Studi su Erennio Modestino. Profili biografici
(Collectanea graeco-romana. Studi e strum)EAN 9788834897775
1. – La ricerca di Gloria Viarengo sulla biografia di Erennio Modestino colma indubbiamente una lacuna. Gli studi prosopografici sui giuristi e, in particolare, sui giuristi di età severiana devono misurarsi con enormi difficoltà, addebitabili, quasi sempre, a scarsità o a lacunosità delle fonti. In quest’indagine l’a. assume un punto di vista di cui è arduo contestare la ragionevolezza: le ipotesi formulate nel tempo dalla storiografia romanistica sulla vita, gli studi e la carriera di Modestino devono essere valutate accontentandosi di definire un quadro di congetture verosimili entro il quale inserire i pochi dati certi. Pertanto, se tale è il criterio metodologico scelto dall’a., sarebbe inutile e, forse, perfino non conforme alla bona fides cui deve ispirarsi ogni recensione, rimproverarle di esser stata più efficace nella critica demolitrice delle ipotesi altrui che nell’elaborarne di nuove e di alternative. Il libro, suddiviso in tre capitoli, nel primo prende in esame l’insieme delle testimonianze disponibili sulla personalità intellettuale di Modestino, sulla sua origine e sulle sue relazioni di discepolato con Ulpiano. Il secondo illustra limiti e natura dei rapporti del giurista con l’attività normativa della cancelleria di Alessandro Severo e, in particolare, con l’ufficio a libellis. Il terzo riconsidera l’arduo problema della datazione della praefectura vigilum di Modestino e del ruolo che questi ebbe nella famosa lis fullonum. I paragrafi conclusivi del volume si soffermano sulla pretesa influenza del giureconsulto e delle sue dottrine sull’attività rescribente di Gordiano III, proponendo, infine, un vaglio accurato degli indizi utilizzati per sostenere o negare che la formazione giuridica di Arcadio Carisio, giurista e magister libellorum di età dioclezianea, debba o meno riconnettersi direttamente al magistero di Modestino. 2. – L’origine provinciale e, dunque, non italica di Erennio Modestino è un’ipotesi accolta, per quanto cautamente (1), quasi da tutti. Non incontrano altrettanto favore, invece, quelle congetture per le quali il giurista sarebbe nato e avrebbe trascorso gli anni iniziali della sua formazione in una provincia ellenofona dell’Asia minore. Nel de excusationibus (Para?¥thsiv eßpitroph˜ v ka?ù koyrator?¥ av) e, più spradicamente, in altre opere, i riferimenti a istituzioni e comunità proprie delle province anatoliche sono senza dubbio numerosi. Cionondimeno questo dato, inequivocabile testimonianza di una speciale attenzione per le realtà istituzionali di queste regioni, non implica per forza di cose che Modestino e la sua famiglia da esse provenissero. Sia ben chiaro: non è quest’ipotesi, in sé e per sé considerata, ad apparire implausibile: basterebbe rivolgersi, a tal proposito, al coevo Licinnius Rufinus, originario di Thyateira (2), per essere indotti a pensare proprio il contrario. E tuttavia, invece di supporre un interesse dettato esclusivamente da legami di natura familiare, si potrebbe anche concludere che le peculiari istituzioni di queste province trovino tanto spazio, in specie nel de excusationibus, per altre cause. È sufficiente ricordare che gran parte dei destinatari di quest’opera (in specie gli operatori giuridici che frequentavano i tribunali di quelle province (3)) vivevano in Asia o in Pontus-Bithynia: l’Asia, in particolare, con le sue prospere città costiere (Efeso, Smirne etc.), era probabilmente l’area più ricca e densamente popolata dell’ecumene romana di quel tempo (4). Purtroppo anche il proemio del de excusationibus e il nome del suo dedicatario, Egnatius Dexter (un notabile di cui è sostanzialmente impossibile, al momento, individuare con precisione origine e rango) non forniscono indizi utili per definire meglio i contorni della biografia del giurista. Come si è già osservato, allusioni a realtà e a istuzioni delle province ellenofone orientali emergono da più luoghi dell’opera di Erennio Modestino. Un diffuso bilinguismo caratterizza, del resto, le élites culturali e di governo tra II e III secolo d. C. e, come il greco in Occidente e a Roma, anche il latino, dall’altro versante, conquistò sempre più spazio nelle province dell’Oriente ellenofono. Nel corso del III secolo, pur nel quadro d’una percepibile decadenza della ‘vocazione scientifica’ della giurisprudenza romana, si assiste, anche in conseguenza della concessione della cittadinanza a “tutti” (5) gli abitanti dell’Impero, a una straordinaria espansione del diritto romano e della sua influenza culturale e, in conseguenza, anche della diffusione del latino nelle province orientali. Il filo sottile della continuità tra la giurisprudenza d’età severiana e quella d’epoca dioclezianea può senza dubbio individuarsi anche nel ruolo preminente acquisito, nel corso del III secolo, dalle scuole – in particolare, dal centro di Berytus, che conquistò tanto prestigio da affiancarsi, in età tardoantica, a quello di Roma quasi su di un piano di parità – nella trasmissione del sapere giuridico. Del resto già in precedenza, tra gli Antonini e i Severi, lo studio del diritto aveva iniziato a esercitare un forte richiamo sulle aristocrazie locali dell’Impero, anche su quelle ellenofone. Queste inclinazioni suscitavano, sovente, il disappunto dei difensori della tradizionale paideía greca: in un passo della Vita di Apollonio di Tiana, Filostrato descrive l’incontro, nel carcere di Roma, dell’eroe del racconto con un ragazzo insidiato e perseguitato da Domiziano. il giovane deplorava il suo infelice destino e accusava il proprio padre, il quale, pur essendo, come il figlio, un Arcade, aveva voluto che a quest’ultimo fosse impartita un’educazione (paideía) di tipo romano (6). A questa vicende possiamo comparare alcune esperienze vissute dall’autore dell’Encomio di Origene: questi, attorno alla metà degli anni trenta del III secolo, mentre aveva già in animo di approfondire, dopo averne appreso i rudimenti alla scuola del suo maestro di grammatica latina, lo studio del diritto a Roma, dovette raggiungere a Cesarea Marittima, assieme al fratello, il cognato, adsessor del governatore. Decise perciò di proseguire i suoi studi di diritto nell’importante scuola di Berytus, non molto distante dalla destinazione della sorella e di suo marito (7). 3. – Le ipotesi, via via proposte dalla storiografia, «lasciano molti dubbi e poche certezze circa l’origine di Modestino» (8). Proprio per tal motivo l’a. ritiene opportuno utilizzare ogni spunto, fornito dalle fonti, per definire il rapporto del giurista con la romanità e il con il mondo provinciale. In due distinte occasioni (D. 50.1.33 1 l.s. de manumiss. (9); D. 27.1.6.11 – 2 de excusat.) Modestino ha impiegato la nozione di Roma communis patria. Nel de excusationibus (D. 27.1.6.11) si riferisce il contenuto di una costituzione di Severo e Caracalla che stabilì, per attirare a Roma i migliori professori di grammatica e di retorica, di non privarli dei privilegi (esenzione dai munera) di cui avrebbero beneficiato se essi avessero insegnato nella propria patria. In tal modo gli imperatori estesero anche a questa materia un meccanismo già operante in altri àmbiti e, in particolare, nel diritto criminale. Come ha dimostrato Yan Thomas (10), siamo innanzi a una finzione di ubiquità. Al pari di ogni costruzione giuridica, anche questa finzione si sostituisce interamente alla realtà. In forza di tale artificio, l’Urbs è la sola civitas nella quale, i cittadini di altre comunità, se vi risiedono o vi si trovano di passaggio, pur di fatto lontani dalla propria germana patria (11), per il diritto non sono considerati tali. La formula Roma communis patria, nel pensiero di Cicerone, definiva l’àmbito chiuso della civitas nel processo di municipalizzazione dell’Italia. La romanizzazione dell’Italia, dopo la guerra sociale, si compì, benché la maggior parte dei nuovi cives vivesse in comunità autonome, alla luce del principio delle due patrie: Roma, la communis patria, comprendeva quella naturale (secondo la nascita), ossia la germana patria (12). La municipalizzazione della penisola, che l’idea stessa di communis patria compiutamente definisce, recupera, dal punto di vista politico e istituzionale, prassi e discipline certamente più antiche, come Cicerone medesimo sottolinea, ricordando l’esemplare vicenda di Catone il Censore, diviso tra Tusculum e Roma. Cionondimeno, ancor prima della constitutio Antoniniana (13), quando gran parte degli abitanti dell’Impero non era stata ancora naturalizzata, i giuristi già ritenevano che il dispositivo istituzionale, inerente a questa formula, toccasse nel loro insieme le città peregrinae dell’Impero: in tal modo si riteneva logicamente impossibile che si fosse al di fuori della propria città qualora ci si trovasse a Roma. A chi, per sentenza emanata da un governatore o da un altro titolare del potere giurisdizionale, era interdetta la propria patria, a maggior ragione si proibiva accesso, soggiorno e dimora in Roma (14). Non incorreva nel divieto, sancito da un senatoconsulto, di porre in essere ogni attività di interesse privato nel corso di un viaggio di un’ambasceria, il legatus (l’ambasciatore) che, una volta giunto a Roma, avesse disposto l’acquisto di una domus nella propria patria. Roma ingloba, Roma incorpora; chi risiede nell’Urbe è come se non avesse mai lasciato la propria comunità d’origine, e, dunque, in ragione di questa fictio, certamente non ha violato l’interdizione sancita dal senatoconsulto (1)5. In forza di questo stesso principio i retori, chiamati a insegnare nell’Urbe, godono, come abbiamo già visto, dei medesimi privilegi e delle stesse immunità loro concessi in patria, perché Roma, la città regina, è appunto la communis patria (16) . In questa frase – Roma communis patria – può intravedersi un riferimento, nel pensiero di Modestino, al nuovo statuto della civitas Romana dopo la constitutio Antoniniana? Probabilmente sì. Ma il percorso argomentativo scelto dall’a. per asseverare tale conclusione non mi convince del tutto. Si sosiene esplicitamente che, dopo il 212, «le città dell’Impero sono diventate romane» (17). È un’affermazione che potrebbe condurre a conclusioni errate dal punto di vista della storia delle istituzioni cittadine tra l’età severiana e quella dioclezianea. In realtà la constitutio de civitate del 212, come ha mostrato, a suo tempo, François Jacques (18), riguardava le persone, non le città (19). Essa, di conseguenza non elevò automaticamente le civitates peregrine al rango di municipi romani. Al contrario testimonianze epigrafiche confermano che queste comunità continuarono a ricercare promozioni di status e che, perfino nel nord dell’Africa proconsularis, alcune di esse, attorno alla metà del III secolo, erano ancora peregrinae. Per tal motivo, parlare, generalizzando, d’abrogazione delle costituzioni delle singole città o di uniformazione dei loro statuti dopo la constitutio Antoniniana, appare eccessivo, quantomeno alla luce della documentazione attualmente disponibile (20). In conclusione, per quanto l’origine greco-orientale di Modestino non possa essere puntualmente attestata, dalle sue opere emergono – e a tal proposito credo si debbano accogliere i rilievi di Gloria Viarengo – riferimenti (in particolar modo nell’impiego della nozione di Roma communis patria) che si individuano anche negli scritti di sofisti, giuristi o notabili di rango consolare di origine orientale come Callistrato (21), Elio Aristide (22) e Cassio Dione (23). 4. – Il rapporto di discepolato di Modestino con il suo maestro, Ulpiano, è ricordato proprio da quest’ultimo in uno squarcio del XXXVII libro ad edictum (D. 47.2.52.20), nel quale si commentava verosimilmente la formula dell’actio furti nec manifesti (24). In questo frammento Erennio Modestino è definito da Ulpiano studiosus meus. Il maestro avrebbe risposto per iscritto a una domanda propostagli dall’allievo mentre questi si trovava nella provincia di Dalmatia. Gran parte delle congetture congegnate per comprendere perché Modestino si trovasse in questa regione appaiono e sono fuorvianti (25). Invero un unico dato incontrovertibile emerge dall’esame di questo testo: il termine studiosus indica che, al momento della richiesta, Modestino era ancora in età giovanile, non avendo superato, probabilmente, i 25 anni (20 / 22 secondo Gloria Viarengo (26)). Se accediamo alle ipotesi di T. Honoré (27), il libro trentassettesimo del commentario edittale di Ulpiano sarebbe stato scritto tra il 214 e il 217. Nulla, tuttavia, impedirebbe di congetturare che la consulenza dalla Dalmatia sia stata chiesta in un periodo antecedente: in tal caso si potrebbe perfino presumere che questa consultazione si situi, nel tempo, a breve distanza dalla segreteria a libellis di Ulpiano, databile, secondo l’Honoré (28), tra il 202 e il 209 (29). Come si è detto, congetture persuasive sui motivi che giustificherebbero la presenza, in quegli anni, di Modestino in Dalmatia non ne sono state formulate: si può soltanto presumere o che egli avesse assunto l’incarico di adsessor del governatore di questa provincia o che vi prestasse una militia equestre (30). Se le conclusioni che l’a. assume dall’analisi di D. 47.2.52.20 appaiono quasi sempre convincenti, è più arduo, al contrario, accogliere le ipotesi che si vorrebbero dedurre dall’esame, nel de excusationibus, dell’espressione oΩ kra¥ tistov Oyßlpianoùv (o di altre analoghe31). A suo parere esse attesterebbero, attraverso l’uso dell’equivalente formula greca, il possesso, da parte del maestro di Modestino, del titolo di vir egregius. Ne conseguirebbe, dunque, che il de excusationibus sarebbe stato scritto prima del 222, anno nel quale Ulpiano rivestì per un breve periodo, prima di divenire praefectus praetorio, la carica di praefectus annonae, che comporterebbe un rango superiore. Ora, pur ammettendo senz’altro che l’espressione kra¥tistov possa tradursi, in certi contesti, con vir egregius, per indicare lo specifico titolo d’onore spettante a un eques di rango procuratorio (che non abbia ancora assunto, dunque, una delle quattro prefetture equestri maggiori), non si può dimenticare un dato che emerge anche dalla documentazione raccolta a suo tempo da David Magie (32): talvolta, perfino in documenti ufficiali del III secolo d. C., questo titolo era egualmente attribuito a dignitari investiti di una delle prefetture maggiori, come è il caso, per esempio, del praefectus Aegypti (33). Fatta questa precisazione, occorre, però, riconoscere che l’a. ha probabilmente colto nel segno, attribuendo gran parte della produzione letteraria di Modestino ai circa venti anni che corrono dalla fine del principato di Settimio Severo (211) alla morte di Alessandro Severo (235). Sono ben pochi, dunque, i punti fermi cui riferire le principali coordinate cronologiche della vita di Modestino. Il suo rapporto di consulenza con Ulpiano, databile – è ovvio – al periodo di formazione del giovane giurista, probabilmente si colloca, nel tempo, prima dell’anno 215. Inoltre, grazie ai dati ricavabili dall’iscrizione concernente la famosa lis fullonum (34), si può asserire che Modestino ha assunto la carica di praefectus vigilum soltanto dopo il 226 o, al più presto, nel corso di questo stesso anno. 5. – Recentemente si è riferita al nostro giurista un’iscrizione urbana appartenente alla collezione Di Bagno (35). Se così fosse, si potrebbe ricostruire più in dettaglio il suo cursus honorum:
––––––
[iur]isconsu[lto–––],
[p]raef(ecto) vigi(lum), + [–––],
flamini Vulc[anali, ––?],
magistro a lib[ellis, ––?],
[ma]gistro a cen[sibus, ––?]
[–––] + V + [–––]
–––– (36)
Il termine magister, che precede le parole a libellis e a censibus, non è stato in uso fino alla metà del III secolo. L’impiego di questa formula coincide con una fase intermedia: difatti, mentre in età severiana, per indicare tali cariche, si adoperavano ancora le espressioni a libellis o a censibus, al tempo di Diocleziano esse si contrassegnavano con i titoli di magister libellorum e di magister censuum. Questo dato, da valutare assieme alla forma di alcune lettere (che presentano larghe apicature), consente di ritenere persuasiva una datazione dell’epigrafe tra la fine del regno di Alessandro Severo e la metà del III secolo (o immediatamente dopo). Il cursus è redatto in forma discendente. Geza Alföldy, nella seconda edizione del VI volume del Corpus inscriptionum Latinarum, ha congetturato che, nei frammenti non pervenutici di quest’epigrafe, si facesse menzione anche della segreteria ab epistulis, da inserire nella lacuna tra magistro a lib[ellis, – –?] e [ma]gistro a cen[sibus (37). Senza attardarsi adesso nell’esame di problemi più minuti (il flaminato di Vulcanus o la segreteria a censibus) cui l’a. dedica puntuali osservazioni, è opportuno rivolgersi al prestigioso titolo di iurisconsultus (ossia di giurista respondente), che accomunerebbe, se quest’iscrizione gli potesse essere riferita, Modestino a Volusio Meciano (38) e a Ulpiano (39). Non si tratta di un dettaglio di scarso interesse: al contrario esso consente, se si rammenta che l’iscrizione attribuisce al suo dedicatario anche la carica di praefectus vigilum, di attribuire questo cursus proprio a Modestino. Viceversa altre congetture, sebbene non siano inverosimili, devono essere lasciate da parte: così, per esempio, quelle che vorrebbero attribuire al giurista, al culmine della sua carriera equestre, o la prefettura d’Egitto o la prefettura del pretorio. Senza dubbio le ampie lacune dell’iscrizione consentirebbero di formulare siffatte ipotesi ricostruttive, ma esse, al momento, non sono corredate da alcun altro indizio. Quest’epigrafe, qualora fosse davvero riferibile a Modestino, confermerebbe, inoltre, la congettura di Tony Honoré (40), per il quale il nostro giurista avrebbe rivestito la carica di a libellis. Per l’illustre studioso inglese, la sua segreteria, da collocare tra l’ottobre del 223 e l’ottobre del 225, sarebbe stata favorita, dapprincipio, dal sostegno di Ulpiano, ancora in vita (41). L’a., naturalmente, non dubita del fatto che Modestino abbia esercitato quest’incarico, ma si interroga, non senza giustificate ragioni, sulla fondatezza della congettura cronologica dell’Honoré (42). Gloria Viarengo, pur tenendo in debito conto gli elementi stilistici valorizzati dallo studioso inglese nel confronto tra l’insieme dell’opera di Modestino e i rescritti databili tra tra l’ottobre del 223 e l’ottobre del 225, allarga il suo orizzonte, prendendo in considerazione anche altri criteri interpretativi. In questa prospettiva, ossia quella prescelta dall’a., si è imposto, necessariamente,un esame in parallelo di alcuni rescritti emanati tra il 223 e il 225 e deiframmenti delle opere di Modestino. Almeno in alcuni dei contesti presi in considerazione(necessitas e consuetudo (43); il peculium castrense e le res mobiles e immobiles (44); lasostituzione pupillare e volgare (45); il munus tutelae (46); il crimen maiestatis (47)) sono emerseinteressanti coincidenze che sembrerebbero confermare – ma unicamente comecongettura verosimile – la presenza di Modestino nella cancelleria imperiale dal223 al 225. Cionondimeno si può condividere la cautela della Viarengo, quandoosserva che quest’influenza, senza dubbio percepibile, delle dottrine del giuristasui rescritti emanati nel biennio 223 / 225 non implica, per forza di cose, che egline fosse, allo stesso tempo, anche l’autore. 6. – Nel III capitolo l’a. si è a lungo soffermata sull’iscrizione che, lasciandocitraccia delle vicende concernenti la cosiddetta lis fullonum, attesta, per altro verso,la praefectura vigilum di Modestino (48). Come è noto, tale epigrafe conserva la verbalizzazione delle parti salienti di una controversia, avente a oggetto il mancatopagamento del canone per l’occupazione di un suolo, che coinvolse un’associazionedi lavandai di Roma. Tre praefecti vigilum – e tra loro Modestino (il secondo inordine di tempo) – decisero che non esistevano elementi sufficienti per costringerequest’associazione a rispondere per inadempimento. La lite giudiziaria siprolungò, in fasi successive, dal 226 (Alessandro Severo) al 244 (Gordiano III): unadurata, come si può costatare, certamente non breve. In questo periodo furonoemanate tre decisioni da altrettanti praefecti. Modestino, subentrato o a AeliusFlorianus in carica nel 226 o a un suo successore, fu praefectus almeno qualcheanno prima di Faltonius Restitutianus, che definì la controversia nel 244. Invero si può esser ancor più precisi: poiché conosciamo i nomi di tutti i praefecti degli anni 239 / 244, si deve, in conseguenza, concludere che la praefectura di Modestino non possa collocarsi, nel tempo, in un periodo antecedente al 238. L’a. aderisce sostanzialmente alla datazione alta – il 226 / 228 – proposta da T. Honoré (49) e da D. Liebs (50), respingendo pertanto l’ipotesi del Sablayrolles (51), che pensa, invece, al triennio 235 / 238. Non esistono, in realtà, elementi decisivi – e l’a. ne è perfettamente consapevole – per preferire la prima alla seconda, ma occorre riconoscere che, nella carriera equestre, sovente si otteneva tale prefettura immediatamente dopo le segreterie a libellis e ab epistulis. La Viarengo, avendo optato per una datazione alta dell’officium a libellis di Modestino, deve attenersi, per coerenza, al medesimo criterio anche nel fissare i termini della sua praefectura vigilum. Non è possibile proporre, in questa sede, una compiuta definizione giuridica della lis fullonum. Tra le tante congetture avanzate dalla storiografia, l’a. accoglie, almeno in parte, l’ipotesi formulata da Dora Alba Musca (52), secondo la quale, da un canto, la triplice richiesta di una pronuncia, al titolare pro tempore dell’officium della praefectura vigilum, si spiegherebbe con il periodico cambiamento di gestione delle societates publicanorum incaricate di esigere, per conto del fiscus, le pensiones dovute per l’occupazione di un suolo pubblico, mentre, dall’altro, l’intervento del praefectus vigilum, in questa lite, sarebbe stato imposto dalla sua competenza generale sulle controversie tra locatori e affittuari (53). 7. – Secondo l’Historia Augusta Modestino sarebbe stato il maestro di diritto del giovane figlio di Massimino il Trace (54). Questa notizia – trasmessaci da una fonte sovente non affidabile per le molte falsificazioni che essa contiene – desta qualche perplessità (55): la Viarengo pertanto, in assenza di altri riscontri, lascia opportunamente in sospeso tale questione. Al contrario l’a. confuta in dettaglio l’ipotesi – sostenuta a suo tempo da Adele Nicoletti (56) – secondo la quale Modestino avrebbe costantemente preso parte all’attività normativa della cancelleria di Gordiano III, influenzandone i contenuti: la Viarengo dimostra, in modo convincente, che queste congetture sono prive di sostegni testuali davvero persuasivi (pp. 181 – 205). Si discute della data della morte di Erennio Modestino e della possibilità che sia vissuto tanto a lungo da divenire maestro di Arcadio Carisio. Quest’ipotesi parrebbe trovar conferma in un passo del giurista dioclezianeo tramandatoci da D. 50.4.18.26 (l.s. de mun. civ.) e, in particolare, nelle parole..., ut Herennius Modestinus notando et disputando bene et optima ratione decrevit. Per Detlef Liebs, Modestino avrebbe continuato a insegnare fino a età avanzata: sicché Arcadio Carisio sarebbe annoverabile tra i suoi auditores (57). Invero appare più verosimile un’altra ipotesi (cui accede senza vere esitazioni l’a.): il tramite tra Modestino e Arcadio Carisio dovrebbe individuarsi in un allievo del primo, che avrebbe trasmesso al giurista dioclezianeo il ricordo di un discorso fatto a lezione dal maestro di età tardo-severiana. D’altronde parrebbe che Arcadio Carisio, per quanto emerge da una costituzione di Diocleziano del 290 (58), riferibile, forse, proprio al periodo nel quale questi esercitava l’incarico di magister libellorum, tentasse, ove ne avesse l’occasione, di valorizzare l’insegnamento dei grandi maestri delle generazioni precedenti (59). Arcadio Carisio, non diversamente del resto da Ermogeniano, si considerava un giurista della stessa stirpe di Ulpiano e di Modestino (60). La storiografia romanistica ha, da tempo, colto le tracce di una continuità senza segni evidenti di rottura tra la giurisprudenza di età severiana e quella di epoca tetrarchica: per Fritz Schulz «i rescritti di Diocleziano non <erano> a un livello inferiore dei responsa di Papiniano e Paolo» (61). Gli ignoti eroi della cancelleria dioclezianea non avrebbero sfigurato, a suo parere, se messi a confronto con i loro predecessori: proprio essi, anzi, tante volte sarebbero gli autori delle più eleganti rielaborazioni delle opere classiche. Una linea interpretativa che mi sembra restituisca, del peculiare habitus esegetico di F. Schulz, l’autentico metro di giudizio (62). Cionondimeno è difficile, forse addirittura impossibile, risalire al contesto entro il quale i giuristi di età dioclezianea si sono formati. Oltretutto il dibattito storiografico sul pensiero giuridico postseveriano e le vicende della giurisprudenza nella seconda metà del III secolo, anche per oggettive lacune della documentazione, non ha mai spiccato il volo. Si può seguire lo sviluppo scientifico della giurisprudenza romana fino al 240 circa, estremo limite dell’attività di Erennio Modestino (63), e poi più nulla prima di Ermogeniano (64), di Arcadio Carisio (65), di Gregorio (l’editore del Codex) (66) e dell’evanescente figura di Innocenzio, ultimo beneficiario del ius respondendi, di cui si ricordi il nome (67). Nemmeno la sequenza degli eventi è ricostruibile con precisione; e molte conclusioni di Tony Honoré sui titolari della segreteria a libellis (68), tra il 238 e il 260, sono fondate a volte solo su congetture (69). Eppure, a quest’assenza di dati e personalità – Iulius Aquila (70), Furius Anthianus e Rutilius Maximus, forse collocabili in questo periodo, sono soltanto nomi – possiamo contrapporre con assoluta certezza la continuità delle strutture educative più importanti – le scuole di Roma e di Berito – e l’esistenza di giuristi di elevata preparazione che operarono nelle cancellerie dei Soldatenkaiser (71). Tra costoro, probabilmente, si nascondono i maestri di Ermogeniano e Arcadio Carisio. Come è noto, il primo, forse, può essere identificato con un magister libellorum e un prefetto del pretorio (72), mentre il secondo fu magister libellorum in età dioclezianea: entrambi, dunque, sono nati, al più presto, attorno al 235 / 240. Appare, in conseguenza, altrettanto evidente che questi due giuristi non possono essere annoverati in nessun caso, a differenza, per esempio, di Iulius Aquila (73), tra gli allievi diretti di Modestino o di altri suoi contemporanei. La conclusione mi sembra evidente. Al conto manca un’intera generazione di giuristi (74) e, nello scrivere la storia della giurisprudenza della seconda metà del III secolo, non si può andare al di là di labili congetture, sebbene alcune di esse appaiano più verosimili di altre. Pertanto si può concludere che Modestino non ha rivestito ruoli ufficiali nella cancelleria di Gordiano III e che non è vissuto così a lungo da formare come allievo Arcadio Carisio. Cionondimeno la memoria del suo magistero, sia pur in via mediata, ha raggiunto i giuristi della generazione successiva a quella dei suoi discepoli diretti, influenzando, in tal modo, anche quanti operarono negli officia di età tetrarchica preposti all’elaborazione di rescritti e di altre constitutiones principum. Gloria Viarengo ha saputo muoversi con sicurezza nell’esame delle rare testimonianze rintracciabili nelle fonti. Il quadro, che ne emerge, è fatto – come credo sia emerso anche dalla mia rassegna – più di ombre che di luci: di questo, tuttavia, non è certamente responsabile l’a. di un volume, curato con scrupolo anche nei dettagli, di cui sarebbe, a dir poco, ingeneroso contestare l’utilità.
Tratto dalla rivista "Studia et Documenta" n. 1/2011
(http://e-lup.com)
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1 W. KUNKEL, Die römischen Juristen. Herkunft und soziale Stellung, Nachdruck Köln-Weimar-Wien 2001, 259-261, nr. 72.
2 M. Cn. Licinnius Rufinus, originario, appunto, di Thyateira, pólis lidia della provinciad’Asia (ab epistulis Graecis, a studiis, a rationibus, a libellis dopo il 222, adlectus inter tribunicios, praetor candidatus, consul suffectus e, infine, XXxvir rei publicae curandae nella «rivoluzione» senatoria contro Massimino del 238, nonché amicus Caesaris Gordiani – AE 1997, 1425) databile, per F. MILLAR, The Greek East and Roman Law: the Dossier of M. Cn. Licinnius Rufinus, in JRS 89 (1999) pp. 90 sgg. (= Government, Society, and Culture in the Roman Empire, Chapel Hill-London 2004, 435 ss.) e F. NASTI, M. Cn. Licinnius Rufinus e i suoi Regularum libri: osservazioni sulla carriera del giurista, sulla datazione e sull’impianto dell’opera, in Index 33 (2005) 265 s., all’incirca attorno alla metà del III secolo (d. C.).
3 Vd. V. MAROTTA, Le strutture dell’amministrazione provinciale nel quarto libro dei Discorsi sacri di Elio Aristide, in corso di pubblicazione, ove si pone in luce che, già attorno alla metà del II secolo, operavano in Asia consulenti giuridici in grado di muoversi, con agio, quantomeno in alcuni àmbiti dell’ordine giuridico romano.
4 Cfr. Fronton. ad Pium 8.1 (VAN DEN HOUT2): ... provincia splendidissima ...
5 Vd. V. MAROTTA, La cittadinanza romana in età imperiale (secoli I-III d. C.). Una sintesi, Torino 2009, 101 ss.
6 Vita di Apollonio di Tiana 7.42.2 ... ... Ma ancora nel IV secolo Libanio non nascondeva il suo disprezzo per lo studio del diritto (máthe¯sis to¯n nómo¯n) che giudicava conveniente soltanto per le persone lente di comprendonio (or. IV, 346 ss. Förster, §§ 21-23). Il retore, nelle sue epistole e in differenti luoghi delle sue orazioni, recriminava sul fatto che i giovani venissero inviati a studiare dai loro padri la lingua latina e il diritto a Berito o a Roma. Tra le posizioni di Filostrato e di Libanio, pur a distanza di tanto tempo, si riscontra, dunque, una perfetta coincidenza: anche il secondo, proprio come lo scrittore d’età severiana, condanna lo studio del diritto soprattutto perché esso rischia di distogliere i giovani dalla tradizionale paideía greca.
7 Encomio di Origene 5.56-69. Vd., in particolare, 5.58, 5.60, 5.64. Posto a confronto con il giudizio di Filostrato, quello dell’autore dell’Encomio appare, però, del tutto divergente: egli infatti definisce i nómoi romani hellenikótatoi, cioè pienamente conformi allo spirito greco: cfr. Encomio di Origene 1.7.
8 VIARENGO, Studi su Erennio Modestino cit. 5.
9 Cfr. D. 50.5.9 (Paul. 9 resp.).
10 Y. THOMAS, Origine et commune patrie. Étude de droit public romain (89 av. J.-C. – 212 ap. J.-C.), Roma-Paris 1996, 10 ss.
11 Secondo la formula ciceroniana ricordata in De legibus 2.5: vd., infra, nt. 12.
12 Cicerone De legibus 2.5 ATTICUS. Equidem me cognosse admodum gaudeo. Sed illud tamen quale est, quod paulo ante dixisti, hunc locum, id est, ut ego te accipio dicere, Arpinum, germanam patriam esse vestram? Numquid duas habetis patrias? an est una illa patria communis? nisi forte sapienti illi Catoni fuit patria non Roma, sed Tusculum. MARCUS. Ego mehercule et illi et omnibus municipibus duas esse censeo patrias, unam naturae, alteram civitatis; ut ille Cato, quom esset Tusculi natus, in populi Romani civitatem susceptus est; ita, quom ortu Tusculanus esset, civitate Romanus, habuit alteram loci patriam, alteram iuris; ut vestri Attici, prius quam Theseus eos demigrare ex agris et in astu, quod appellatur, omnis se conferre iussit, et sui erant iidem et Attici, sic nos et eam patriam ducimus, ubi nati, et illam, a qua excepti sumus. Sed necesse est caritate eam praestare, + qua rei publicae nomen universae civitatis est; pro qua mori et cui nos totos dedere et in qua nostra omnia ponere et quasi consecrare debemus; dulcis autem non multo secus est ea, quae genuit, quam illa, quae excepit. Itaque ego hanc meam esse patriam prorsus numquam negabo, dum illa sit maior, haec in ea contineatur – – habet civitatis et unam illam civitatem putat.
13 D. 50.7.13 (Scaevol. 1 dig.) L. 1; D. 18.7.5 (Papin. 10 quaest.) L. 174, da confrontare, per il suo meccanismo argomentativo, con C. 4.55.5 di Severo Alessandro – a. 225.
14 D. 48.22.18(19)pr. (Call.?); D. 48.22.7.15-16 (Ulp. 10 de off. procons.) L. 2243 = R. 95; D.48.22.18pr.; D. 49.16.13.3 (Macer 2 de re militari) L 62 da confrontare con D. 18.7.5 (Papin. 10 quaest.) L. 174.
15 D. 50.7.13 (Scaevol. 1 dig.) L. 1.
16 D. 27.1.6.11 (Mod. 2 excusat.) L. 60; cfr. D. 50.1.33 (Mod. l.s. de manumissionibus) L. 88.
17 VIARENGO, Studi cit. 54 ss. part. L’a., in effetti, accede alle conclusioni di M. TALAMANCA, Gli ordinamenti provinciali nella prospettiva dei giuristi tardoclassici, in Istituzioni giuridiche e realtà politiche nel tardo impero (III – V sec. d. C.), a cura di G. G. ARCHI, Milano 1976, 201 s. nt. 286, già esposte per esteso nel precedente lavoro monografico intitolato Su alcuni passi di Menandro di Laodicea relativi agli effetti della ‘constitutio Antoniniana’, in Studi in onore di E. Volterra, 5., Milano 1970, pp. 433-560. Secondo M. Talamanca (Su alcuni passi di Menandro di Laodicea cit. 554), dal testo di Menandro dovrebbe evincersi che, dopo l’editto di Caracalla, le costituzioni delle singole città e i loro ordinamenti giuridici non esistevano più. Divenuti cittadini romani, tutti gli abitanti dell’Impero, cui la concessione s’estendeva, ebbero una sola costituzione e un solo diritto, quello di Roma. Il testo di Menandro, in conclusione «si presenta piuttosto contrario all’ipotesi della sopravvivenza degli ordinamenti locali quali usanze consuetudinarie». Ma vd. anche M. TALAMANCA, Particolarismo normativo ed unità della cultura giuridica nell’esperienza romana, in Diritto generale e diriti particolari nell’esperienza storica, Atti del Congresso Intern. della Società Italiana di Storia del diritto (Torino, 19-21 novembre 1998), Biblioteca della Rivista di Storia del diritto italiano, Fondazione Sergio Mochi Onory per la Storia del diritto italiano, Roma 2001, 270, ove si legge: «... gli svolgimenti conseguenti alla constitutio Antoniniana non furono profondamente diversi, en principe, da quelli che seguivano la concessione collettiva della civitas Romana a una città straniera nel periodo precedente».
18 F. JACQUES – J. SCHEID, Rome et l’intégration de l’Empire 44 av. J. – C. – 260 ap. J.-C. Tome I. Les structures de l’empire romain, Paris 1990, 281.
19 Così, per esempio, W. LANGHAMMER, Die rechtliche und soziale Stellung der Magistratus municipales und der Decuriones in der Übergangsphase der Städte von sich selbstverwaltenden Geimenden zu Vollzugsorganen des spätantiken Zwangstaates (2.-4. Jahrhundert der römischen Kaiserzeit), Wiesbaden 1973, 43.
20 Anche C. LEPELLEY, Vers la fin du “privilege de liberté”: L’amoindrissement de l’autonomie des cités à l’aube du bas-empire, in (a cura di A. CHASTAGNOL – E. DEMOUGIN – C. LEPELLEY), Splendidissima civitas. Etudes d’histoire romaine en hommage à François Jacques, Paris 1996, 207 ss., 212 s. part. con altra bibl., ribadisce decisamente queste conclusioni: l’uniformazione dello status civitatis, conseguente alla constitutio Antoniniana, non ha determinato in alcun modo, prima degli ultimi decenni del III secolo, una corrispondente uniformazione di quello delle collettività dal punto di vista delle loro strutture costituzionali.
21 D. 48.22.18(19)pr. (Call. [?]), passo che l’a. ascrive, sulle orme di O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, 93 s. (nr. 53), al VI libro del de cognitionibus. Si tenga presente che quella propostaci dall’edizione critica della Littera Florentina è, però, una retroversione di Theodor Mommsen dal testo greco dei Basilici.
22 Elio Aristide sottolinea che «tutto il mondo è per questa cittadinanza (scil. quella romana) universale quasi un’unica città», «una sola casa e famiglia». L’Urbe si co-estende con l’Orbe e la terra è patria comune (ásty koinón) di tutti gli uomini: A Roma §§ 61-65 (cfr. § 100). Quello del retore è un autentico sillogismo, alla luce del quale Roma può davvero definirsi communis patria del genere umano.
23 Dio 52.19.6: ma vd. MAROTTA, La cittadinanza romana in età imperiale cit. 105 s., 108, ove si propone una differente e più plausibile, a mio parere, interpretazione di questo testo.
24 I problemi intrpretativi posti dalla lettura di questo passo sono numerosi. Il problema fondamentale è il seguente: l’actio furti è esperibile solo ove si riscontri l’animus furandi. In caso contrario è preferibile chiedere al pretore – così si esprime Ulpiano – la concessione di un’actio in factum, espresione che in questo contesto interpreterei nel significato di actio decretalis, concessa, cioè, previa cognizione della causa, per uno specifico caso.
25 Come segnala opportunamente G. VIARENGO, Studi cit. 56 ss.
26 VIARENGO, Studi cit. 61.
27 Ulpian. Pioneer of Human Rights. Second Edition, Oxford 2002, 162 ss. part.
28 Ulpian2 cit. 18-22.
29 Come è ovvio, l’ipotesi che Ulpiano abbia risposto all’allievo con un rescritto non si può nemmeno prendere in considerazione: sul punto rilievi condivisibili in VIARENGO, Studi cit. 61 ss.
30 Sulle milizie equestri un quadro in H. DEVIJVER, The Equestrian Officers of the Roman Imperial Army (Mavors IX), Stuttgart 1992.
31 Come, per esempio, Oyßlpianoùv oΩ kra¥tistov.
32 D. MAGIE, De Romanorum iuris publici sacrique vocabulis sollemnibus in Graecum sermonem conversis, Leipzig 1905, 112.
33 P. Oxy 237 (a. 186, ove, però, il riferimento al praefectus Aegypti non è sicuro); P. Oxy 78 (III s. d. C.): vd. MAGIE, De Romanorum iuris publici sacrique vocabulis sollemnibus cit. 112. Posso ricordare, inoltre, una lettera di Settimio Severo e di Caracalla alla città di Syros (IG 12. 5.1. 658 = J. H. OLIVER, Greek Constitutions of Early Emperors from Inscriptions and Papyri, Philadelphia 1989, nr. 257, 490-492), databile al 208, nella quale il proconsole d’Asia, qualificato come kra¥tistov, è ricordato alle linee 16-17 di questo documento: sull’uso di questo titolo, nelle relazioni tra imperatore e proconsoli, vd. F. HURLET, Le proconsul et le prince d’Auguste à Dioclétien, Bordeaux 2006, 288, 300.
34 Vd., infra, nt. 48.
35 CIL 6.2 41294, 5040: l’esame del contenuto di quest’epigrafe apre il capitolo II della monografia della Viarengo.
36 Quella proposta è la trascrizione di G. ALFÖLDY in CIL 6.2 41294, 5040. Vd. anche A. MAGIONCALDA, L’anonimo di CIL VI 1628 (= 41294) e il giurista Erennio Modestino, in Studi in onore di Remo Martini, 2, Milano 2009, 555 ss.
37 ALFÖLDY in CIL 6.2 41294, 5040.
38 CIL 14.5348: vd. A. MAGIONCALDA, Osservazioni sulla carriera di L. Volusio Meciano, in Materiali per una storia della cultura giuridica 36 / 2 (2006) 470.
39 AÉ, 1988, nr. 1051: vd. J. P. CORIAT, Les préfets du prétoire de l’époque sévérienne: un essai de synthèse, in CCG 18 (2007) 179 ss., con ampia bibl.
40 Ulpian2 cit. 18 ss.
41 Sulla data della morte di Ulpano bibl. in VIARENGO, Studi cit. 86 nt. 46.
42 Emperors and Lawyers2, Oxford 1994, 101-107: lo studioso inglese ha identificato Modestino con il nr. 8 dei segretari a libellis della sua lista.
43 D. 44.7.52pr.-7 (Mod. 2 reg.); D. 1.3.40 (Mod. 1 reg.): cfr. VIARENGO, Studi cit. 101-112.
44 D. 40.1.17 (Mod. 6 reg.) L. 225, D. 37.14.8 (Mod. 6 reg.) L. 226, D. 3.3.63 (Mod. 6 diff.): cfr. VIARENGO, Studi cit. 112-124.
45 D. 28.6.1pr.-3 (Mod. 2 pand.), D. 28.6.4pr.-2 (Mod. l.s. de heur): VIARENGO, Studi cit. 124-139.
46 D. 27.1.6.15 (Mod. 2 exc.) – ma, a mio parere, in questo contesto deve individuarsi una citazione da un’opera ulpianea (probabilmene il de officio proconsulis) – D. 26.6.2.1 (Mod. 1 exc.), D. 26.3.1.1 (Mod. 6 exc.), D. 26.2.4 (Mod. 7 diff.), D. 27.1.13.1-2 (Mod. 4 exc.): cfr. VIARENGO, Studi cit. 139-153.
47 D. 48.4.7.3-4 (Mod. 12 pand.): cfr. VIARENGO, Studi cit. 153-155.
48 Herculi sacrum posuit / P(ublius) Clodius Fortunatus q(uin)q(uennalis) perpetuus huius loci / interlocutiones / Aeli Floriani Herenni Modestini et Faltoni / Restutiani praef(ectorum) vigil(um) p(erfectissimorum) v(irorum) / Florianus d(ixit) quantum ad formam a me datam pertinet quoniam me convenis de hoc inprimis tractandum / est ita interlocutum me scio esse hesterna / die docere partem diversam oportere hoc ex sacra auctoritate descendere ut pensiones / non dependerentur et respondit se quibus/cumque rationibus posse ostendere hoc / ex sacra auctoritate observari et hodie hoc / dicit ex eo tempore inquit ex quo Augustus rem publicam obtinere coepit usque in hodier/num [num]quam haec loca pensiones pensitasse / et infra Florianus d(ixit) vidi locum dedicatam imaginibus sacris et alio capite / Modestinus d(ixit) si quid est iudicatum habet suam auctoritatem si est ut dixi iudicatum / interim apu<d=T> me nullae probationes exhi/[be]ntur quibus doceantur fullones in pen/[sione]m iu[r]e conveniri et alio capite / R[est]it[utia]nus c(um) c(onsilio) c(ollocutus) d(ixit) manifestum est quid / iudicav[ erint] p(erfectissimi) v(iri) nam Florianus partibus / suis diligentissime functus est qui cum in / rem praesentem venisset locum inspexit / et universis indiciis examinatis senten/tiam de eo loco de quo cum maxime / qu[a]eritur protulit a qua provoca[tum] / non est et infra Restitutianus d(ixit) / Modestinus quoque secutus res / a Floriano iudicatas pensiones / exigi prohibuit et infra Restitutianus d(ixit) illut(!) servabitur / fontanis quod obtinuerunt / aput(!) suos iudices et quod habue/runt in hodiernum sine pensione / ex Alexandro Aug(usto) II et Marcello II co(n)s(ulibus) litigatum est in / Peregrino et Aemiliano co(n)s(ulibus) dies
49 Emperors and Lawyers2 cit. 105 (a. 226), Ulpian cit. 30 (a. 228).
50 D. LIEBS, Juristen als Sekretäre des römischen Kaisers, in ZSS 100 (1983) 51 (a. 227); ID., Jurisprudence, in Nouvelle Histoire de la littérature Latine, 4, trad. fr. dal tedesco, Turnhout 2000, 222 (a. 228).
51 R. SABLAYROLLES, Libertinus miles: les cohortes de vigiles, Roma Paris 1996, 113-120; A. MAGIONCALDA, L’epigrafe della lis fullonum: nota prosopografica, in La politica economica tra mercati e regole. Scritti in ricordo di Luciano Stella, a cura di G. BARBERIS, I. LAVANDA, G. RAMPA-B. SORO, Soveria Mannelli (CZ), 225; Ead., L’anonimo di CIL VI 1628 cit. 570.
52 D. A. MUSCA, Lis fullonum de pensione non solvenda, in Labeo 16 (1970) 279-326.
53 D. 19.2.56 (Paul. l.s. de off. praef. vig.), D. 20.2.9 (Paul l.s. de off. praef. vig.).
54 H. A. Vita Max. 27.5.
55 In gran parte ascrivibile, come osservo nel testo, alla natura di questa fonte, sovente sospettata di proporre volontarie falsificazioni.
56 A. NICOLETTI, Sulla politica legislativa di Gordiano III. Studi, Napoli 1981, 38 ss.
57 LIEBS, Jurisprudence, in Nouvelle Histoire de la littérature Latine, 4, cit. 222.
58 C. 9.41.11.pr.-1 Diocl. et Max. Boetho.
59 Come sembrerebbe emergere dalle parole ... vir prudentissimus Domitius Ulpianus in publicarum disputationum libris ad perennem scientiae memoriam refert.
60 D. MANTOVANI, Il diritto da Augusto al Theodosianus, in AA.VV., Introduzione alla storia di Roma, Milano 1999, 514.
61 F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. it. Firenze 1968, 476. Sull’organizzazione della cancelleria in questo periodo cfr. S. CORCORAN, The Empire of Tetrarchs. Imperial Pronouncment and Go vernment AD 284-324, Oxford, 2000,in particolare, 75 ss.
62 Ma in Schulz un presupposto storiografico senza dubbio condivisibile – la persistenza di unacultura giuridica d’alto livello – ebbe effetti fuorvianti quando lo si subordinò a un canone critico cheimponeva di confrontarsi con l’idealtipo del giurista classico costruito dalla romanistica di queltempo. In tal modo si poterono imputare agli anonimi editori-giuristi, tra fine del III e inizi del IVsecolo, non solo errori o perversioni dello stile, ma anche spunti culturali giudicati non conformi conil modello del presunto originale definito dalla scienza romanistica. Non seguirei, inoltre, F. Schulznella sua meccanica connessione tra svilupparsi dell’organizzazione burocratica e imporsidell’anonimia: Ermogeniano e Arcadio Carisio firmarono le loro opere. Gregorio ed Ermogenianodiedero addirittura il proprio nome a una raccolta di costituzioni imperiali. Inoltre nell’inscriptio delsolo frammento (D. 1.11.1), conservatoci del liber singularis de officio praefecti praetorio di Arcadio Carisio,si legge che l’opera è, per l’appunto, del magister libellorum Arcadio Carisio. Questo riferimento, chealtrove non ha riscontro nei Digesta, è possibile che emergesse in una dedica o, più verosimilmente,nella stessa inscriptio del libro. Nell’insieme della produzione letteraria di Carisio lo scritto sullaprefettura appariva caratterizzato da un esplicito collegamento con l’attività di funzionario del suoautore, quasi a sottolineare l’intreccio fra elaborazione teorica ed esperienza amministrativa: cfr. intal senso F. GRELLE, Arcadio Carisio, l’officium del prefetto del pretorio e i munera civilia, in Index 15 (1987) 63.
63 F. WIEACKER, Le droit romain de la mort d’Alexandre Sévère a l’avènement de Dioclétien (235-284apr. J.-C.), in RD 4a serie, 49 (1971) 201 ss.; W. KUNKEL, Die römischen Juristen. Herkunft und sozialeStellung cit. 259 s.
64 D. LIEBS, Hermogeniani Iuris Epitomae. Zum Stand der römischen Jurisprudenz im Zeitalter Diokletians,Göttingen 1964, in particolare, 31 ss.; A. CENDERELLI, Ricerche sul “Codex Hermogenianus”,Milano 1965, 183 ss.; E. DOVERE, De iure. L’esordio delle epitomi di Ermogeniano2, Napoli 2005, inparticolare 17 ss.
65 M. BALESTRI FUMAGALLI, I libri singulares di Aurelio Arcadio Carisio, in Memorie dell’IstitutoLombardo – Accademia di Scienze e Lettere, sc. mor. stor., 1978, 53 ss.; GRELLE, Arcadio Carisio, l’officiumdel prefetto del pretorio e i munera civilia cit. 63 ss., con discussione della precedente bibl.
66 M. U. SPERANDIO, Codex Gregorianus. Origini e vicende, Napoli 2005, 211 ss.
67 Eunap. Vitae soph. XXIII Chrysanthius (= Boissonade p. 180). vd. V. MAROTTA, Eclissi delpensiero giuridico e letteratura giurisprudenziale nella seconda metà del III secolo d. C., in Studi Storici 47/4(2007) 932 e nt. 24.
68 Segretari nrr. 12-15: 21 marzo 238-settembre 260: HONORÉ, Emperors and Lawyers2 cit. 114 ss.
69 Mancano in talune occasioni validi criteri di invalidazione, ma quando esistono, sovente le induzioni di T. Honoré non resistono alla prova dei fatti. Proponiamo un esempio: per T. Honoré, l’a libellis n. 7 può, in ogni caso, essere identificato con un allievo di Ulpiano. In realtà, se, come ha ipotizzato MILLAR, The Greek East and Roman Law: the Dossier of M. Cn. Licinnius Rufinus cit. 90 ss. (= Government, Society, and Culture in the Roman Empire cit. 435 ss.), in questo periodo tale incarico fu ricoperto da Licinnius Rufinus, il quale – è noto – era probabilmente influenzato da Paolo, avremmo un ulteriore indizio per concludere che i suoi criteri d’indagine non sono sempre davvero affidabili. Cfr. anche NASTI, M. Cn. Licinnius Rufinus cit. 263 ss.
70 Ascrivere, in base a una congettura di D. LIEBS, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien (260-640 n. Chr.), Berlin 1987, 19 s., Iulius Aquila, autore di un libro di responsa, a tale generazione non muterebbe il quadro. In ogni caso su Iulius (Gallus?) Aquila, Furius Anthianus e Rutilius Maximus, KUNKEL, Die römischen Juristen cit. 261-263. Altri riferimenti bibliografici in D. Liebs: Vorwort zum Nachdruck di KUNKEL, u.o.c., XIII-XIV e nota 44.
71 L’espressione, coniata da F. ALTHEIM, Die Soldatenkaiser, Frankfurt am Main 1939, è stata ripresa da G. SCHNEBELT, Reskripte der Soldatenkaiser. Ein Beitrag zur römischen Rechtsgeschichte des dritten nachchristlichen Jahrhunderts, Karlsruhe 1974.
72 Come praefectus praetorio avrebbe coadiuvato Costanzo Cloro Cesare: sul tema E. DOVERE, De iure2 cit., 13 ss. e note 37-39, e, inoltre, P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, Roma 2003, 134 ss. part., con altra bibl.
73 Se pure accediamo all’ipotesi formulata in LIEBS, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien cit. 19 s.
74 E il quadro non cambia se rivolgiamo il nostro sguardo agli scritti giurisprudenziali. Un’opera, che sembrerebbe di vasto impianto (nella quale si citano Celso, Pomponio, Papiniano, Paolo e Ulpiano), pervenutaci in due frammenti papiracei, l’uno pubblicato, nel 1951, daV. ARANGIO RUIZ, Frammenti papiracei di un’opera della giurisprudenza, in Festschrift F. Schulz, 2,Weimar, 1951, 3-8: cfr. L. E. SIERL, Supplementum alla Palingenesia nr. XVIII e LXI., l’altro, nel1985, nei papiri dell’Universitas Hauniensis (P. Haunensis 45) da A. BÜLOW-JACOBSEN, IuristischeLehrbuch, in Papyri Graecae Haunienses, III, Bonn, 1985, 11-22, tav. 1, in base a un’ipotesi formulatacon cautela può forse attribuirsi a Modestino [Così F. D’IPPOLITO-F. NASTI, Frammentipapiracei di un’opera della giurisprudenza tardo imperiale, in SDHI 69 (2003) 383 ss., in particolare,389 s]. Questi frammenti dimostrano la densità della discussione giuridica sul tema e la nostraignoranza, perché nulla o quasi, a tal riguardo, ci è pervenuto attraverso la compilazione giustinianea,piuttosto che a un giurista della generazione successiva. Vd. adesso F. NASTI, PapyrusHauniensis de legatis et fideicommissis. Pars prior (P. Haun. III 45 recto + CPL 73 A e B recto), Napoli2010, 241 ss., la quale propende, invero con molta prudenza, per Marciano.