Memoria del limite
-La condizione umana nella società postmortale
(Grani di senape)EAN 9788834320129
L. Manicardi, monaco della Comunità di Bose, ci offre in questo saggio un'attenta analisi del contesto sociale contemporaneo colto nel suo rapporto con la realtà della morte. L'A. apre il suo itinerario di riflessione con una serie di domande: che cosa è successo alla morte? Che cosa è diventata? Che cosa diventa l'uomo se la morte non è più "memoria del limite"? (cf 12-13). La società contemporanea appare come desacralizzata e fortemente secolarizzata. Impera la "dittatura del presente" e ogni discorso escatologico si è dissolto nella tecnologia: la tecnica ha sostituito la religione. Si è smarrito l'orizzonte escatologico (memoria futuri) ed è andato perduto anche ogni riferimento al passato: la società contemporanea è segnata dalla "cultura dell'amnesia" (J.B. Metz). Si impone il paradigma dell'uomo assoluto (ab-solutus), ovvero sciolto da ogni legame; un individuo che vive per se stesso, un homo clausus (N. Elias), senza un prima e senza un dopo. L'A. ribadisce la necessità di accogliere il limite, di riconciliarsi con il limite, che va vissuto come condizione della libertà e della vita stessa. Occorre una sapienza che consenta «di cogliere il "limite" come fine, termine, ma anche come "confine" (dal latino: limes), soglie, e dunque possibilità di inizio» (25). Occorre una sapienza che riesca a cogliere il memento mori, ovvero la memoria del proprio limite e della propria morte, come un nuovo inizio: la morte parla, la morte è bussola per il vivente, dalla morte scaturisce la domanda sul "senso", su ciò che davvero è essenziale nella vita e per la vita (cf 28). L'A. offre una attenta analisi della società contemporanea, raccogliendo le intuizioni della sociologa canadese C. Lafontaine sulla "società post-mortale", caratterizzata dalla volontà di vivere senza invecchiare, dal tentativo di de-simbolizzazione e de-costruzione della morte (Z. Baumann): «la morte è divenuta un'intrusa, un'ingiustificata presenza» (31). La società post-mortale mette a zittire la morte, la quale in tal modo nota Manicardi cessa di insegnare e «viene fatta scendere dalla cattedra e spedita con vergogna dietro la lavagna» (50). L'uomo vive etsi mors non daretur e, dimenticando la morte, dimentica la sua umanità (P. Yonnet). La società post-mortale, astorica, apolitica, cinica e indifferente, diviene allo stesso tempo società post-morale (cf 77): «la amortalità diviene amoralità, deficit di eticità» (98). La morte è liquidata, eppure essa rimane imperterrita. Liquidando la morte è liquidata la propria umanità, è liquidata la coscienza della propria limita tessa e della propria finitezza. Occorre ridare parola alla morte. L'uomo è chiamato a riscoprire il limite-morte come situazione spirituale della vita e ad «abitare la mortalità nella coscienza che essa è al contempo fardello e benedizione: fardello perché in ogni momento egli "può" morire, benedizione perché egli, un giorno o l'altro, "deve" morire» (103). L'A. propone elementi di una coerente antropologia, biblicamente fondata, come tentativo di accogliere le sfide del contemporaneo, non esitando ad osare l'"attualità dell'inattuale" (cf 105). Osare l'attualità dell'inattuale significa abitare la mortalità, vivere pacificati e riconciliati con la memoria mori, con la memoria del limite, per vivere, come il Nazareno, «la morte vitale dell'amore "senza misura"» (117). Il testo apre ampie prospettive di riflessione sul mondo contemporaneo. È una proposta di validi percorsi antropologici per recuperare la sapienza smarrita che nasce dall'accoglimento del limite, della finitezza, di quella "negazione positiva" che è la morte (cf 118). La morte è condizione della vita, proprio nel suo porre un limite alla vita. In un tempo riempito dal delirio di immortalità, Manicardi ricorda che «l'unica eternità umana è quella che può essere dischiusa dall'amore [.] nella finitezza del nostro amore noi sperimentiamo l'infinitezza del nostro essere. Nel frammento del nostro amore noi sperimentiamo il tutto dell'amore» (119-120).
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2013
(http://www.rassegnaditeologia.it)
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