È ormai ben noto che la frontiera scientifica più avanzata e potenzialmente più innovativa, letteralmente esplosa negli ultimi decenni, è rappresentata dalla ricerca neuroscientifica, che progressivamente sembra in grado di svelarci “come funzionano le cose nelle nostre teste”, e quindi, secondo alcuni, sembrerebbe in grado di dirci finalmente “chi siamo”. Prima di ponderarne pregi e difetti, mostrando luci e ombre della ricerca neuroscientifica, è doveroso quanto meno un approccio introduttivo al suo lessico e alla sua semantica. In questo senso il testo di Alberto Oliverio, tra i maggiori specialisti italiani di neuroscienze (oltre che tra i primi a porsi il problema dei loro risvolti etici e sociali), rappresenta senz’altro uno strumento preziosissimo, oseremmo dire indispensabile per chi sia alla ricerca di un’introduzione sintetica eppur rigorosa all’argomento.
Delle neuroscienze viene offerta una “prima lezione” che non trascura nessun aspetto della questione: dalla ricostruzione delle origini delle neuroscienze moderne, alla descrizione dello sviluppo e dell’evoluzione biologica della struttura neuronale, all’analisi della dimensione neuronale dell’emozione, della memoria, delle capacità musicali, matematiche, linguistiche, alle riflessioni sui risvolti etici delle neuroscienze. Il tutto con grande equilibrio argomentativo, scevro da qualsiasi estremismo (in senso riduzionistico o dualistico) e attento alla complessità dell’oggetto, affrontata con una sapiente ibridazione di linguaggio specialistico e chiarezza comunicativa. In sintesi (ed è questo un dato di grande valore, non solo sul piano scientifico, ma anche su quello etico e antropologico), la caratteristica principale del cervello messa in risalto nel testo è la sua plasticità, nel senso che diverse aree cerebrali (soprattutto della corteccia) possono farsi carico di diverse funzioni (si pensi al caso di lesioni che innescano un processo di compensazione per cui un’area si assume funzioni originariamente non sue). Quali sono le conseguenze di questa caratteristica del cervello sul piano etico? È possibile parlare di una naturalizzazione su base neuroscientifica della morale? È proponibile una “neuroanatomia” della morale, che ci consenta di individuare l’organo dell’etica? L’autore affronta tali questioni, pur limitandosi a introdurre le diverse prospettive possibili.
Un aspetto interessante messo in luce da Oliverio è che i diversi studi neuroscientifici ci permettono di postulare una dimensione interpersonale della mente che non dipende solo da meccanismi culturali ma anche dall’entrata in funzione di meccanismi cerebrali che vanno dal rispecchiamento delle azioni altrui alla capacità di riconoscere le emozioni altrui (si pensi ai neuroni specchio), o di provare disgusto attraverso l’entrata in funzione dell’insula dell’emisfero destro, una regione cerebrale implicata in funzioni emotive: questi sistemi possono essere considerati come delle strategie evolutive alla base di valutazioni morali di tipo naturale. Ora, cosa questo comporti per le teorie morali tradizionali è ancora tutto da chiarire (è questo il vasto e affascinante orizzonte della neuroetica), ma indubbiamente c’è un gran bisogno di scienziati dall’ingegno fine ed equilibrato come Oliverio disponibili al dialogo con la filosofia per chiarire e tentare di dare una seppur parziale e provvisoria risposta alle sfide delle neuroscienze.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
-
19,00 €→ 18,05 €