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DETTAGLI DI «Storia dell'Iran»
Tipo
Libro
Titolo
Storia dell'Iran
Autore
Sabahi S. Farian
Editore
Mondadori Bruno
EAN
9788842491293
Pagine
253
Data
2003
Collana
Biblioteca del Novecento
COMMENTI DEI LETTORI A «Storia dell'Iran»
Recensioni di riviste specialistiche su «Storia dell'Iran»
Recensione di Carlo Saccone della rivista Studia Patavina
A dispetto del titolo, l’agile volumetto qui presentato si concentra sulla storia contemporanea dell’Iran, ossia sui fatti immediatamente antecedenti alla caduta definitiva (1925) della dinastia dei Qajar -salita al trono negli ultimi decenni del ’700- e sugli sviluppi politici e economici lungo tutto il corso del ’900. Una storia dunque dell’Iran odierno, paese che è sempre più presente come attore di primo piano nel delicato scacchiere mediorientale e che si presenta, si direbbe, come un caso da manuale della politica coloniale e della gestione postcoloniale. Formalmente il paese non fu mai una colonia, ma di fatto già dalla seconda metà dell’ ’800, anche a seguito di tracolli finanziari, l’ingerenza dei due grandi imperi occidentali vicini, quello zarista e soprattutto quello britannico che controllava l’India, si fece sentire in modo crescente. Agli inizi del ’900 i Qajar, per risollevare le finanze esauste dello stato, “svendevano” progressivamente i diritti di sfruttamento o di commercializzazione a spregiudicati personaggi europei in diversi campi: il tabacco, il telegrafo, le ferrovie, il petrolio… suscitando le ire dell’opposizione nazionalista e democratica al cui interno convivevano anime diverse: i commercianti dei bazar, religiosi sciiti, gruppi di intellettuali marxisti entusiasti della rivoluzione russa, piccola borghesia impiegatizia, ecc. La rivoluzione costituzionale degli anni 1905-1908 e la successiva crisi della dinastia, i cui ultimi regnanti trascorrevano più tempo in Europa che in Iran, s’intrecciano con la sempre più massiccia presenza russa (a nord) e britannica (a sud), che sanciscono un protettorato de facto sul paese; situazione confermata dalla creazione di una brigata cosacca inquadrata dai russi e di un corpo di fucilieri inquadrato dai britannici, formalmente alle dipendenze del sovrano qajar, in realtà alle dirette dipendenze delle rispettive ambasciate.
All’indomani della prima Guerra Mondiale maturano le condizioni per il rovesciamento definitivo dell’inetta dinastia, ed emerge prepotente la figura di Shah Reza, ex-ufficiale di origini turche della brigata cosacca sunnominata. Egli s’impone come l’uomo forte di cui il paese “aveva bisogno”, facendosi interprete di una diffusa esigenza di riconquistare dignità e indipendenza effettiva e, soprattutto, di dare attuazione ad un vasto programma di modernizzazione del paese. Shah Reza, si trova di fronte a compiti immani: nel paese manca tutto: una rete ferroviaria, una classe di amministratori capaci, un ceto medio istruito. Sulla falsariga di un altro famoso militare giunto al potere in quegli anni in Turchia, Ataturk, egli promuoverà un massiccio programma di svecchiamento delle strutture dello stato, creando una forte amministrazione locale e centrale, una riorganizzazione dell’esercito nazionale (che incorpora le brigate cosacche e britanniche di cui si è detto). Soprattutto Shah Reza si lanciò nella guerra alle varie tribù seminomadi che controllavano da sempre vaste porzioni del paese, riuscendo a riportarle con le buone o le cattive sotto l’autorità centrale. Non meno importante sarà la sua azione nel campo sociale e del costume, con la proibizione alle donne di portare il velo, l’imposizione per legge di “vestiti all’europea”, e la creazione di un sistema di pubblica istruzione e di amministrazione giudiziaria svincolati dall’onnipresente clero sciita.
Questo programma di riforme “calato dall’alto” è un tipico esempio di quel riformismo iper-laicista e efficientista che si afferma tra le due guerre mondiali non solo in Iran ma anche in Turchia, in Egitto, nel Maghreb francese e nell’India britannica, con la benedizione delle potenze coloniali o post-coloniali. L’altra faccia di questo gigantesco programma di modernizzazione - che fu apertamente o (più spesso) tacitamente supportato da una parte delle sfere religiose - fu la repressione sistematica di tutti i movimenti di ispirazione liberal-democratica e marxista. Le carceri di Reza Shah si riempirono di oppositori di ogni colore e, fatto preoccupante e foriero di sviluppi di cui si vedranno le conseguenze a lungo termine, la sua politica verrà a incontrare una opposizione via via crescente nel clero sciita. Con la seconda guerra mondiale e la nuova invasione del paese da parte di russi e britannici, Shah Reza viene deposto, e sale al trono il figlio Reza Pahlavi, secondo e ultimo esponente della dinastia. L’Iran conosce una seconda effimera stagione di libertà e di democrazia al tempo del primo ministro Mossadeq, che incontra l’opposizione dello Shah da lui costretto ad un breve esilio a Roma. Ma il successo delle forze democratiche e del programma di nazionalizzazione del petrolio messo in cantiere da Mossadeq è di breve durata: la flotta britannica blocca i porti sul Golfo Persico e distoglie i potenziali compratori del petrolio iraniano. Messo alle strette dalla crisi economica e dallo strangolamento finanziario dello stato, Mossadeq è destitituito con un colpo di stato militare (1951) appoggiato dallo Shah deposto, ma abilmente orchestrato dai servizi segreti americani. Col ritorno trionfale dello Shah a Teheran inizia una nuova fase politica contrassegnata da un saldo legame con gli Stati Uniti, nuovo “protettore” del regno che di fatto segna la fine dell’influsso anglo-russo, e da una meno timida politica di progressiva -almeno parziale- riappropriazione delle risorse nazionali (leggi: petrolio). Anche Reza Pahlavi dovrà condurre una politica interna segnata dal ferreo controllo poliziesco sui movimenti politici di stampo democratico, e alla fine instaurerà un regime a partito unico che metterà al bando qualsiasi dissidenza.
Impercettibilmente prima, poi in modo sempre più massiccio si mette in moto nel paese un’opposizione guidata dal clero sciita che avrà nell’ayatollah Khomeyni il suo punto di riferimento: lo Shah lo farà espellere in Turchia, poi in Irak (a Najaf), quindi a Parigi, senza riuscire ad arginare il suo influsso su masse sempre più ampie di oppositori e di scontenti. Alla fine neppure le cannonate sulla folla dei dimostranti durante le oceaniche dimostrazioni anti-regime del 1978 riusciranno a salvarlo dalla caduta e dall’esilio, e dalla conseguente fine della dinastia Pahlavi. Il resto è storia di oggi, ovvero dell’instaurarsi (1979) di una teocrazia in pieno XX secolo. Una teocrazia che diventerà in tutto il Medio Oriente faro e modello ammirato di “stato islamico” per una miriade di movimenti integralisti dalle sigle più diverse: Hezbollah (“Partito di Dio”), Jihad islamica, “società islamica” e via dicendo.
Il libro della Sabahi, utilissimo nella rievocazione di queste varie fasi del ’900 iraniano, ci sembra invece un po’ carente proprio nella contestualizzazione dei suoi sviluppi. Il ruolo dell’imperialismo russo e britannico prima, e americano poi, sono ampiamente sottolineati. Molto meno, o solo sommariamente, è evidenziato il ruolo fondamentale, di “incubazione” degli eventi futuri, del dibattito interno al mondo musulmano tra modernisti e neo-tradizonalisti a cavallo tra ’800 e ’900, che porterà negli anni ’20 al sorgere in Arabia della terza dinastia saudita di stretta osservanza integralista (wahhabita), alla nascita in Egitto del movimento affine dei Fratelli Musulmani e più tardi della Jami’at-i Islami (“Società Islamica”) nell’India britannica. Senza questi antecedenti, tutti sorti in ambito sunnita, non si comprende bene l’abbandono del tradizionale atteggiamento quietista e la prepotente rinascita nel mondo sciita di una visione interventista rispetto alla politica, e la successiva affermazione del principio della velayat-e faqih (governo dei dottori della legge) imposto da Khomeyni.
L’aspetto che sarebbe stato interessante chiarire, ovvero la domanda cui il libro non risponde (ma è una domanda, in effetti, che non trova da parte dello storico risposte semplici), è come mai l’integralismo sciita, mossosi apparentemente con molto ritardo rispetto a quello di stampo sunnita, giunga al potere in così poco tempo… Una seconda domanda riguarda il rapporto tra la rivoluzione di Khomeyni e la Modernità, argomento certo complesso ma fondamentale, che forse avrebbe meritato un approfondito supplemento di indagini.
Il libro della Sabahi è scritto in uno stile scorrevole e si lascia leggere con facilità. Lo completa una buona bibliografia e un indice dei nomi.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
All’indomani della prima Guerra Mondiale maturano le condizioni per il rovesciamento definitivo dell’inetta dinastia, ed emerge prepotente la figura di Shah Reza, ex-ufficiale di origini turche della brigata cosacca sunnominata. Egli s’impone come l’uomo forte di cui il paese “aveva bisogno”, facendosi interprete di una diffusa esigenza di riconquistare dignità e indipendenza effettiva e, soprattutto, di dare attuazione ad un vasto programma di modernizzazione del paese. Shah Reza, si trova di fronte a compiti immani: nel paese manca tutto: una rete ferroviaria, una classe di amministratori capaci, un ceto medio istruito. Sulla falsariga di un altro famoso militare giunto al potere in quegli anni in Turchia, Ataturk, egli promuoverà un massiccio programma di svecchiamento delle strutture dello stato, creando una forte amministrazione locale e centrale, una riorganizzazione dell’esercito nazionale (che incorpora le brigate cosacche e britanniche di cui si è detto). Soprattutto Shah Reza si lanciò nella guerra alle varie tribù seminomadi che controllavano da sempre vaste porzioni del paese, riuscendo a riportarle con le buone o le cattive sotto l’autorità centrale. Non meno importante sarà la sua azione nel campo sociale e del costume, con la proibizione alle donne di portare il velo, l’imposizione per legge di “vestiti all’europea”, e la creazione di un sistema di pubblica istruzione e di amministrazione giudiziaria svincolati dall’onnipresente clero sciita.
Questo programma di riforme “calato dall’alto” è un tipico esempio di quel riformismo iper-laicista e efficientista che si afferma tra le due guerre mondiali non solo in Iran ma anche in Turchia, in Egitto, nel Maghreb francese e nell’India britannica, con la benedizione delle potenze coloniali o post-coloniali. L’altra faccia di questo gigantesco programma di modernizzazione - che fu apertamente o (più spesso) tacitamente supportato da una parte delle sfere religiose - fu la repressione sistematica di tutti i movimenti di ispirazione liberal-democratica e marxista. Le carceri di Reza Shah si riempirono di oppositori di ogni colore e, fatto preoccupante e foriero di sviluppi di cui si vedranno le conseguenze a lungo termine, la sua politica verrà a incontrare una opposizione via via crescente nel clero sciita. Con la seconda guerra mondiale e la nuova invasione del paese da parte di russi e britannici, Shah Reza viene deposto, e sale al trono il figlio Reza Pahlavi, secondo e ultimo esponente della dinastia. L’Iran conosce una seconda effimera stagione di libertà e di democrazia al tempo del primo ministro Mossadeq, che incontra l’opposizione dello Shah da lui costretto ad un breve esilio a Roma. Ma il successo delle forze democratiche e del programma di nazionalizzazione del petrolio messo in cantiere da Mossadeq è di breve durata: la flotta britannica blocca i porti sul Golfo Persico e distoglie i potenziali compratori del petrolio iraniano. Messo alle strette dalla crisi economica e dallo strangolamento finanziario dello stato, Mossadeq è destitituito con un colpo di stato militare (1951) appoggiato dallo Shah deposto, ma abilmente orchestrato dai servizi segreti americani. Col ritorno trionfale dello Shah a Teheran inizia una nuova fase politica contrassegnata da un saldo legame con gli Stati Uniti, nuovo “protettore” del regno che di fatto segna la fine dell’influsso anglo-russo, e da una meno timida politica di progressiva -almeno parziale- riappropriazione delle risorse nazionali (leggi: petrolio). Anche Reza Pahlavi dovrà condurre una politica interna segnata dal ferreo controllo poliziesco sui movimenti politici di stampo democratico, e alla fine instaurerà un regime a partito unico che metterà al bando qualsiasi dissidenza.
Impercettibilmente prima, poi in modo sempre più massiccio si mette in moto nel paese un’opposizione guidata dal clero sciita che avrà nell’ayatollah Khomeyni il suo punto di riferimento: lo Shah lo farà espellere in Turchia, poi in Irak (a Najaf), quindi a Parigi, senza riuscire ad arginare il suo influsso su masse sempre più ampie di oppositori e di scontenti. Alla fine neppure le cannonate sulla folla dei dimostranti durante le oceaniche dimostrazioni anti-regime del 1978 riusciranno a salvarlo dalla caduta e dall’esilio, e dalla conseguente fine della dinastia Pahlavi. Il resto è storia di oggi, ovvero dell’instaurarsi (1979) di una teocrazia in pieno XX secolo. Una teocrazia che diventerà in tutto il Medio Oriente faro e modello ammirato di “stato islamico” per una miriade di movimenti integralisti dalle sigle più diverse: Hezbollah (“Partito di Dio”), Jihad islamica, “società islamica” e via dicendo.
Il libro della Sabahi, utilissimo nella rievocazione di queste varie fasi del ’900 iraniano, ci sembra invece un po’ carente proprio nella contestualizzazione dei suoi sviluppi. Il ruolo dell’imperialismo russo e britannico prima, e americano poi, sono ampiamente sottolineati. Molto meno, o solo sommariamente, è evidenziato il ruolo fondamentale, di “incubazione” degli eventi futuri, del dibattito interno al mondo musulmano tra modernisti e neo-tradizonalisti a cavallo tra ’800 e ’900, che porterà negli anni ’20 al sorgere in Arabia della terza dinastia saudita di stretta osservanza integralista (wahhabita), alla nascita in Egitto del movimento affine dei Fratelli Musulmani e più tardi della Jami’at-i Islami (“Società Islamica”) nell’India britannica. Senza questi antecedenti, tutti sorti in ambito sunnita, non si comprende bene l’abbandono del tradizionale atteggiamento quietista e la prepotente rinascita nel mondo sciita di una visione interventista rispetto alla politica, e la successiva affermazione del principio della velayat-e faqih (governo dei dottori della legge) imposto da Khomeyni.
L’aspetto che sarebbe stato interessante chiarire, ovvero la domanda cui il libro non risponde (ma è una domanda, in effetti, che non trova da parte dello storico risposte semplici), è come mai l’integralismo sciita, mossosi apparentemente con molto ritardo rispetto a quello di stampo sunnita, giunga al potere in così poco tempo… Una seconda domanda riguarda il rapporto tra la rivoluzione di Khomeyni e la Modernità, argomento certo complesso ma fondamentale, che forse avrebbe meritato un approfondito supplemento di indagini.
Il libro della Sabahi è scritto in uno stile scorrevole e si lascia leggere con facilità. Lo completa una buona bibliografia e un indice dei nomi.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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Rigoberta Manchù il 4 marzo 2010 alle 04:18 ha scritto:
La storia dell'Iran dell'ultimo secolo viene ripercorsa con ampio ricorso a racconti aneddotici e curiosità, oltre che approfondimenti riguardanti la letteratura e il cinema nazionali. Sicuramente un vero manuale di storia potrebbe essere più sistematico e lineare nell'affontare la cronologia, in questo caso sono troppi i salti temporali, flash back e flash forward che sicuramente alleggeriscono la narrazione, ma la rendono inadatta ad uno studio propriamente storico basato su una cronologia rigorosa e funzionale, che non sia mera enunciazione di giorni, mesi, anni. Nel complesso molto interessante l'argomento, nonchè la scelta delle tematiche da approfondire,; purtroppo la lettura è ostacolata dai molti "dati per scontato" e dai salti in avanti/indietro che caratterizzano l'esposizione:potrebbe decisamente essere costruito e scritto meglio.