Questa è opera letteraria, opera di fantasia, certo, ma con un substrato di verisimile collocazione storica che parla di un popolo e di un regno che ha saputo estendersi in tutto il nord Italia e giù, lungo la penisola, fino ai ducati di Spoleto e Benevento: quando cadde, con esso cadde un sogno accarezzato da Desiderio, ultimo re longobardo e per un breve periodo suocero di Carlo Magno. Il sogno era quello di unire l'Italia.Ma chi erano i Longobardi? Genti indomite, capaci di resistere ai nemici che ne minacciavano la stabilità: i Franchi che premevano ai confini occidentali, gli eserciti bizantini, intenti alla riconquista di una terra che ormai non apparteneva più a loro, i molti duchi ribelli e il Papato, il cui potere temporale in ascesa si scontrò con la sovranità della nazione longobarda. Tutti questi nemici non riuscirono a far crollare il regno. Protagonista involontaria, tragica figura della Storia, fu una donna: Ermengarda, figlia minore di re Desiderio e sorella del principe Adelchi, la cui vicenda segnò gli ultimi anni della vita longobarda. I fatti sono noti.È storia tanto intensa da affascinare come un romanzo. O meglio: da suggerire il romanzo.«In contrapposizione al sogno americano (uno dei tanti) del diciottesimo secolo riguardante il passaggio a nord-ovest, attraverso il quale dovevano trovare la strada per l'Estremo Oriente e ritornarne carichi di ricchezze fantasiosi quanto coraggiosi esploratori, noi in Italia abbiamo sempre avuto il passaggio a nord-est, dal quale si riversò nel nostro paese, in tempi diversi, la quasi totalità delle invasioni barbariche, dalle quali fu sempre devastato per primo il martoriato Friuli. I Longobardi non fecero eccezione ed entrarono anch'essi da quella parte, senza che gli storici abbiano però la certezza assoluta sul loro percorso. Infatti alcuni di essi (e tra questi Paolo Diacono) sostengono che passarono sopra al non meglio identificato monte Regio, chiamato così perché dalla sua cima re Alboino ebbe la visione del suo futuro regno, e si tratta secondo alcuni del Matajur, al confine tra l'Italia e la Slovenia, secondo altri del monte Nanos, in Slovenia. Altri storici si dicono certi che l'itinerario seguito fu la valle del Vipacco e la strada Postumia. In mancanza di certezze, ho scelto un'ipotesi mia, attendibile se non altro perché la prima fortezza espugnata fu Cividale. Comunque, se risulterà che ho sbagliato (o meglio che ha sbagliato l'Astico) sarà cosa da poco e, rifacendomi a quanto scritto nell'introduzione, costituirà uno spunto per chi mi legge per andarsi a cercare la verità, se ne avrà voglia, spulciando gli archivi alla ricerca degli avari e scarsi documenti che di quel tempo ci sono rimasti».«Quando tutto fu finito, non restò ai nostri che un ritorno pieno di amarezza e di dolore. Arrivati al villaggio, Ataulfo diede immediatamente ordine di innalzare due gigantesche pertiche in onore dei due eroi. Sulla cima furono inchiodate le colombe di legno e al piede due grandi tavole con queste parole incise da Ferdulfo: "A Jacques e Joffroy, Cavalieri Templari amici dei Longobardi della fara dell'Astico. Non dimenticheremo mai il vostro sacrificio, non tradiremo mai la vostra fiducia, il vostro segreto morirà con noi. Addio, eroi!"».