Cambiare prospettiva su Gesù. Dove sbaglia la ricerca su Gesù storico
(Studi biblici)EAN 9788839408044
Si tratta di un prequel, per ricorrere a un termine ormai entrato nell’uso (cinematografico) anche italiano, alla ponderosa opera maggiore su Gli albori del cristianesimo (in corso di pubblicazione). Qui l’Autore, la cui fama internazionale depone a favore della serietà del suo impegno scientifico, individua alcune manchevolezze, sul piano metodologico, della cosiddetta Third Quest. In particolare lamenta come non si sia tenuto debito conto del fatto che la tradizione su Gesù era in origine veicolata in forme orali, necessariamente variabili, che solo in seguito sono state messe per iscritto. Era una tradizione, insomma, destinata a essere utilizzata, più che conservata; eseguita, più che preservata; ascoltata, più che letta.
Tratto dalla rivista Concilium n. 4/2011
(http://www.queriniana.it/rivista/concilium/991)
I risultati di quasi 200 anni di «ricerca del Gesù storico» sarebbero viziati – è questa la tesi del saggio – dal fatto che tale ricerca si è sviluppata in una cultura plasmata dal libro e quindi entro un paradigma letterario (definendosi in sostanza come ricerca dei documenti più antichi della tradizione sinottica). L’a. – docente emerito all’Università di Durham – presenta i limiti di una tale impostazione e propone, consapevole delle difficoltà, un cambiamento di paradigma per ripensare la prima trasmissione della tradizione gesuana nei termini, e secondo i caratteri, di una cultura orale come quella diffusa nella Galilea rurale del tempo di Gesù.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 18
(http://www.ilregno.it)
In analogia con quanto accade ogni volta che si apre un nuovo file del pc, per cui esso sarà automaticamente configurato secondo l’impostazione predefinita del sistema, anche la questione cruciale della «tradizione originaria di Gesú» è stata affrontata, nelle diverse fasi della ricerca sul Gesú storico, assecondando piú o meno esplicitamente e intenzionalmente le tradizionali impostazioni di default del «paradigma letterario».
Ora, però, risulta pericolosamente fuorviante e riduttivo descrivere un fenomeno primario (la tradizione di Gesú, appunto), partendo da uno secondario (i diversi strati delle testimonianze scritte) e cercando di eliminarne le differenze. Se non si compie lo sforzo di cambiare paradigma interpretativo e non si prende in seria considerazione il carattere orale della prima trasmissione, si rimane nella condizione di chi tenta di descrivere un cavallo, a chi non ne avesse alcuna idea, come «un’automobile senza ruote» (l’immagine è mutuata da W.J. Ong). Questa, in estrema sintesi e in maniera incisiva, la tesi del noto neotestamentarista inglese J.D.G. Dunn, già professore all’Università di Durham, che intende offrire nel presente volumetto una sorta di prequel della prima parte – già in sé poderosa e pubblicata dalla stessa Paideia in tre tomi col titolo La memoria di Gesú – di una progettata trilogia su Gli albori del cristianesimo. Convinzione di fondo – come denota il sottotitolo e come viene sviluppato nel primo capitolo – è che le ricerche precedenti abbiano sbagliato punto di partenza e modalità di approccio al problema, a partire dalla contrapposizione tra Gesú storico e Cristo della fede.
Lo sbaglio sarebbe originato dal fatto di aver trascurato gli effetti prodotti da Gesú stesso, nel corso del suo ministero pubblico, nell’attrarre discepoli e nel suscitare in loro un’adesione di fede: una fede iniziale, non ancora «pasquale», ma pur sempre «fede in Gesú», che plasmò fin dall’inizio la tradizione a lui relativa. In altri termini, il problema del Gesú storico non è quello di risalire a una sorta di reperto archeologico scavando sempre piú a fondo nei vari strati delle testimonianze documentarie disponibili. Il solo Gesú accessibile è «il Gesú visto con gli occhi e udito con le orecchie della fede», vale a dire «come fu visto e udito da coloro che per primi formularono le tradizioni esistenti» (p. 35). Ora, è convinzione dell’A. che questo Gesú sia realmente accessibile al ricercatore. A differenza però di Kähler e molti altri dopo di lui (sia fautori della Formgeschichte e della Traditionsgeschichte, che concepiscono di fatto ogni strato ancora come un testo scritto, sia autori della Third Quest), Dunn sostiene nel secondo capitolo la necessità di liberarsi del paradigma letterario, che la cultura attuale – volenti o nolenti – ci impone, e di riconoscere per contro che la trasmissione piú antica della tradizione di Gesú deve essere stata orale.
Ciò significa che abbiamo a che fare non con un testo letterario originario cui sarebbero seguite successive edizioni, ma piuttosto con un evento (che gode in molti casi di una oralità secondaria) essenzialmente comunitario (anche se persone specifiche avevano la responsabilità principale di conservare ed eseguire tale tradizione), che risulta essere una combinazione di fissità e flessibilità, di stabilità e variazione. Nell’ultimo passaggio, Dunn focalizza finalmente l’obiettivo non piú sul «Gesú diversamente peculiare» (ricostruito da un’«esegesi atomistica» in base all’applicazione di una criteriologia storica incentrata sul principio della dissomiglianza), bensí sul «Gesú caratteristico» della tradizione sinottica, vale a dire su ciò che fu caratteristico di Gesú in quanto giudeo, come pure della tradizione gesuana nella sua forma attuale. La proposta si articola cosí in tre aspetti: gli effetti prodotti da Gesú nella sua predicazione si espressero nelle prime formulazioni della tradizione di Gesú ancor prima di subire l’influsso della sua morte e risurrezione; la forza di tali effetti continuò a trovare espressione secondo una modalità di esecuzione e trasmissione orale, adattandosi ad ascoltatori e situazioni diverse; i tratti caratteristici presenti in tutta la tradizione di Gesú indicano chiaramente l’impressione che il Nazareno suscitò sui discepoli durante la sua missione. La corposa appendice (pp. 92-145) gode di fatto di una propria autonomia: riprende le osservazioni già avanzate sul paradigma letterario e le specificità della cultura orale e aggiunge ampie esemplificazioni esegetiche sul modo di ripensare la prima trasmissione della tradizione di Gesú.
Alcuni elementi di rilievo rimangono tuttavia, anche a detta dell’A., da puntualizzare e approfondire: i criteri secondo i quali una forma della tradizione era ritenuta rispondente al suo impulso originante e la funzione di controllo esercitato dalla comunità sulle esecuzioni di tale tradizione; l’influsso della fede pasquale, che divenne evidentemente ben presto il contesto entro il quale la tradizione era eseguita; il rapporto tra la tradizione sinottica e quella giovannea.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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