La differenza umana. Annuario di studi filosofici 2009. Riduzionismo e antiumanesimo
(Varie / Saggistica) [Libro in brossura]EAN 9788835024576
La domanda antropologica, al centro dell’indagine filosofica almeno dalla Modernità in poi, ha raggiunto il paradossale esito, nei tempi della contemporaneità e della post-Modernità, di prospettare una dissoluzione dell’umano e un suo riduzionismo a diversi fattori. Da questa constatazione prende spunto il lavoro di Anthropologica, annuario di studi filosofici edito dall’Editrice La Scuola, promossa dal Centro Studi Veneto Jacques Maritain, intorno al quale, da alcuni anni, si raccoglie un gruppo di studiosi e ricercatori, accomunati da un medesimo sguardo sul reale nella convinzione che sia possibile «ripensare ad una nuova tessitura unitaria dei saperi capace di superare la frammentarietà delle diverse specializzazioni disciplinari. Ciò che accomuna il gruppo è quindi la convinzione che la verità vada ricercata attraverso una pluralità di sguardi capaci di integrarsi e completarsi vicendevolmente perché sorretti da una visione unitaria del mondo che è quella cristiana» (Presentazione, p. 11). L’assunzione di una precisa posizione non significa né attestarsi su una prospettiva confessionale chiusa, né rilanciare un dibattito sulla filosofia cristiana ormai datato, ma significa altresì collocarsi in una prospettiva dialogica forte in cui la distinzione diviene nucleo dell’unità e in cui la ricerca senza esclusione è aperta a diversi possibili punti di vista, compreso quello teologico. Il piano su cui si situa questa nuova impresa di ricerca è senz’altro accademico-scientifico, senza tuttavia l’autoreferenzialità in cui può incorrere un certo mondo accademico, ma con l’apertura ad una proficua ed educativa divulgazione, come testimoniato anche dal progetto dei Quaderni di Anthropologica, legati all’annuario filosofico ma rivolti ad un pubblico più vasto.
La prospettiva generale, collocabile nell’ambito dell’antropologia, è situabile precisamente nella questione del «tra»: «se l’antropologia è situata al crocevia tra ontologie, scienze sperimentali, prospettive etiche, prospettive socio-politiche o psicologiche ed altro ancora, il problema consiste nel trovare il modo di valorizzare questa posizione ‘tra’» (G. Grandi, Appunti per un programma di ricerca, p. 13). Il primo errore nella direzione di una riflessione antropologica di tal fatta può essere quello di sommare tante posizioni possibili, emergenti dal dibattito culturale, mentre il secondo risiede nel pessimismo epistemologico di fondo che è scettico su una prospettiva di insieme realizzantesi a partire da uno sguardo sintetico. La posizione del «tra», dunque, se è riconosciuta come fondamentale, è d’altro canto ambigua, perché può condurre tanto verso una più complessa posizione di insieme che somma semplicemente alcuni dati emergenti, quanto ad un ingenuo transito attraverso diversificate posizioni. La prospettiva aperta dal programma di lavoro del gruppo di ricerca che ha dato vita ad Anthropologica sarà invece articolata, integrata e generativa (Grandi, p. 20): articolata, in grado cioè di tenere presenti i possibili diversi punti di vista che insistono sull’elemento antropologico e in grado quindi di definire una sorta di tregua epistemologica tra i saperi; integrata, in grado cioè di individuare i nessi che esprimono in profondità la tessitura di un pensiero comune; generativa, cioè in grado di aprirsi ad una trascendenza che supera non soltanto l’ipotesi di partenza ma anche gli steccati disciplinari di appartenenza. Si potrebbe affermare che solo in questa direzione si può realizzare un’autentica trans-disciplinarietà, come intreccio fecondo che permette un creativo superamento degli ambiti di appartenenza, oltre la mera giustapposizione della multi-disciplinarietà ma anche oltre l’intreccio dell’inter-disciplinarietà, che supera solo parzialmente le prospettive di provenienza per tornare sempre allo sguardo epistemologico di origine.
Il primo numero di Anthropologica, in linea con la prospettiva della domanda antropologica, approfondisce diversi elementi riduzionistici, presenti nel dibattito culturale attuale, nella consapevolezza che l’emersione del riduzionismo contemporaneo e post-moderno sia un’occasione proficua per lo studio in profondità dell’irriducibile differenza umana, che si staglia ancora una volta, tanto più potentemente quanto più forte è il tentativo di ridurla ad altro. Per comprendere come viene istruita questa differenza non sarà superfluo iniziare proprio dalle conclusioni del testo, evidenziate sia dall’intervento di Paolo Pagani (Appunti sulla specificità dell’essere umano, pp. 147-161), sia dalle quattro domande conclusive che intendono rilanciare il dibattito piuttosto che chiuderlo (Note conclusive. Quattro domande sull’uomo, 179-182). Pagani sintetizza l’uomo come apertura trascendentale, entro una discontinuità in cui l’umano non può ridursi al biologico o alla macchina, come testimoniato tanto dagli studi sui primi uomini e sulle loro abilità tecniche, quanto dai più recenti dibattiti su mente e cervello. Nello stesso tempo l’umano definito dai suoi caratteri trascendentali non può essere divaricato, se non a rischio di auto-contraddizione e auto-dissoluzione, dalla persona. La razionalità dell’uomo così è ben più che un attributo secondario e sta a testimoniare l’integrazione ad un livello più alto nella persona umana dei caratteri presenti anche in altre specie.
Attorno alle quattro domande finali possono essere inoltre raccolti alcuni nuclei di riflessione collegati ai vari interventi, di cui si riportano alcuni dei principali spunti interpretativi:
a. Qual è il posto dell’uomo rispetto al processo evolutivo?
Attorno a questa domanda ruotano molti degli interventi presenti nell’annuario. Luca Grion (Sulle tracce dell’animale simbolico, pp. 23-37), attraverso un’ispezione di antichi e nuovi dibattiti su naturalismo ed evoluzionismo, giunge ad individuare nell’elemento simbolico un sistema che tende a riscrivere la dimensione della realtà, oltre i semplici sistemi di ricezione e reazione che contraddistinguono anche le altre specie animali. Nell’elemento simbolico spiccano quella qualità emergente che non può essere ridotta alle semplici connessioni di dati neurobiologici e chimico-fisici. Carlo Cirotto (L’emergenza nella vita, 55-67) riprende il tema dell’emergenza, rappresentandolo però a partire da una visuale interna alla biologia. Dalle caratteristiche costanti che la vita cellulare rivela, possiamo astrarre delle emergenze moderate e radicali, così come l’emergenza speciale della mente e del cervello. La connessione di tali emergenze permette di dar conto della plasticità della vita, che si rende in grado di superare diverse sfide cui è sottoposta. In tale direzione la vita pone in essere delle reti sistemiche, la più complessa delle quali è quella neuronale e verso la quale si indirizza l’interesse attuale della ricerca, sia nel senso manipolativo che nell’ottica della responsabilità etica. Con un salto del tutto particolare ma non estemporaneo da momento biologico a pensiero giuridico, è possibile cogliere nell’intervento di Fabio Macioce (Le frontiere giuridiche del riduzionismo, pp. 69-84) alcuni elementi in cui il pensiero giuridico tradizionale entra in attrito con la situazione presente, creando delle vere e proprie frontiere: potenza tecnoscientifica e diritto; negazione della soggettività; ipertrofia della volontà; relativismo e laicismo. In tutte queste frontiere il diritto è chiamato, lungi dalla tentazione di ridursi allo spirito del tempo, a ricercare una verità che trascende la singola e contingente situazione storica. Roberto Presilla (Linguaggio e naturalismo. Il caso di Quine, pp. 101-112) mette in luce la questione del riduzionismo entro il quadro della svolta linguistica contemporanea, ed in specie attraverso l’analisi del pensiero di Quine, particolarmente significativo a questo proposito, mentre Antonio Allegra (Identità personale e crisi del naturalismo. Su un legame problematico, pp. 129-145) svolge una piccola storia del rapporto tra problema del naturalismo e questione dell’identità, giungendo a dimostrare anzitutto come l’utilizzo del termine naturalismo sia vario e diversificato e in secondo luogo che appare necessaria una riformulazione dello stesso naturalismo per garantirne la presa sul reale.
b.L’apertura alla trascendenza testimoniata dal fenomeno religioso è riducibile ad una mera strategia evolutiva?
Dal punto di vista del rapporto tra evoluzione e religione, il post-moderno pone in essere nuove critiche al fenomeno religioso, che potrebbe essere spiegato solo ricorrendo a canoni di carattere scientifico. A tali posizioni critiche nei confronti del fenomeno religioso cerca di dare risposta Andrea Aguti (La critica naturalistica della religione in Richard Dawkins e Daniel Dennett, pp. 85-99), che elabora una metacritica della critica naturalistica della religione, letta in Dawkins e Dennett «all’interno di un razionalismo riduzionistico che tenta di ridurre il fenomeno religioso all’effetto secondario di una determinata disposizione mentale utile a favorire l’adattamento all’ambiente e la sopravvivenza» (p. 95). Secondo Aguti è necessario tornare ad alcune questioni rilevanti per la storia del pensiero chiamate in causa dalla critica naturalistica della religione, e cioè da un lato la questione della teologia naturale, dall’altro la questione delle origini antropologiche della religione. La naturalizzazione della religione al fine di criticarla sarebbe una sua dissoluzione, perché non terrebbe conto delle caratteristiche di disfunzione proprie della religione stessa. La ripresa di tali questioni non sarà soltanto una risposta, non apologetica, alle questioni sollevate da autori come Dawkins e Dennett, ma rappresenta altresì una possibilità di ridire in termini attuali la teologia naturale. L’intervento di Edmund Runggaldier (Anima e speranza nell’immortalità, pp. 163-177, nella traduzione di Andrea Aguti dall’originale tedesco) tocca la questione evoluzionistica in negativo, attraverso l’approfondimento delle questioni relative all’anima e all’immortalità, tornate di attualità, non senza contrasti e conflitti, nella riflessione teologica post-conciliare, e soprattutto toccate negli ultimi decenni dalle questioni connesse alle neuroscienze e all’interpretazione riduzionistica dell’interiorità umana. La questione dell’anima e dell’immortalità rischia di sfuggire se non collocata nella giusta dimensione: il soggetto infatti della risurrezione è tutto l’uomo, nella sua integralità, e una visione troppo definita della questione dell’anima finisce per essere disorientante nella ricerca. L’uomo nella sua completezza va visto dunque nella risurrezione e non tanto nella situazione transeunte. L’identità personale in questo senso rappresenta un elemento che supera la mera sequenza temporale, e che può essere inserita nell’eternità di Dio, oltre ogni riferimento ad un dualismo antropologico e cosmologico.
c.Quale tipo di legame struttura la relazione tra uomo e macchina?
La questione del rapporto tra uomo e macchina rappresenta una versione particolarmente attuale e scottante del riduzionismo, come testimoniato dall’intervento di Angelo Montanari (Riduzionismo e non intelligenza artificiale, pp. 113-128), sia nella direzione della riduzione della mente ad un calcolatore, sia nella direzione della riduzione della mente al cervello. Le forme del riduzionismo, in relazione allo studio dell’intelligenza artificiale, non sono dunque forme insignificanti, ma nello stesso tempo finiscono per denotare una insolubile complessità della questione, sia per i diversi piani in cui la questione può essere posta, sia per le diverse e variegate discipline che insistono su di essa. Proprio a tale livello è possibile riscontrare la posizione fondamentale delle questioni relative all’intelligenza artificiale, nell’intreccio di discipline finora non in dialogo tra loro.
d.Vi può essere vero ambientalismo senza un nuovo antropocentrismo?
Un’ultima questione collegata al problema del riduzionismo è quella legata alle questioni ambientali, presentate tuttavia da Alberto Peratoner (Quale antropocentrismo? Ripensare la persona umana in relazione all’ambiente, pp. 39-53) non tanto come emergenze dell’attualità, ma come sintomi che sia nella fase di diagnosi che di prognosi, in relazione alla controversia ambientale, denotano un duplice movimento, che va dalla persona all’ambiente e dall’ambiente alla persona. Si tratterà dunque di evitare riduzionismi radicali che marginalizzano la persona umana rispetto all’ambiente, o riducono lo stesso a mezzo manipolabile, ma nello stesso tempo si tratterà di ricentrare la questione antropologica entro la questione ambientale. È così possibile rintracciare una riflessione sull’ambiente che, fin dall’Antichità, precede di gran lunga l’emersione della questione ecologica propriamente detta. E proprio con riferimento alle radici del pensiero antico, fino alle più mature riproposizioni moderno-contemporanee, si possono rinvenire le tracce tanto di una proposta teoretico-pratica sull’ambiente quanto una confutazione delle forme estreme di ecologismo e di marginalizzazione dell’umano.
Antichi e nuovi riduzionismi, dunque, lungi dal definire una liquidazione dell’umano, ne rivelano in realtà il dato di emergenza e di differenza irriducibile, rispetto al processo evolutivo e dentro le forme, compresa quella religiosa, che caratterizzano l’umano. Alla forma per così dire trascendentale dell’essere dell’uomo in relazione, nella struttura dei suoi legami, si rivolge la ricerca di Anthropologica per il 2010, in continuità con la ricerca sul riduzionismo e con particolare attenzione al dato strutturale ed insieme concretissimo che fa dell’uomo una relazione vivente.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2010, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)