Il pensiero della mediazione. Augusto Del Noce interprete dell'attualismo
(Università/Ricerche/Filosofia)EAN 9788834316436
G. Gentile è il solo autore contemporaneo a cui Del Noce abbia dedicato una intera monografia e di cui si sia occupato sin dall’inizio della sua attività di interprete della storia della filosofia; infatti, se è vero che l’opera venne pubblicata postuma nel 1990 è altrettanto vero che raccoglie scritti editi nella loro struttura essenziale tra il 1964 e il 1967. Colpisce, pertanto, che nella letteratura delnociana sia mancato finora uno studio analitico e rigoroso dell’interpretazione della filosofia di Gentile la quale, nell’orizzonte della singolare interpretazione – per così dire “teologica” – della modernità del pensatore torinese, rappresenta il tentativo di superamento dell’ateismo entro la direttrice razionalista, attraverso quell’attualismo negatore tanto della trascendenza religiosa quanto del Recensioni 145 materialismo. Inoltre proprio la crisi dell’attualismo segna in Del Noce la crisi definitiva del razionalismo, l’impossibilità di oltrepassare una sua deriva atea nella misura in cui se ne resta all’interno, cioè se non si supera quel presupposto assiologico su cui il razionalismo si costruisce, che è, come noto, il rifiuto senza prove del soprannaturale e del dogma cristiano del peccato originale. La monografia di Ramella si struttura in quattro capitoli.
Il cap. I muove da una premessa metodologica: contestualizzare l’interpretazione di Del Noce per esplicitarne le radici storiche ed i presupposti filosofici che ne sono all’origine. Così in un primo momento vengono ricostruite le molteplici interpretazioni dell’attualismo per avere un termine di paragone della prospettiva delnociana. Dopo l’illustrazione molto analitica del significato storico della filosofia di Gentile, dai primi allievi fino alla Gentile-Renaissance degli anni Ottanta, si procede ad una ricostruzione degli incontri più significativi e fecondi che hanno guidato la formazione intellettuale di Del Noce contribuendo a determinare la sua posizione filosofica. Ciò che emerge è il bisogno di un pensiero sulla storia e sul problema del male nella storia dinanzi alle derive totalitarie che la cultura del suo tempo non era in grado di fronteggiare. Scorrono così diverse figure: Blondel, Marcel, Juvalta, Martinetti, Chestov. Quest’ultimo, nel quale Del Noce vide la possibilità di abbandonare l’orizzonte antistorico che da Cartesio era giunto fino a Martinetti, con la sua distinzione netta tra morale e storia, tematizzando il peccato originale, e dunque il male, come evento nell’orizzonte non della creaturalità in sé ma della libertà, introduceva una reale conciliazione tra uomo e mondo, tra libertà del singolo e storia. Sarà poi Mazzantini che arginerà la deriva irrazionalista di Chestov e salverà le esigenze della soggettività (come individualità e libertà).
Da qui l’incontro con il tomismo esistenziale di Gilson e l’opposizione a Maritain in forza di una opposta interpretazione del marxismo. Il punto decisivo, capace di vincere il dualismo tra l’eterno e il tempo, e di ripensare la storia quale luogo della possibile mediazione tra l’eterno e il tempo, è rappresentato dal primato ermeneutico del peccato originale, che Del Noce mutua da Chestov e da Gilson; l’idea di filosofia cristiana di quest’ultimo «si poneva come un efficace antidoto contro la convinzione che la fede si muovesse su un binario parallelo a quello della ragione», convinzione «che rendeva impraticabile il programma di pervenire alla fede per il tramite di una filosofia autonoma ed autofondata chiamata, soltanto in una fase successiva, a concedere il suo assenso alla Rivelazione» (p. 78). Non dunque estrinsecismo fra fede e ragione ma una congiunzione inevitabile derivante non da una legittimazione teoretica di questa idea ma dall’affidabilità del principio nella decifrazione del significato della storia contemporanea e della condizione esistenziale personale.
Non siamo di fronte ad una dimostrazione ma ad una opzione (il dato biblico del peccato originale), un fattore non razionalmente spiegabile che pretende essere la chiave di volta della comprensione della storia della filosofia sul piano della ragione. Proprio perché il razionalismo moderno si costruisce sul rifiuto senza prove del soprannaturale e si declina come filosofia della prassi (marxismo e attualismo), la sua confutazione non può risiedere dentro un’argomentazione teorica ma nella opzione che assume il dato della rivelazione, lasciando alla storia il compito di provare la verità e la bontà di una posizione. Ora proprio l’attualismo gentiliano, che cerca di risolvere immanentisticamente nella direzione dell’unità la mediazione dell’eterno nel tempo (la quale «come affermazione del divino nella storia e come dipendenza ontologica del soggetto empirico dall’infinito trascendente» [p. 226] è il centro dell’intentio filosofica delnociana), costituisce il luogo più alto di sfida al modello filosofico di Del Noce, poiché in questi la crisi dell’attualismo è il punto necessario per determinare il superamento del razionalismo uscendone fuori e non riformandolo. In un aspetto Gentile e Del Noce si rivelano vicini, nel condividere il “nemico” da combattere, quella «filosofia illuministica, rinnovata, chiaramente, a distanza di molti anni ma, sempre, identica nel suo progetto di estirpare i valori tradizionali dalla società in nome di una edificazione totalmente secolarizzata di essa» (pp. 109-110); questo senza attenuare la radicale alternatività di risposte che provengono dai due filosofi. Il cap. II si occupa della ricostruzione della complessa interpretazione delnociana dell’attualismo.
Nella lettura del filosofo torinese la ripresa della critica all’intuito, che Gentile elabora nella sua tesi di laurea, diventa la cifra teoretica dell’attualismo, tanto che ad essa può essere ricondotta, secondo un legame di derivazione necessaria, ogni tesi sostenuta da Gentile. L’a. giudica questa posizione un “azzardo spregiudicato” che se da un alto permette a Del Noce di rielaborare il pensiero di Gentile come articolazione logica di un unico principio, dall’altro ne circoscrive riduttivamente lo sguardo. Dalla critica della dottrina dell’intuito, Del Noce fa derivare quelli che sono, dal suo punto di vista, gli aspetti più problematici dell’attualismo; infatti l’itinerario tracciato dall’attualismo si distende «lungo l’arco di una parabola che, muovendo dalla negazione indiscriminata della datità esperienziale, conclude alla dissoluzione della soggettività finita, secondo una connessione necessaria di momenti successivi » (p. 173). Ma, soprattutto, la centralità assegnata alla critica dell’in- Recensioni 147 tuito permette a Del Noce di ancorare insuperabilmente Gentile a quella modernità in cui rimane imprigionato (nonostante l’intenzione di congedarsi dalla temperie gnoseologica moderna) potendo così legittimamente fare dell’attualismo l’ultimo momento del razionalismo che tenta una riaffermazione del divino sul piano dell’immanenza. Del resto il momento propriamente religioso in Gentile è innegabile, coniugandosi con il suo ruolo di riformatore politico; la stessa filosofia di Gentile, in fondo, nascerebbe con la pretesa di essere la coscienza critica di una riforma politica e religiosa in grado di continuare e compiere l’opera iniziata dal Risorgimento.
All’analisi della religiosità politica di Gentile, della sua critica a Marx e della lettura del rapporto Rosmini-Gioberti, è dedicata la prima parte del cap. III in cui l’a. ricostruisce i presupposto storiografici dell’interpretazione delnociana di Gentile. Tra questi lo studio su Marx e la filosofia italiana del Risorgimento svolgono una funzione essenziale; essi sono il punto nevralgico di tutta l’esegesi di Del Noce. Il capitolo procede ad una verifica attenta e puntuale della legittimità storiografica di tale lettura, secondo la quale l’attualismo sarebbe già tutto contenuto nella decomposizione del marxismo e nell’inveramento di Rosmini, decomposizione e inveramento che dovevano rappresentare il versante teoretico della riforma civile e teologica alla quale ambiva Gentile, riforma però destinata allo scacco per l’impossibilità di innestare la tradizione cattolica risorgimentale nell’ordine prassistico del pensiero (cf. p. 262).
Emerge con chiarezza che l’attualismo è fattore decisivo per la decifrazione dello sviluppo teoretico e storico del marxismo che, a sua volta, per Del Noce, è la radice filosofica indiscussa degli eventi culturali e politici del Novecento, essendo la storia contemporanea l’articolazione del sistema filosofico marxista, il quale rivela «la sua potenza filosofica come capacità di condizionare la logica degli accadimenti storici e come fattore “ideale” atto a dominare, in maniera trasversale e invasiva, i fenomeni culturali e morali che da esso derivano o con i quali, a diverso titolo, esso interagisce (interpretazione transpolitica)» (p. 271); in particolare la critica filosofica del marxismo è ricondotta entro il duplice orizzonte della filosofia della prassi e del materialismo dialettico.
Quello che emerge da questa analisi dell’attualismo anche in paragone con l’altro corno del percorso razionalista, è l’attestazione del «carattere ultimamente infondato del presupposto ateistico che governa il pensiero filosofico contemporaneo» e l’evidenziazione di come «una concezione della soggettività, configurata sul modello dell’autoreferenzialità, conduca alla negazione della stessa soggettività e al nichilismo» (p. 328). Bisogna riconoscere lungimiranza e rigore filosofico all’ampia monografia di Ramella che davvero colma una lacuna importante negli studi delnociani e riesce con grande acume ad evidenziare sia gli snodi storiografici (spesso discussi) del filosofo torinese, sia quelli teoretici che nascono da un approccio singolare, il fare filosofia attraverso e a partire dalla storia della filosofia e il guardare alla storia quale luogo in cui si dirime la verità di ogni prospettiva.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 1/2010
(http://www.pul.it)
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