Il libro si rivolge, in primo luogo, alle persone che fanno professione di solitudine (monaci, eremiti, ecc.), ma si indirizza anche a tutti coloro che vogliono costruire il regno interiore di cui si parla nel vangelo.
PREFAZIONE
di Enzo Bianchi
Occorre essere veramente poco prudenti per proporre oggi un libro di spiritualità eremitica, un libro che è un elogio della solitudine scelta come luogo privilegiato per la ricerca di Dio.
Audacia dell'Editore e audacia di chi presenta il libro con questa breve ed elementare prefazione. Ma io credo che il discorso dell'eremitismo come molti altri discorsi che riguardano itinerati di fede non debba essere tralasciato solo perché non è un discorso d.i moda.
È vero che la nostra cultura e l'attuale fase ecclesiale sono contraddistinte dall'impegno, dal rifiuto della fuga mundi e vigilanti su tutto ciò che possa sembrare evasione, abbandono dell'uomo, intimismo, isolamento, e se credo che dobbiamo rallegrarci di questa "situazione" dei cristiani, capaci di collocarsi nella storia: umana, credo pure che la spiritualità eremitica abbia ancora un senso, debba ancora trovare uomini che la vivono e la trasmettano ai fratelli. Unica esigenza che mi pare ineliminabile e radicale è il confronto tra l'eremo e il deserto della Bibbia, un più preciso ancoramento, nella definizione dei tempi e dei modi, una rilettura del suo significato alla luce delle esigenze dell'uomo di oggi.
E diciamo subito che questo testo ci pare importante innanzitutto perché rilegge tutto il fenomeno dell'eremo alla luce della parola di Dio: sintesi abbastanza rara per chi conosca la letteratura monastica, avvezza un tempo a cercare affannosamente giustificazione sull'eremo nella filosofia e, recentemente, nelle spiritualità orientali extracristiane. Questo monaco anonimo invece esplora la parola di Dio, e vivendo, quale certosino, sino in fondo la realtà dell'eremo riempie l'itinerario della solitudine di tutta la presenza di Dio quale ce la mostra la parola di Dio. L'autore, mi sembra, è riuscito a dimostrare che il deserto non è solo assenza di persone: è anche e soprattutto presenza di Dio. L'unica manchevolezza del testo, secondo me, è il fatto che non sia ribadito sufficientemente il carattere "provvisorio" e pedagogico dell'eremo per il cristiano, laico o monaco o prete che sia.
Ma se il lettore saprà leggere il libro tenendo presente che il deserto, come lo vuole la Bibbia, è un tempo provvisorio e di preparazione, allora riceverà un prezioso aiuto nello scendere a vivere il solo a solo, il faccia a faccia con Dio, e trover.à nell'esperienza del ritiro, dello stare in disparte, della solitudine, un itinerario privilegiato per giungere più speditamente al fine: l'immersione e l'abbandono in Dio. Questa prefazione vuole dunque evidenziare alcuni punti inerenti all'eremitismo, in modo che il lettore non si senta di /tonte ad un testo estraneo o per iniziati, tanto meno di fronte ad un testo che gli richieda, come parrebbe a prima vista, di fare l'eremita, il recluso o di scegliere la clausura; è invece questo un testo che lo riguarda se ha una fede abbastanza matura ed adulta da cibarsi non più di latte ma di cibo solido (cfr. 1 Cor. 3,2) e che lo pom! di fronte all'esigenza di mettersi ogni tanto in disparte per l'incontro con Dio solo.
E certamente hanno questo diritto privilegiato di cercare il Dio solo quanti hanno dimostrato di aver saputo vivere con i fratelli nella comunità degli uomini, e hanno questo dovere quanti sono impegnati nell'attività umana, sociale, politica, sindacale e pastorale, se vogliono conservare il contatto personale con la fonte del loro agire e operare: Dio, se vogliono immergersi nel mondo portandovi quel Dio che anche l'eremo e il deserto avrà fatto conoscere e non restare sommersi. Il Deuteronomio chiama il deserto «eremo grande e- terribile» (8, 14), dove Israele, il popolo eletto da Dio fu condotto prima di entrare nella terra delle promesse e delle benedizioni. ll deserto nella Bibbia è dunque un itinerario spirituale. Lo percorre Abramo il padre dei credenti, lo vive Mosè il legislatore, Elia il profeta, Giovanni il preparatore della via al Messia che viene. Cri.sto stesso consumerà poi in sé tutte queste parabole del deserto, andandovi per essere tentato e vincere il Divisore, l'Avversario, il Principe di questo mondo, prima di iniziare l'opera di liberazione. L"autore si addentra nel tema dell'eremo proprio a partire da questi itinerari biblici e mi pare che questo metodo sia un autentico modo di correggere le possibili sbavature di una spiritualità eremitica.
C'è una lettura dei testi fatta veramente con intelligenza spirituale, una applicazione personale feconda che non cade mai nell'intimismo, un modo di sentire il deserto che segue la grande tradizione rabbinica e soprattutto monastico-cristiana, dove il tema del dialogo tra creatura e Dio è sponsale «l'attirerò al deserto, gli parlerò al cuore, mi fidanzerò con lei per sempre [ .. ]» così diceva Osea. L'autore ci pare tenga sullo sfondo del deserto soprattutto questa visione del profeta e fa sì che il libro sia, oserei dire, «un cantico dei cantici eremitico». Dalla lettura del libro si impara a capire che la vita eremitica non è una fuga: e sovente quelli che rimproverano ciò alla vita monastica sono proprio quelli che praticano la fuga dal mondo, nel quale non sanno vivere. Non c'è infatti nella spiritualità eremitica akuna mistica della fuga dell'umanità. L'eremita porta con sé, in sé, l'uomo che cerca di tra-sfigurare, di purificare attraverso un'attenzione costante a Dio. L'uomo che si immerge nel deserto infatti, non trovi pace e calma, né una situazione di oblio: anzi vi trova l'Avversario, il Seduttore di tutta la terra, i Signori di questo mondo di tenebra. L'eremita non va nel deserto per spogliarsi del peso dell'umano o della presenza tra gli uomini, ma per sostenere la predicazione degli apostoli. Maria che non annuncia, ma conserva tutte le cose in cuor suo meditandole non è figura della chiesa quanto gli apostoli? Nella fondazione della chiesa, nella pentecoste Maria e gli apostoli sono insieme e testimoniano in due modi differenti la capacità di ricevere la parola di Dio e di farla fruttificare.
Parte prima - IL DESERTO
Io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os. 2,16).
Dio ti fa una grazia di scelta attirandoti nel deserto .. L'appello è gratuito e tu non potrai perseverarvi che per divina condiscendenza. Avrai sempre davanti agli occhi questo privilegio dell'amore di Dio per la tua anima, e l'apprezzerai progressivamente. Entrandovi, tu ignori, malgrado le tue letture e quello che tu chiami la tua esperienza, ciò che ti riserva la solitudine del deserto. Là, come in ogni luogo, non vi sono due anime che seguono la stessa pista e Dio non si ripete nelle sue creazioni.
Raramente (forse mai?) rivela anticipatamente i suoi disegni. Entra nel deserto umile e distaccato. Per Dio che ti attende là, tu non porti niente che valga, se non la tua totale disponibilità. Più leggero sarà il tuo bagaglio umano, più sarai povero di ciò che il mondo stima, più avrai probabilità di riuscita, perché Dio sarà più libero di plasmarti. Egli ti chiama a vivere faccia a faccia con lui solo. A niente altro. L'azione diretta sugli uomini, sia pure con la penna, non entra assolutamente nelle prospettive intenzionali del deserto.
Bisogna dunque accettare di perderti completamente. Se tu desideri in segreto essere o diventare "qualcuno", sei votato allo scacco. Il deserto è spietato: respinge immancabilmente chiunque vi si ricerchi. Entraci in una santa nudità.