In tutta la tradizione culturale dell’Occidente ha avuto una funzione determinante l’impegno ad approntare strategie di difesa e anche di immunizzazione dal male attraverso l’elaborazione di rappresentazioni, di teorie filosofiche, di concezioni religiose capaci di offrire una spiegazione rassicurante o consolante. Questi tentativi di attenuarne, o addirittura rimuoverne, lo scandalo hanno ostacolato un adeguato riconoscimento della sua gravità e in questo modo ne hanno favorito il dilagare e hanno ridotto la capacità di resistervi. La tesi qui proposta è che la salvezza dal male può essere pensata, e sperata, non attenuando ma al contrario esasperando le contraddizioni che esso introduce: né negando o riducendo il male, né negando o riducendo Dio o quell’assoluta positività dell’essere che sembra incompatibile con il male. Così la sofferenza radicalizzata, fino al punto da diventare ripiegamento e rottura di ogni relazione, può far apparire quella dimensione di alterità assoluta, nell’orizzonte della quale soltanto può essere pensata la salvezza. E più in generale il male si definisce come assurdo e scandaloso, come non riducibile a semplice limite o a non-essere, come "ciò che non doveva essere", proprio di fronte a quell’assoluta positività divina dalla quale può provenire una paradossale possibilità di salvezza.
COMMENTO: La voce di un autorevole filosofo, allievo di Pareyson, che si interroga, con una trattazione breve ma argomentata in maniera accattivante, attorno alle classiche domande della teodicea: problema del male e della relazione tra quest'ultimo e Dio.
L'Autore insegna filosofia teoretica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università del Piemonte Orientale ed è Direttore del "Centro Studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson" di Torino.