Enzo Bianchi non concede nulla al rumore delle mode o ai rituali della comunicazione mediatica, che, negli ultimi anni, hanno fagocitato anche i più diversi temi della fede impoverendoli o svuotandoli. Sceglie il terreno più difficile da calcare, ma anche quello di più vitale importanza per la storia e per la fede. Si rimette dunque sulle vie della Palestina dell'epoca di Gesù, ripercorre le rive del Giordano e del Mar Morto, scava i diversi strati della composita religiosità del tempo, accogliendo l'ipotesi di un Gesù vicino, come d'altra parte lo era Giovanni Battista, al movimento essenico e alla comunità di Qumran.I "delitti" compiuti da Gesù, le azioni "blasfeme" in cui si compendiano la sua vita e il suo insegnamento sono tutti gesti e parole di libertà e di misericordia. Ma Gesù ferisce il corpo della tradizione e la struttura del potere religioso, colpisce il suo cuore recidendo il sistema di connessioni attraverso cui esso si riproduce: la Legge, il legame con la Terra e quello con la Famiglia, il Tempio. Questi sono gli elementi che sostengono la tradizione, e qui, su queste pietre, batte la parola di Gesù, qui passa il vento impetuoso della sua proposta di libertà, che spezza questi legami liberando lo Spirito rimastovi imprigionato. Per questa libertà Gesù viene condannato e messo a morte. Una libertà che le fedi, impigliate nella trama vischiosa della storia, non sempre sono state capaci di sostenere. Una libertà che sempre spaventa, con la sua sfida, l'ordine chiuso dei poteri costituiti.