Lettera a Filemone
(Studi biblici)EAN 9788839407535
Il commento alla Lettera a Filemone del professor Klaus Wengst, docente di Letteratura neotestamentaria e Giudaismo presso l’Università di Bochum, è già noto al pubblico di lingua tedesca col titolo Das Brief an Philemon (presso la Theologischer Kommentar zum Neuen Testament, 2005) ed è stato ora tradotto in italiano. L’Introduzione (pp. 19-53) affronta le questioni legate al testo e alle sue testimonianze, alla traduzione, alla forma e alla struttura; secondo lo studioso tedesco, lo scritto A Filemone «può essere definito una lettera di richiesta» (p. 28). Ampio spazio è dedicato alle situazioni e agli interessi delle persone coinvolte: Filemone, Onesimo e Paolo; ognuno vive una propria situazione che solo in parte converge con quella degli altri due e che, talvolta, è anche in contrasto con essa.
Nella parte seconda si offre un commento (pp. 54-91) puntuale della missiva paolina; si apprezzano il rigore scientifico e la perizia del contesto anticotestamentario e giudaico con il quale Wengst si pone continuamente in dialogo consentendo al lettore, anche a quello meno competente, di pesare le affermazioni dell’apostolo alla luce della sua formazione giudaica ed ellenistica. La sezione conclusiva (pp. 92-142) pone idealmente in dialogo Plinio il Giovane, Seneca ed Epitteto sul tema del rapporto tra schiavitù e libertà, evidenziando le affinità e il novum del contributo paolino. A giudizio dell’esegeta tedesco, «l’epistola consente di gettare un rapido sguardo su uno squarcio della realtà sociale di allora: il rapporto tra schiavi e padroni nelle comunità, piccole e ancora molto recenti, nate in seguito alla predicazione di chi annunciava che Gesù, risuscitato da Dio dopo la morte in croce, è il messia» (p. 19). È tuttavia abbastanza sorprendente che manchi qualsiasi cenno all’indole retorica del biglietto paolino: se l’obiettivo di Paolo è di convincere Filemone a riaccogliere presso di sé lo schiavo fuggitivo Onesimo, è quanto meno utile identificare la strategia persuasiva utilizzata per perseguire tale obiettivo.
La struttura proposta Wengst corrisponde ai canoni dell’epistolografia classica: prescritto (vv. 1-3), proemio (vv. 4- 7), corpo epistolare (prima argomentazione: vv. 8-14 e seconda argomentazione: vv. 15-20), conclusione (vv. 21-25); questa prospettiva va integrata evidenziando la disposizione retorica del testo, dando visibilità anzitutto alle modalità argomentative presenti. A mo’ di esemplificazione, proponiamo di riflettere su due elementi retorici decisivi al fine di comprendere lo sviluppo della lettera e il suo messaggio: la tesi (v. 10) e le prove (vv. 11-14). È solo al v. 10 che Paolo rende nota la sua richiesta: egli supplica (parakalô) Filemone per Onesimo, considerato come un figlio generato nelle catene; solo successivamente il lettore sarà messo al corrente circa le motivazioni della richiesta. La richiesta è suffragata sulla base di garanzie e di prove che ne attestino l’utilità: in un’opera di sapiente intreccio, Paolo fa riferimento all’utilità di Onesimo per Filemone (v. 11) e per l’apostolo stesso (vv. 12-14), presenta la nuova condizione di Onesimo (vv. 15-16) e si impegna in prima persona a pagare i danni che può aver provocato la fuga di Onesimo (vv. 17-18). Se la dimensione retorica del breve componimento paolino non è stata debitamente tenuta in considerazione da Wengst, va nondimeno riconosciuto e apprezzato il suo studio esegetico, corredata da un uso saggio e parsimonioso delle note, anche se alcune interpretazioni avrebbero meritato un’analisi più approfondita. Ne segnaliamo due: 1) egli dichiara: «La relazione padre-figlio tra Paolo e Onesimo finirà per trasformare anche la relazione del padrone Filemone con lo schiavo Onesimo» (p. 74).
In quale direzione evolve la relazione Filemone- Onesimo? Forse Paolo avrebbe voluto “proporre” come paradigmatica la sua relazione con Onesimo anche a Filemone? 2)Wengst interpreta il sintagma en sarkì (“in carne”, v. 16) con il significato di «nella vita di tutti i giorni» (p. 84); tuttavia, non menziona altri passi biblici o extra che sostengano una simile ermeneutica. Questi rilievi non intendono assolutamente depauperare lo studio di K. Wengst, il cui contributo va apprezzato soprattutto per aver esplorato l’intreccio che lega i tre attori della lettera – Paolo, Filemone e Onesimo – non solo nei suoi aspetti giuridici e sociali, ma nel suo radicamento profondo all’interno della comunità cristiana.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
All’interno dell’epistolario paolino la lettera a Filemone è un caso del tutto singolare. La più breve tra le lettere considerate autentiche si presenta come la più privata; è infatti l’unica non indirizzata ad una delle sue comunità e il motivo è una vicenda pure molto personale: Fm mette in rilievo in particolare l’intreccio che lega tre persone: Paolo, Filemone e Onesimo. Scritto il meno teologico di tutti, è, assieme a Gal, quello che meglio lascia intravedere l’umanità dell’apostolo, il suo mondo affettivo e la sua destrezza argomentativa. Per di più, è quello che affrontando un peculiare episodio di schiavitù, mette in evidenza l’inevitabile rapporto tra fede cristiana e realtà sociale. Nessuna meraviglia che desti da sempre interesse e che ci siano ottimi studi sulla lettera. Anche se Fm ha conosciuto recentemente parecchi buoni commentari e studi, è da apprezzare la sollecitudine con cui Paideia Editoriale ha reso accessibile al pubblico italiano questo eccellente nuovo commento e la solita cura con cui l’ha editato.
L’Autore, esegeta tedesco ben noto, confessa di non aver pensato in un primo momento a farsi carico della lettera a Filemone – che era parte logica del progetto Theologischer Kommentar zum Neuen Testament che porta avanti la W. Kohlhammer Verlag di Stuttgart – e, quando si è deciso a farlo, “tirò fuori dal cassetto” lavori precedenti, quando, da giovane teologo e attivista di sinistra, era incuriosito dalle conseguenze che la teologia aveva sulla vita di ogni giorno nelle strutture sociali; «m’interessava capire – scrive nella Premessa – come interagiscono fra loro teologia e realtà». Queste circostanze, credo, aiutano a leggere e valorizzare l’opera. Il commento è ben articolato. Dopo una scelta e sufficiente – non eccessiva – bibliografia, la prima parte, dalla pagina 19 alla 53, presenta le questioni introduttorie: si ripassa l’attestazione tradizionale, si offre il testo, si riflette sulla forma e la struttura letteraria, si espone l’occasione, si identifica il mittente e i destinatari, l’argomento, il luogo e il tempo dello scritto. Questa prima sezione non offre novità per chi sia familiarizzato con la ricerca attuale paolina. La seconda parte, dalla pagina 54 alla 91, è dedicata all’esegesi e cerca di evidenziare, ai fini dell’interpretazione, l’argomentazione sviluppata da Paolo nel suo scritto. L’esegesi è fondata e convincente; questo recensore non ha trovato neppure in questa sezione novità né clamorose posizioni. Anche se viene presentata come “una sorta di appendice”, la terza parte, dalla pagina 91 alla 142, è, credo, la più mirata ed originale, quella in cui l’Autore risponde alla sua iniziale domanda sul rapporto tra realtà sociale e pensiero teologico. Per rispondere, ‘contestualizzando’ il tema della schiavitù e la libertà prendendo in esame quanto, assieme a Paolo, altri grandi pensatori coevi (Plinio il Giovane, Seneca e soprattutto, Epitteto) hanno dichiarato, mette in risalto quanto hanno in comune e tiene conto delle differenze e i loro motivi. Dopo aver riconosciuto che Fm riguarda un caso singolo, in cui l’apostolo prova un interesse personale fortissimo, nondimeno fa delle affermazioni di portata universale, Wengst esamina 1 Cor 7,17-24 e molto brevemente Gal 3,26-28 e 1 Cor 12,13, dove l’apostolo ha lasciato ravvisata, magari in modo più chiaro, il fondo della questione dal punto di vista cristiano: credere in Cristo è vivere “davanti a Dio” in una comunità fraterna che è la ‘nuova creazione’, dove le disuguaglianze esistenti nel mondo sono frantumate.
La comunità cristiana è pure il luogo della libertà per il servizio a Dio, una libertà però, che a differenza dei pensatori greci e romani, non è conquista individuale ma esperienza condivisa: nella comunità cristiana «lo schiavo sperimenta la liberazione e il libero la schiavitù… Per questo motivo può invitare a cercare non il proprio interesse ma quello dell’altro», conclude l’autore. A questo recensore pare che la domanda che ha guidato la ricerca dell’Autore, quella appunto di capire come interagiscono teologia e realtà sociale, anche se legittima, non sia stata dal tutto indovinata e sia alquanto fuorviante. È indubbiamente un aiuto confrontare Paolo con Epitteto o Seneca, ma resta un poco trascurata l’originalità delle posizioni paoline, la novità dei suoi motivi, l’ingegnosità della sua argomentazione, e l’implicazione affettiva che fanno di Fm una delle lettere – se non la lettera – che meglio riflette l’uomo, lo scrittore e l’apostolo in Paolo.
Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 2, 377-378
(http://las.unisal.it)
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