Il dio personale
(Religione e teologia)EAN 9788842088875
Giustamente il concetto di secolarizzazione viene sempre più indagato da prospettive scientifiche differenziate e sottoposto ad analisi multidisciplinari. Non sempre però il solo fatto che la secolarizzazione venga studiata da approcci di tipo filosofico, sociologico o politologico la rende una categoria critico-ermeneutica capace di cogliere efficacemente la natura e le trasformazioni del moderno. I recenti volumi di Charles Taylor e di Ulrich Beck hanno il merito di analizzare la secolarizzazione mettendola in relazione ad alcune dimensioni dell’umano capaci di aprirne l’autentica natura concettuale e la vera portata ermeneutica. L’anima multipla e processuale della secolarizzazione infatti può essere fecondamente compresa solo se fatta dialogare da un lato con la riflessione sui processi di costituzione della soggettività moderna e contemporanea e dall’altro con l’affiorare dei paradigmi sociologici della complessità e della pluralità. In altre parole comprendiamo cos’è la secolarizzazione solo alla luce dell’autocomprensione del soggetto e dei modelli interpretativi dell’organizzazione sociale: la secolarizzazione va posta tra la fatica dell’io e le avventure del noi. Una corretta interpretazione della «religione » non può, né deve fondarsi sulla distinzione trascendente/immanente.
È questo uno dei presupposti più solidi e convincenti da cui prende le mosse la trattazione proposta da Taylor. La religione, infatti, viene dilatata in una gestualità critica nel momento in cui non viene schiacciata o ridotta a semplice credenza nel trascendente. L’atto di fede non può né deve essere esclusivamente ricondotto, con una gestualità troppo autoreferenziale, a un chiedersi cosa ci sia al di là della mia vita presente. Il punto non è la semplice domanda sulla mia credenza piena e senza crepe in una dimensione spaziale o in un’identità personale ammantata di trascendenza. La domanda fondamentale per il credente cristiano, invece, chiede se la fonte della pienezza e della giustizia venga vista e vissuta come esterna o interna a me. Qui l’accento cade non sull’oggetto della mia personale conoscenza o sulla conoscenza dell’oggetto di fede. Il Dio personale cristiano è infatti antitesi e rimozione dell’alterità trascendente in quanto oggettualità, egli è dirompente rottura di un trascendente dogmatico mediante l’assunzione di soggettività. La religione cristiana rivela così la sua natura più profonda e peculiare nella misura in cui chiama l’uomo non esclusivamente a un atto cognitivo, ma pone l’uomo davanti a un movimento verso l’esterno. La pienezza, ciò che manca, ovvero ciò che mi salva è sempre eccentrica, sta fuori di me; devo incamminarmi per raggiungerla, devo predispormi a farmi raggiungere da essa.
La religione cristiana presenta questo al di là dell’uomo non come conoscenza da acquisire, bensì come possibilità concessa e donata di una trasformazione delle condizioni attuali e reali dell’uomo stesso. Il senso ultimo e direi critico-trascendentale della religione risiede proprio nell’idea «che esista un bene superiore alla prosperità umana, un bene che va al di là di essa. Nel caso cristiano, potremmo concepire questa dimensione come agape, l’amore che Dio ha per noi e di cui partecipiamo mediante il suo potere. In altre parole, ci viene offerta una possibilità di trasformazione che ci conduce oltre la perfezione meramente umana» (TAYLOR, 36). Qui viene abbozzata, ma non profondamente trattata, l’idea del trascendente come possibilità di trasformazione. Dio, che è insieme oggetto, interlocutore e cooperatore dell’atto di fede, non è una categoria ermeneutica conoscitiva, ma è condizione di possibilità del mutamento della realtà soggettiva dell’uomo, quindi condizione di possibilità di quella salvezza che passa attraverso il cambiamento e la trasformazione del mondo. In questo punto la religione si fa gestualità trascendentale: è il trascendente stesso infatti che fonda, apre e si rende garante dell’accesso conoscitivo ed esperienziale alla vita. Allo stesso tempo la religione coincide con una gestualità critica la quale opera solo mediante una pratica trasformatrice di quelle relazioni umane che sono in attesa di giustizia e di reciprocità.
Quanto qui appena abbozzato trova pieno respiro teoretico nell’opera di Elmar Salmann, ossia nella sua concezione ontologicotrascendentale, della visione del mondo in Dio. «Alla tua luce vediamo la luce (Sal 36,10): Dio è il primo conosciuto sul piano trascendentale non su quello categoriale». Le nervature più intime del cristianesimo non sono qui rinvenibili nell’oggetto conoscitivo di una scoperta; non è infatti la luce a coincidere con tale oggetto, bensì la visione e l’esperienza che quella luce rende possibile. Il cristianesimo si spalanca in quanto orizzonte aperto di esperienze possibili vissute alla luce di un trascendente personale che chiede di farsi idea regolativa, che chiede cioè di essere sale invece che sostanza del mondo, rimemorazione invece che attestazione, passione ermeneutica invece che mera imposizione di significati.
Quest’insistenza feconda sul primato trascendentale di Dio non dischiude solo uno tra i modi possibili per dire Dio, ma apre alla gestualità più accogliente e dignitosa con cui è possibile fare esperienza di Dio abitando pienamente il mondo tardo-moderno attraversato da processi secolarizzanti. La gestualità teorica appena delineata nel definire l’essenza della religione ha un ruolo preminente anche nella definizione di secolarizzazione proposta da Taylor. Il filosofo canadese infatti appronta lo studio della secolarizzazione non partendo dalla trasformazione storico-sociale delle credenze religiose, ma dalle condizioni di possibilità per cui tali credenze si danno e diventano esperibili. La secolarizzazione insomma coincide con quel mutamento «che ci ha condotti da una società in cui era virtualmente impossibile credere in Dio, a una in cui la fede, anche per il credente più devoto, è solo una possibilità umana tra le altre» (TAYLOR, 14). Tale impostazione si rivela fertile in quanto non descrive la complessa storiografia dei processi secolarizzanti come mera sottrazione delle credenze o delle pratiche religiose alla loro incisività e visibilità. La secolarizzazione non coincide con una lenta ma inevitabile ritrazione delle religioni dallo spazio pubblico, né con la regressione naturale di quel tipo specifico di credenza e di pratica che chiamiamo religione. Più efficacemente potremmo dire che la secolarizzazione non è sintetizzabile in un processo sottrattivo o esclusivamente regressivo: «La nascita della modernità non si riduce alla storia di una perdita, di una sottrazione » (TAYLOR, 42).
Nell’analisi storica proposta da Taylor le ondate secolarizzanti non hanno tanto a che vedere con una privazione di autorità o di riconoscimento della religione cattolica, quanto con una gestione della pluralità delle forme di vita religiose. La secolarizzazione si configura, invece, come processo storico di regolamentazione degli equilibri plurali. Il cattolicesimo medievale, ad esempio, è coinciso con un mondo religioso capace d’incorporare una sorta di equilibrio fondato sulla complementarietà gerarchica degli stili e degli stati di vita. La pluralità delle forme celibatarie o laicali e degli ordini religiosi ne sono una plausibile conferma. La premodernità conosce un mondo pluralista e policentrico fondato sulla convivenza complementare di funzioni e istituzioni. La modernità, e con essa il primo movimento della secolarizzazione, trasforma tale scenario di modelli compresenti e gerarchicamente combinati alla luce di un criterio umanistico di uguaglianza e di mutualità tra quei soggetti della storia che da collettivi si fanno sempre più individuali e soggettivi. L’irrompere di una sfera economica sempre più articolata e pervasiva e l’affermarsi di una sfera pubblica sempre più autonoma hanno portato a interpretare spesso tale idea di uguaglianza degli attori sociali come interscambiabilità dei ruoli e delle funzioni, propria di una logica economicistica. I modelli complementari di vita sono diventati lentamente relazioni fluttuanti di mutuo servizio tra individui uguali con il rischio però che tale reciprocità degeneri in interscambiabilità, indifferenza e sostituibilità.
La svolta antropologica e sociale della modernità ridisegna un mondo caratterizzato da un insieme interconnesso di attività di produzione, di scambio e di consumo basato su un sistema economico dotato di leggi proprie. Si definisce un luogo di coesistenza in cui si sperimentano relazioni d’interconnessione. «Lo sviluppo dell’ordine disciplinato, strumentalmente razionale, del beneficio reciproco ha rappresentato la matrice all’interno della quale è potuta avvenire la svolta. La svolta è il cuore e l’origine della “secolarizzazione” moderna, nel terzo senso in cui ho utilizzato tale termine, quello cioè delle nuove condizioni in cui la credenza e la non credenza coesistono precariamente e spesso entrano in conflitto nella società contemporanea» (TAYLOR, 378). Quella che Taylor descrive è riconducibile a una sorta di trasformazione antropologica della modernità, svolta sempre declinabile alla luce dei mutamenti sociali e non di una vaga e astratta natura dell’uomo. La stessa svolta verso l’individualismo religioso moderno viene descritta da Beck nei termini di una progressiva invenzione dello «spazio interiore » dell’uomo che, contrapposto dialetticamente allo spazio religioso pubblico, apre ai soggetti la via dell’intimo dialogo quotidiano con il proprio Dio. I soggetti moderni sono così chiamati ad avventurarsi in forme espressive individuali anche nella pratica della propria fede: è la nascita del «Dio personale». L’aspetto più interessante dell’opera di Beck consiste però nella ridefinizione critica del concetto stesso di secolarizzazione alla luce di quello che egli chiama individualismo religioso. Se la teoria comunemente accettata di secolarizzazione è sostenuta dalla tesi secondo cui la modernizzazione comporta un’inevitabile marginalizzazione delle religioni, l’idea di individualismo religioso afferma che nel progredire della modernizzazione le religioni non scompaiono, ma mutano il loro volto, operano mediante distinzioni e categorie che prima erano assenti. L’individualizzazione cristiana è una di queste.
Il «Dio personale », infatti, non è un’invenzione postmoderna bensì «il culmine di un lungo processo d’individualizzazione che si colloca all’interno della stessa tradizione cristiana e nel corso del quale l’autonomia dell’individuo si è affermata, passo dopo passo, contro la definizione collettiva di religiosità e di sfera sociale» (BECK, 111). Ciò che in tale processo deve essere contrastato è quello che Beck definisce il fraintendimento individualistico dell’individualizzazione. L’invenzione del Dio personale non coincide necessariamente con un Dio inventato a misura e forma di una soggettività autoreferenziale e monadica. L’individualizzazione moderna non deve richiamare automaticamente sentimenti o interessi individuali e quindi egoistici, tanto più l’individualizzazione religiosa moderna non deve essere letta come accesso personale alla trascendenza e svincolato da ogni mediazione istituzionale e sociale. Se nella modernità l’individuo scopre di orbitare attorno a se stesso, non sempre l’individualizzazione religiosa ha stabilito che l’individuo stesso sia l’artefice di tale orbita. Il soggetto moderno, creatore della propria religiosità, è sempre posto, collocato e situato in un’orbita di senso in cui la sua stessa individualizzazione si compie. L’individualizzazione religiosa in ambito cattolico si è dovuta confrontare particolarmente con tale dimensione della secolarizzazione perché proprio in questo scenario di modernizzazione è potuta emergere la vitale ambivalenza dialettica del cattolicesimo storico.
Tale ambivalenza costitutiva coincide con la tensione sempre aperta tra la sovranità della scelta soggettiva e la necessità di istituzioni. Uno dei meriti della secolarizzazione sta proprio nell’aver rimandato incessantemente i soggetti credenti alla fatica cattolica più peculiare, quella di abitare la vitale frattura che separa libertà e istituzione, quella d’incarnare l’atto di fede nel fianco squarciato della Chiesa che è insieme comunità di libertà e comunità di credenti. In altre parole la secolarizzazione ha aperto alla dimensione matura e all’orografia moderna del cattolicesimo, ha richiamato all’urgenza di dover riconfigurare sempre e incessantemente quella scena della fede che è delimitata dal fondale della libertà nel e del battesimo e il proscenio della convivenza dei credenti all’interno dell’ortodossia istituzionale della comunità di fede. È interessante notare come Beck, alla luce di tali osservazioni, colleghi il principio fondamentale della religione cristiana a una precisa idea metodologica con la quale «non si intendono principi idealistici, che si affermano nel processo storico in quanto emanazione interiore (logica), bensì spazi di possibilità o potenzialità, per esempio creazioni collettive di tipo discorsivo, la cui produzione non poggia soltanto su punti di vista pionieristici, ma richiede anche risorse materiali. Inoltre, la loro selezione e validità è fondata, non ultimo, sulla loro funzionalità storico-contestuale rispetto al potere» (BECK, 122).
Tratto dalla rivista Il Regno n. 20 del 2009
(http://www.ilregno.it)
Ulrich Beck, sociologo tedesco che si è occupato di temi quali la società globale del rischio, la modernità riflessiva, l’individualizzazione e l’individualismo istituzionale, nonché del cosmopolitismo, in questo lavoro si cimenta con la religione o la religiosità nella modernità europea. Insieme a un’aggiornata teoria della secolarizzazione, l’A. individua il tema della violenza connessa alle pretese veritative delle religioni, in particolare quelle monoteistiche. Ne segue l’ambivalenza fondamentale delle religioni, in bilico tra tolleranza e violenza.
Questo aspetto è studiato all’interno della prospettiva di una .cosmopoliticizzazione. delle religioni, ovvero con l’inclusione delle prospettive religiose e culturali altrui nelle proprie osservazioni e analisi (cosmopolitismo metodologico). La prospettiva teorica che guida il libro consiste nell’individualizzazione e cosmopoliticizzazione della religione nel quadro della modernità riflessiva (59). L’A. propone una tesi per analizzare in modo nuovo il sentire la propria religiosità. Questa tesi è espressa nel sottotitolo dell'edizione italiana: «religiosità secolare». L’A. non prende in considerazione tutte le religioni universali con i loro contatti reciproci. Tale approccio darebbe luogo a una asimmetria nell’analisi, perché, specifica l’A., «al centro della mia attenzione si trova infatti il contesto europeo quale crocevia delle dinamiche contraddittorie del fenomeno religioso» (81). Dopo un’introduzione sociologica che tematizza il ritorno degli dei e la crisi della modernità europea, si prendono in considerazione due volti delle religioni: l’ambivalenza fondamentale delle religioni (alla luce di dieci tesi sulla religione, la religiosità e la fede personale), e l’eresia rappresentata dall’invenzione del “Dio personale" sullo sfondo del processo di individualizzazione e di sacralizzazione degli individui. Con questo secondo aspetto si vuole indicare quel processo tramite cui, nelle società occidentali, ogni persona con sempre maggiore indipendenza crea quelle narrazioni religiose che meglio si adattano alla propria vita “personale " e al proprio “personale" orizzonte di esperienza.
Di conseguenza si ha un meticciato religioso, perché alla logica dell’aut aut che segnava religione, societ à e politica, nella seconda modernità si sostituisce quella del vel vel’ Su questa logica l’A. ritorna più volte per disinnescare assolutizzazioni, intolleranze e fondamentalismi. Al contrario delle chiese e delle sette, il Dio personale non conosce infedeli, perché non conosce verità assolute, gerarchie, eretici, pagani o atei. Nella ricerca nomade della trascendenza religiosa, gli individui sono sia credenti sia non credenti, contraddicendo le pretese veritative delle religioni e delle chiese. Di fronte ai conflitti del XXI secolo, e in particolare a quelli religiosi che attirano l’opinione pubblica mondiale, l’A. illustra cinque modelli di incivilimento dei conflitti religiosi mondiali, e propone, in conclusione, che le religioni sostituiscano alla ricerca all’affermazione della verit à la ricerca della pace.
Questa operazione è possibile secondo l’A. in quanto le religioni sono agenti di modernizzazione nella società globale, e i suoi contenuti sono una realtà e una forza relativamente autonome piuttosto che potenzialità capaci di scuotere il mondo. In altri termini la religione «può e dovrebbe diventare da oggetto e vittima del disincanto, protagonista di una modernizzazione riflessiva nella società globale del rischio» (84). Solo quando, a dire del sociologo tedesco, le religioni dei vari “Dei unici. si impegneranno a fondo per incivilire se stesse e cesseranno di evocare la violenza come mezzo di missione, il mondo avrà un’opportunit à, una speranza. Il libro, che costituisce una sorta di incursione di un brillante studioso in un campo non proprio di sua competenza, anche se con interessanti intuizioni e analisi, è fedele al “secolarismo metodologico . nello studio del fenomeno religioso, di cui si mette in evidenza la dimensione soggettiva in riferimento all’avanzare di un “Dio personale. nella religiosità contemporanea. A parte la dimensione sociale o collettiva delle religioni su cui si è esercitata l’analisi sociologica sin dagli inizi, in merito al Dio personale che sarebbe una proprietà, un’intimità, una esclusività che cancella i dogmi e infrange il potere ecclesiastico, si può certo rilevare sul piano della storia e vicenda religiosa che «i mistici da Caterina da Siena e Teresa d'Avila, a Teresina di Lisieux hanno tutti un intimo rapporto con Dio.
Un Dio personale ma non per questo fonte di individualismi. Forse Beck ha rimosso secoli di storia della Chiesa e si compiace di introdurre la parola “eresia"» (cf G. Santambrogio in Il Sole 24 Ore, Domenica 11 ottobre 2009, 37). Con questa annotazione non intendiamo certo rimuovere le dinamiche religiose della modernità che l’analisi sociologica esplora, rispondendo così all’«esigenza conoscitiva della sociologia, ma forse anche dell’autocomprensione della religione» (4).
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 3/2011
(www.rassegnaditeologia.it)
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