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Descrizione
La filosofia della storia sull'Olocausto ha versato fiumi d'inchiostro, ma al contempo sembra restare senza parole. Uno sterminio che interpella le filosofie del Novecento da Heidegger e i suoi allievi - Sartre, Gadamer, Arendt e Jonas - sino a Horkheimer, Adorno, Derida... Riflessioni che rimettono in questione la teodicea, la giustificazione del male: ma questa resta un pensiero-limite, un paradosso. V'è però un particolare filo della memoria che, intessendosi con il pensiero ebraico, va mutando la precomprensione della stessa filosofia. Il suo compito non si esaurisce nella definizione del male, ma nel «riparare il mondo dopo la Shoah», nell'opporsi al male in tutte le sue forme. Ecco l'originalità di Emil L. Fackenheim, con Levinas ispiratore di una "filosofia della resistenza" al male che si alimenta per il fatto d'essere sopravvissuti. Massimo Giuliani ne presenta qui un testo diagnostico e programmatico: Olocausto. Un'inedita analisi, per il giudaismo e per la teologia cristiana: il male non può essere l'ultima parola, nonostante il male si può e si deve perseguire il bene. Un rovesciamento che ha un modello nei giovani della Rosa Bianca: col sacrificio della loro vita per opporsi a Hitler e all'illegalità, salvarono la dignità dell'uomo e della filosofia.
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Di fronte alla rottura di civiltà rappresentata da Auschwitz, i filosofi si sono spesso sentiti in difetto, restando senza parole, come Heidegger e il suo allievo Sartre. Secondo questo breve saggio di Fackenheim, considerato un capofila della «filosofia della resistenza» al male della Shoah, la filosofia avrebbe il compito non solo di comprendere il fenomeno, ma anche di «riparare il mondo», tiqqun ’olam, dopo lo sterminio ebraico. Prevenire e intervenire sugli eventi, guardando alla Lévinas il «volto dell’altro », come seppero fare l’insegnante di filosofia Kurt Huber e i suoi studenti, quei giovani della Rosa bianca che salvarono la dignità dell’uomo e della filosofia.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 18
(http://www.ilregno.it)
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