Rendere gloria a Dio
-Preghiera e culto nell'antichità in prospettiva culturale
(Suppl. all'Introduzione allo studio della Bibbia)EAN 9788839408426
Il tema della preghiera ha una lunga storia e una serie di pubblicazioni senza numero. Un tema sempre attuale e vivo, che non sembra invecchiare mai o esaurirsi con lo scorrere degli anni. Si va da voci presenti in numerosi dizionari, da monografie scritte da angolature diverse, a partire ad esempio dal dato biblico, per passare poi a quello teologico, liturgico e celebrativo, fino alle stesse modalità del canto liturgico.
Non mancano poi nei centri di studio seminari e laboratori di approfondimento a livello teologico spesso in chiave esperienziale e di vissuto credente. Perché allora questo nuovo libro? Non può riuscire una stanca ripetizione di tematiche scontate e note? È l’A. stesso che nell’introduzione risponde a questa possibile obiezione: «Per approfondire il metodo con cui affronto lo studio della preghiera nella Bibbia sono ricorso all’aggiunta “in altre parole”. L’alterità delle “parole altre” consiste nell’uso di materiali provenienti dalle scienze sociali per interpretare una cultura radicalmente “altra” rispetto alla nostra […]. Il modo migliore di riconoscere e interpretare l’“alterità” delle Scritture consiste nell’uso di modelli e concetti delle scienze sociali, in particolare dell’antropologia culturale» (p. 11).
In questa precisazione sta lo specifico e la peculiarità di questa ricerca. Vi è la convinzione che servendosi di «lenti culturali» adeguate al caso è possibile iniziare a vedere e a capire meglio il mondo del Nuovo Testamento. L’impiego e l’uso di modelli culturali non dovrebbe svuotare del loro spirito le preghiere in quanto tali, ma permettere di scoprire e contestualizzare meglio con lucidità e intelligenza lo sfondo ambientale del mondo del Nuovo Testamento per risultarne in definitiva propositivo e costruttivo. Al momento non è male avere davanti agli occhi i sette capitoli in cui si snoda la ricerca: cap. 1: «Suppliche, preghiere, intercessioni e rendimenti di grazie» (1Tim 2,1) (pp. 14-35); cap. 2: La preghiera in altre parole: attraverso le lenti della cultura (pp. 36-62); cap. 3: Cinque preghiere del Nuovo Testamento in altre parole (pp. 63-104); cap. 4: Lode dell’unicità di Dio, il «primo», il «solo» e «nessuno fuori di lui» (pp. 105-132); cap. 5: Il culto in altre parole: modelli culturali appropriati (pp. 133-151); cap. 6: Il culto nel quarto Vangelo. Interpretazione culturale di Gv 14-17 (152-184); cap. 7: La Didachè e la Prima Apologia di Giustino: quadri di culto cristiano (pp. 185-218).
Ci si avvede subito che alcuni capitoli (1, 3, 4, 6, 7) intendono puntare direttamente l’attenzione sulla preghiera in campo biblico; gli altri invece (2, 5) offrire il contesto culturale che fa da sfondo al discorso generale, con lo scopo di metterne in luce la continuità, ma anche la discontinuità e il progresso presente nella pagina biblica. Nel primo capitolo vengono studiate la definizione e la tipologia della preghiera. Non poteva essere altrimenti! Ma si dice subito che da sole non sono sufficienti per far scoprire le dinamiche culturali presenti nella stessa preghiera biblica. Per comprendere gli antichi nel loro vocabolario, «è necessaria non soltanto una migliore intelligenza del linguaggio originale, ma anche una sua comprensione in termini culturali» (p. 35). Di qui come risposta il secondo capitolo, dove si passa allo studio delle «lenti» fornite dalle scienze sociali. Ed è tramite esse che si cerca di leggere e di interpretare le preghiere antiche in termini piú consoni al caso.
Tra di esse vengono indicate le seguenti: i valori comparativi, l’onore e la vergogna, la teoria dello scambio, le forme della reciprocità, il rapporto patrono-cliente e i riti. A parere dell’A., queste sono indicazioni provenienti da antropologi accreditati, esperti quindi nell’interpretare adeguatamente tali modelli nella vita culturale degli antichi. Nel terzo capitolo ci si propone di raggiungere l’obiettivo della ricerca, ossia leggere le preghiere del Nuovo Testamento «in altre parole». Si lascia da parte per ora lo studio piú usato per le preghiere bibliche come il punto di vista letterario, linguistico, storico e redazionale. Si applicano invece le «lenti» sopra indicate, per evidenziarne i significati nuovi e finora forse ignorati. Si analizzano quindi tramite categorie sociali e culturali non di facile accesso all’odierno lettore. A tale proposito si afferma che, per colmare la distanza temporale e culturale fra il mondo del Nuovo Testamento e i lettori moderni, sono necessari modelli d’indagine adatti al mondo mediterraneo del I secolo. In questa linea si leggono cosí «in altre parole» le seguenti preghiere bibliche: il Padre nostro (Mt 6,9-13), la preghiera della chiesa (Atti 4,24-39), alcune dossologie delle lettere di Paolo (Rm 16,25-27; Ef 3,20- 21; Gd 24-25; 1Tm 1,17); il Magnificat (Lc 1,46-55) e la preghiera finale di Gesú (Gv 17).
Un tale impiego dovrebbe spingere il lettore a soffermarsi piú a lungo sui singoli temi e a cercare di raggiungere uno scenario piú adeguato per chiarire e spiegare i dati. Nel capitolo quarto si esamina un altro tipo di preghiera, quella messa a fuoco nel titolo stesso del libro: la preghiera di lode, la preghiera che loda, onora, glorifica e celebra Dio. Si tratta in particolare della dossologia. Con essa ci si rivolge a Dio in termini formali di grande rispetto. Ovviamente non si tratta della lode di uomini da parte di altri uomini, ma della lode di Dio. Si inizia passando in rassegna la terminologia dell’unicità come viene presentata nei manuali delle retorica dell’antichità (cf. Aristotele, Cicerone, Quintiliano). Un tale studio comparativo dà la possibilità di guardare non solo alle dossologie, ma anche alle preghiere di riconoscimento che si incontrano con frequenza nei salmi. Sono preghiere che confermano la gloria, l’onore e il potere di Dio. Il capitolo quinto si propone di analizzare l’argomento del culto e della preghiera mediante modelli adatti a una tale interpretazione. Il culto è visto come sinonimo di una vita di venerazione, espressa in pietà e in atti liturgici.
Consapevoli che lo spazio è piuttosto ampio, ci si limita a esaminare l’oggetto del culto (cioè la figura che ne è degna), lo scopo (ossia il rendere onore alla divinità), le forme (come la pietà e la liturgia). Ne risulta che un tale studio porta a distinguere piú modelli o tipi di preghiere; ne emergono dati che spesso non vengono alla luce e tanto meno compresi nell’immediato. Nell’esame in atto appare il legame che unisce le varie parti, dando unità a ogni elemento. Il capitolo sesto esamina il culto in Gv 14-17, un tratto di Vangelo analizzato in genere dagli studiosi come discorso di saluto, di commiato. Queste preghiere di Gesú – in particolare la cosiddetta preghiera sacerdotale di Gv 17 – possono essere studiate come espressione della preghiera di «culto». E questo secondo due orientamenti cultuali: il discorso rivolto a Dio (la preghiera in quanto tale) e l’ascolto di Dio (ossia la profezia, l’omelia, gli oracoli di salvezza e di giudizio).
Una tale impostazione – integrata con un modello di comunicazione e «con nozioni di spazio sacro mobile contrapposto a quello fisso» (p. 184) – può allargare l’orizzonte sul culto in quanto tale, non solo in questi capitoli del quarto Vangelo, ma anche negli altri passi giovannei. Nell’ultimo capitolo l’A. esce di per sé dall’ambito biblico. Analizza due scritti dei primi tempi della chiesa: la Didachè e la Prima Apologia di Giustino. Tuttavia vengono esaminati con il medesimo modello impiegato in precedenza, data la loro vicinanza con il contesto cultuale e spirituale. Risponde al vero quanto si afferma: «Nella chiesa primitiva questi due scritti sono i piú consapevoli in materia di culto; non che lo definiscono e lo spieghino, ma costituiscono la tela piú ampia su cui esporre gli elementi del culto come allora veniva praticato. Contengono cioè le tessere del mosaico a cui il modello di culto dà forma o disegno» (p. 185). Al termine della panoramica ci si può chiedere se l’obiettivo proposto in partenza è stato raggiunto e il presente studio offra una «lettura originale» della tematica. Si può rispondere di sí, almeno sul versante dell’apertura a un campo tutto da esplorare e da studiare. Ossia non tanto nelle sue linee generali (cf. preghiera nell’ambito mesopotamico, accadico, egizio…), ma nel fatto di posizionare la ricerca nel contesto immediato della pagina biblica (periodo inter testamentario, ellenistico, latino) e questo ovviamente nell’ambito culturale contemporaneo.
Degni di nota e utili per una sintesi e un ulteriore studio sono anche gli exscursus che appaiono al termine di ogni capitolo: Dio beneficia di onore ascritto e/o acquisito? (p. 27); che cosa significa in greco «rendere grazie» (p. 31); presente e futuro (p. 71); pregare mediante Gesú (p. 137); tratti fondamentali dei rapporti patrono-clienti (p. 178); la Didachè, il Vangelo (prevalentemente in Matteo) e le Scritture (p. 205). Questi sommari sono strettamente legati alla riflessione del tema presentato in antecedenza e aiutano il lettore a sottolineare i punti essenziali di quanto si è andato esaminando. Per proseguire lo studio il lettore ha nella parte finale del libro un’ampia bibliografia. Sono dieci pagine (pp. 123-133), anche se incentrate nella maggior parte dei casi nella lingua inglese (sono poche le pubblicazioni che hanno la fortuna di una traduzione in italiano). Non è privo di valore anche l’indice analitico delle singole tematiche principali, anche se limitato a due pagine (pp. 235-236).
Molto piú ricco sul lato dello studio e approfondimento invece l’indice dei passi a cui si fa riferimento nella presente ricerca: Antico Testamento, Nuovo Testamento, Letteratura giudaica, Letteratura profana greca e latina. Rimane alla fine un’ultima domanda: quale traduzione della Bibbia è stata usata nei numerosi testi biblici riportati? Dato che il libro in lingua italiana proviene dall’originale in inglese, è ipotizzabile che l’A. abbia fatto riferimento a un testo in tale lingua, successivamente tradotto nell’attuale lingua italiana. Tuttavia non si riscontrano citazioni o passaggi di traduzione non condivisibili.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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