Il pensiero dialogico
-Franz Rosenzweig, Ferdinand Ebner e Martin Buber
(Filosofia. Nuova serie)EAN 9788837222772
L’editrice Morcelliana di Brescia pubblica la traduzione italiana della seconda edizione aggiornata e riveduta di Das Dialogische Denken di Bernhard Casper, del 2001 (la prima edizione originale è del 1967). L’uscita in italiano di quest’opera assume un significato assai rilevante: negli anni si è fatta strada la legittimazione teoretica di questo nuovo paradigma di pensiero che ha trovato in Casper uno tra i pionieri. Questo pensiero è emerso dapprima sommessamente nella grande scuola dialogica dell’ebraismo, con M. Buber, F. Rosenzweig, H. Cohen, H. Ehrenberg, E. Rosenstock-Hussy. A questa scuola possiamo senz’altro accostare il pensatore solitario austriaco F. Ebner in ambito cristiano e, in seguito, l’area personalistica francese con E. Mounier, G. Marcel, P. L. Landsberg, fino ad arrivare a R. Guardini e a E. Lévinas. B. Casper, con questo libro, ci consegna un’acuta indagine storico-teoretica del pensiero dialogico, visto nei suoi tre principali autori.
Il nucleo originario del pensiero dialogico affonda le sue radici nella Sacra Scrittura. Queste radici danno un proprio spessore e un peculiare orientamento alla riflessione dialogica. Inoltre, ciò che accomuna i tre autori è il loro radicale anti-idealismo. Rosenzweig ed Ebner, specialmente, matureranno l’intero progetto filosofico non semplicemente come una semplice presa di distanza dalla malia del sistema totalizzante, ma anche nel tentativo di scardinare fin alle radici quel sistema stesso. La prima parte della Stella della redenzione di Rosenzweig ha appunto per titolo In philosophos!, cioè contro la pretesa del sistema. E accanto a questo troviamo la fattuale concretezza del singolo, l’uomo, non più “col suo bel ramo di palma” (F. Rosenzweig), simbolo della pretesa della conoscenza totalizzante attraverso il concetto che “riduce” il proprio oggetto conosciuto. È necessario allora che il pensiero si lasci “incontrare”, secondo i dialogici, dall’oggetto prima ancora di essere conosciuto. In particolare, è necessario che “l’Oggetto immenso”, come lo chiamava Hegel, si dia al pensiero nella forma del riconoscimento. Il pensiero dialogico si è fatto conoscere soprattutto attraverso M. Buber e la sua opera Ich und Du (1923). Casper però dimostra che esso non fu affatto un inizio. La nota opera di Buber fu piuttosto una conclusione e un frutto maturo di tutto il pensiero giovanile, che Casper chiama pre-dialogico, oggi in gran parte ancora sconosciuto (al quale è dedicata la prima parte del volume: pp. 29-76).
Tra i tre autori spetta senza alcun dubbio a Rosenzweig la posizione di preminenza. Egli, tra i tre, è stato infatti «colui che con maggiore chiarezza ha colto e riconosciuto la situazione storica nella quale il suo pensiero ha poi rivelato la sua attualità» (cf. p. 353). Mentre le opere di Buber e di Ebner si concepiscono a partire dalla contrapposizione al pensiero dell’Io-Esso e dell’idealismo, che cercano di superare, Rosenzweig invece mostra sorprendenti e ampie analogie con la situazione spirituale dalla quale è partita negli stessi anni la riflessione di Heidegger. Grazie al suo intenso studio della storia e delle scienze naturali, Rosenzweig si mostra non semplicemente in polemica con gli indirizzi idealistici, ma con un grado di sistematicità e di eccedenza rispetto agli altri e al suo tempo. Concependo l’essere come linguaggio che accade, include le posizioni idealistiche che supera e oltrepassa. A Rosenzweig, Casper, infatti, dedica la parte più cospicua della trattazione (pp. 77-215). Se Buber ha il merito di aver reso accessibile il pensiero dialogico, dobbiamo, invece, a Rosenzweig, più giovane di lui, una riflessione più ampia e pacata. Casper suppone che il Buber dialogico debba molto all’amicizia e all’influsso di Rosenzweig riguardo al consolidamento del suo pensiero (ma avverte che rimane per ora non più che una supposizione: p. 357). «Fin dapprincipio, per Rosenzweig, l’orizzonte principale entro il quale tutte le idee vengono concepite è l’orizzonte del linguaggio che si svolge, lo stesso è anche per Buber. Al centro del pensiero buberiano si trova in primo luogo lo schema di comportamento pensato a partire dall’Io delle due parole-base, entro il quale lo scopo è far-essere la relazione Io-Tu, che si compie nel silenzio.
L’estremo orizzonte di pensiero, per il Buber di Ich und Du, consiste in questa unità totale, alla quale giunge nel silenzio e che è in sé ciò che è eterno […]. Solo in seguito assume un certo significato anche per Buber il punto di partenza del linguaggio» (p. 358). Tuttavia, l’estremo orizzonte di pensiero per Buber non è tanto il linguaggio che si svolge, quanto piuttosto l’essere eterno raggiungibile solo nel silenzio che si svolge ogni volta di nuovo nel “Tu” della relazione “Io-Tu” (pp- 281-348). Si può mettere in questione se accanto al “pensatore dialogico più speculativo”, come G. Theunissen ha chiamato Rosenzweig, Ebner occupi un posto di secondo piano. Storicamente, quando Rosenzweig matura il “nuovo pensiero” (siamo negli anni 1916-1917), “cellula originaria” della Stella della redenzione, Ebner già prima negli appunti e nei diari mostrava tracce di pensiero dialogico (siamo nel 1912). Casper motiva la preminenza di Rosenzweig su Ebner in questo modo: «C’è un motivo per cui nella nostra ricerca abbiamo voluto parlare in primo luogo di Rosenzweig […]. Le idee di Rosenzweig sono metodicamente più complete e più equilibrate. Rosenzweig, del resto, è stato l’unico dei pensatori di cui ci occupiamo ad aver esplicitamente fatto proprio un sistema […]. Ebner, invece, ha scritto, consapevolmente, dei Frammenti – si pensi ai suoi Frammenti pneumatologici – pezzi di un Tutto che dà ordine a tutti i pezzi» (p. 359).
La scelta di Casper può essere pienamente condivisibile. È vero che lo stile di Ebner è molto diverso da quello di Rosenzweig, non avendo una sua “sistematicità”, anche se lo scrivere per “frammenti” è determinante per Ebner, come lo fu per Pascal e Kierkegaard. Tuttavia, come per Rosenzweig, anche per Ebner è centrale il linguaggio che viene parlato (senza però mettere a tema come in Rosenzwerig la temporalità del linguaggio). Per Ebner il linguaggio diviene subito fenomeno eticamente determinante della relazione Io-Tu. Solo che la concezione ontologica in Ebenr rimane “incoativa”. In conclusione, per Casper, il significato specifico di questi tre autori per il pensiero filosofico-religioso (ma anche per quello teologico) è un ritorno a un rinnovato rapporto con il linguaggio religioso. Per una filosofia cristiana della religione è di enorme importanza e interesse il fatto che Rosenzweig, Ebner e Buber concepiscano esplicitamente l’essere che si temporalizza nel linguaggio come rivelazione. Se vogliamo, la questione di cui occorre che oggi si debba occupare una filosofia cristiana della religione, in primo luogo e soprattutto in quanto cristiana, è quella della modalità con cui va pensata la rivelazione in quanto rivelazione.
Non semplicemente, dunque, un pensiero che porti all’apertura alla rivelazione, ma un pensiero che pensi “dentro” il mistero della rivelazione stessa che si dà nel linguaggio. Nel pensiero concepito dai primi dialogici l’essere è pensato nell’evento del linguaggio come rivelazione. La rivelazione si mostra, allora, come la temporalizzazione dell’essere. Se si concepisce l’essere in questo modo, il conflitto tra pensiero e rivelazione si dissolve e diviene evidente, invece, che il pensiero, la ragione e la rivelazione rimandano l’uno agli altri (cf. p. 365).
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
La traduzione italiana di un classico del pensiero dialogico, apparso per la prima volta in Germania nel 1968 e riedito nel 2002, rappresenta anche per il nostro Paese la definitiva affermazione del paradigma dialogico come una tra le correnti più importanti del pensiero novecentesco, come ben descritto anche nella Premessa curata da Silvano Zucal.
L’opera di Bernhard Casper, professore emerito di Filosofia della Religione presso l’Università di Friburgo in Brisgovia e allievo di Bernhard Welte, mira ad indagare il nucleo profondo del pensiero dialogico, definendone anche i significativi risvolti per il pensiero futuro, sia filosofico che teologico. Tale opera rimane attualissima, nonostante lo stesso Casper indichi, nella Prefazione alla Seconda Edizione, che nel tempo il dibattito si è approfondito, grazie anche al contributo di Lévinas, pervenendo a nuove conclusioni. Tuttavia le indicazioni fondamentali che già emergevano dal lavoro del 1968, rimangono valide, sia da un punto di vista scientifico che per le ripercussioni culturali di un pensiero trasversale a molte correnti del pensiero novecentesco. Il nucleo fondamentale del pensiero dialogico, evidenziato nella matrice ebraica, si incontra in maniera feconda anche con il pensiero cristiano, come testimonia l’opera di Ferdinand Ebner.
Nella parte prima il testo indaga l’opera predialogica di Martin Buber, visto come il vero iniziatore della corrente dialogica, che tuttavia rimane ancorato a vecchi schemi di pensiero nel corso della sua opera giovanile, riconosciuta come acerba da parte di Casper.
Nella seconda parte vengono indagati i pensieri di Rosenzweig, Ebner e Buber, nella fase matura del suo pensiero, come nuclei fondanti dell’intera tradizione dialogica.
Il pensiero di Rosenzweig, che appare a Casper come il pensiero più maturo teoreticamente sul versante della fondazione dialogica del reale, è segnato dal paradigma della rivelazione, da una rinnovata riflessione sul senso dell’essere, dentro un dialogo con la storia del pensiero occidentale che si fa molto fitto e importante nei confronti di Kant, nella versione coheniana, ma soprattutto di Schelling. La temporalità permette di cogliere l’essere come rivelazione che accade. Il prendere sul serio il tempo e l’aver bisogno dell’altro, elementi programmatici che Rosenzweig definisce nel Nuovo Pensiero, rappresentano un diverso approccio al pensiero dell’essere così come esso ha dominato la storia della metafisica occidentale e l’interpretazione del mondo che ne deriva. L’analisi seguente prende in considerazione la pneumatologia di Ebner, che accanto alla temporalità approfondisce il carattere linguistico del reale, carattere che permette una critica al teologico e una definizione della possibilità stessa dell’esistenza della fede e della religione, radicate nella parola divina indirizzata all’uomo. Infine Casper analizza l’opera dialogica di Buber, segnata dalle critiche ricevute da Rosenzweig rispetto al paradigma dell’io-tu, per il suo eccessivo formalismo, e caratterizzata dalla centralità del «tra» che fonda l’esperienza come l’esistenza dell’umano. Anche in questa prospettiva, come in quella di Rosenzweig e di Ebner, il rapporto interumano apre al divino, sebbene passi da una serrata critica del religioso come tentativo di inglobare in termini solo umani il trascendente inoggettivabile.
I risultati con cui il testo si conclude mirano ad identificare il ruolo del pensiero dialogico nello sviluppo del pensiero novecentesco, in una rinnovata comprensione del rapporto tra pensiero e rivelazione, o tra ragione e fede, e ad indicare soprattutto il ruolo che il pensiero dialogico può avere per mostrare all’uomo d’oggi la dignità intrinseca di cui è dotato e che deve sempre testimoniare nella propria esistenza: «Il significato del pensiero di Rosenzweig, Ebner e Buber, così, sta nel fatto che attraverso di esso viene resa accessibile la attualità dell’esistenza radicata nell’accadere del linguaggio e della solidarietà tra uomini come esistenza che spera e che attraverso il messaggio biblico è rivolta alla sfida» (p. 375).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2010, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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