanza della mediazione delle scienze sociali (prima di tutte, dell’analisi marxista e della sua attenzione alla prassi) nell’articolare una lettura della realtà storica, della dimensione politica della fede. Degni di esempio, in questo senso, sono gli apporti di Larraín, che individua nell’arretratezza materiale e spirituale dei popoli latinoamericani e del Terzo Mondo una violazione della dignità dell’uomo; di Camara, che teorizza il sottosviluppo come prodotto storico dell’espansione dei Paesi capitalistici; di Boff, che concentra l’attenzione sul Gesù storico e sul primato dell’elemento critico su quello dogmatico in modo tale da richiedere modalità di lettura della Bibbia basate sul coinvolgimento politico ed esistenziale dei fedeli. Compito della chiesa, allora, diviene difendere particolarmente i diritti dei poveri e degli oppressi, denunciare abusi e conseguenze della ineguaglianza, sostenere lo sforzo popolare per la pretesa dei diritti basilari, ottimizzare la dimensione sociale e comunitaria del cristianesimo, favorire la formazione della coscienza critica della situazione sociale. Ad accompagnare e diffondere la nuova teologia negli anni post-Medellín, sarà il notevole incremento, particolarmente in Nicaragua e Brasile, delle comunità ecclesiali di base, strumenti non solo di evangelizzazione, ma anche di presa di coscienza e sollecitazione popolare in difesa dei diritti del popolo. Però, com’era facile prevedere per una teologia così estrema, giungono presto le reazioni delle gerarchie ecclesiastiche nazionali e vaticane. Nata in risposta alle sollecitazioni di rinnovamento provenienti da Giovanni XXIII e rafforzata dalla aperture della Populorum progressio, la teologia della liberazione paga duramente la brutale militarizzazione della vita politica latino-americana degli anni ’70 del Novecento: i regimi sorti dai golpe, che passano attraverso la totalità dell’America Latina (Uruguay, Bolivia, Paraguay, Cile, Argentina, mentre in Brasile i militari hanno assunto il potere fin dal decennio precedente), conferiscono alla chiesa il ruolo di fortezza indispensabile contro l’avanzare del comunismo, nemico efferato, responsabile del disordine e della lacerazione del corpo sociale cattolicamente formato.
Da ciò, la politicizzazione della fede, il carattere ideologico dell’opzione per i poveri, lo schiacciamento verso il marxismo come strumento favorito di analisi della realtà. Giovanni Paolo II, dopo un primo tentativo di risolvere il contrasto a favore dell’unita ecclesiale, fu costretto dagli eventi a porre una fermo freno teologico contro l’impegno temporale e ideologico dei cattolici e la loro collaborazione con i marxisti. La censura del papa fu rivolta in particolare ai membri del clero che accettarono di partecipare al governo sandinista in Nicaragua. Il principale sito di critica della teologia della liberazione diviene la Congregazione per la Dottrina della Fede, guidato in quegli anni dal cardinale Joseph Ratzinger.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
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