C'è posto per tutti
-Legami fraterni, paura, fede
(Sestante)EAN 9788834315927
La lettura degli scritti precedenti di G.C. Pagazzi ci ha resi convinti che non è del tutto vera l’accusa, spesso mossa alla teologia oggi, circa la sua autoreferenzialità e la lontananza dal vissuto degli uomini e delle donne di questo tempo. Lo stesso Roberto Vignolo, nella sua presentazione (Disatteso, eppure cruciale: il legame fraterno) al testo di Pagazzi, ci avverte che «anima […] di queste pagine è la convinzione per cui è la vita cristiana ordinaria, storicamente e non astrattamente intesa, a dar da pensare alla fede, provocandola a una nuova attenzione e a una fatica di pensiero che potrà (e dovrà) anche innalzarsi al rigore di livelli teorici più rarefatti» (p. XII-XIII).
Già in altre fatiche teologiche, infatti, l’A. si è appassionato nell’esercizio del sapere critico della fede attraverso l’analisi di questioni non lontane dalla vita quotidiana, ma con un piglio spostato sempre oltre il livello della pura ovvietà. Si pensi, ad esempio, alla pubblicazione del 2004, In principio era il Legame. Sensi e bisogni per dire Gesù o a quella del 2006, Il polso della Verità. Memoria e dimenticanza per dire Gesù, volendo riferirci solo agli ultimi scritti. Ad essi si aggiunge il testo, che qui si intende recensire, sulla fraternità «pensata – come ci avverte lo stesso A. – nella sua nonovvietà, anzi nel suo aspetto drammatico che mette in gioco l’immagine della vita, di Dio e quindi la fede. Prima di essere questione di buona educazione o generica carità, il legame fraterno è una prova della fede» (4). Il percorso proposto è di natura fenomenologica; muovendo da un’arguta analisi dei testi biblici attinenti alla fraternità e ai legami nei quali essa vive, l’A. esplora il tema conquistando «coraggiosamente» e di volta in volta prospettive nuove, non solo in ordine alle discipline chiamate in causa – la cristologia, l’ecclesiologia, la letteratura, la psicologia – ma pure in ordine ai «sensi» che configurano il legame fraterno – la paura, il desiderio, la rivalità, la fiducia. Ancora Vignolo, con buone ragioni, sostiene che l’A. «inclina a costeggiare le diverse discipline esplorandole sui loro confini, non tanto per violarle con invasive e disordinate scorribande in nome di un fugace “mordi e fuggi”, quanto assumendo di volta in volta le postazioni prospettiche più favorevoli e comunque garanti di restituire un fine sensorio sull’intero teologico» (X).
Il saggio si struttura in tre capitoli attraverso un itinerario nel quale Pagazzi ricostruisce una interessante fenomenologia del legame fraterno attenta alle dinamiche squisitamente antropologiche di cui quella dimensione dell’esistenza umana è rivelatrice, ma pure puntuale nel rileggere quelle stesse dinamiche attraverso il crocevia cristologico, snodo fondamentale per risignificare il senso profondo della fraternità tra gli uomini. Il primo capitolo (Ogni Caino non è che un Abele, 7-43) pone subito sotto gli occhi del lettore gli elementi che rendono complessa e, per certi versi, drammatica l’esperienza della fraternità. L’A. si affaccia alla realtà della fraternità attraverso diverse finestre che nelle Scritture si aprono su esempi di legami: Caino- Abele, Isacco-Ismaele, Esaù-Giacobbe, Lia-Rachele, Giuseppe-fratelli, senza trascurare del NT l’esempio della coppia Marta-Maria e dei due fratelli della parabola di Lc 15. Una costante comune nelle narrazioni bibliche esaminate dice che la fratellanza si coniuga poco e male con venature retoriche e romantiche. Al contrario, essa si presenta dall’inizio come una dimensione difficile e, addirittura, mortale dell’esistenza. È sufficiente rilevare che, già nel suo sorgere, il legame fraterno si configura come una realtà patita, non scelta. Nessuno, infatti, può determinare anzitempo l’origine della propria vita, né da chi riceverla, né con chi viverla.
Tale condizione di passività originaria, che costituisce l’identità umana, porta inscritta già in se stessa l’esperienza della morte. Di qui scaturisce la rivalità tra fratelli, scatenata dalla paura per quell’unico posto che può essere occupato dall’altro da sé, il quale immancabilmente si trasforma da fratello in rivale. È il terrore che assale l’esistenza per l’incapacità a credere che ci sia posto per due. A liberare da questa paura congenita sarà solo la fede nella capacità del Creatore che garantisce un posto unico non solo a uno, ma a ciascuno dei fratelli (43). È interessante che questa svolta l’A. la colga nell’esemplare legame fraterno narratoci dal secondo libro dei Maccabei. In un contesto in cui per la prima volta in modo assolutamente esplicito si confessa in maniera chiara la risurrezione dei morti (2Mac 7; 12, 38-45), l’A. ritrova la relazione fraterna più riuscita delle Antiche Scritture. Non a caso fraternità compiuta e fede nella resurrezione sono congiunte, quasi inseparabili (40). Nel secondo capitolo (Desiderio, rivalità e paura, 45-68) la ricerca e l’analisi circa la problematicità dei legami fraterni prosegue attraverso la rivisitazione dei grandi racconti mitici appartenenti alle principali civiltà del passato: i miti di Osiride, quello di Romolo e Remo, il mito di Edipo con la sua interpretazione riduttiva da parte di Freud. L’A. dedica anche un’attenzione particolare a pagine famose della letteratura, si pensi a I promessi sposi di A. Manzoni o a I fratelli Karamazov di F. Dostoevsky. Il riferimento a questi testi non fa che supportare ulteriormente la tesi di Pagazzi secondo cui la rivalità fraterna è sintomo della paura della morte che pre-occupa al punto da spingere verso occupazioni «eroiche », o addirittura verso l’omicidio (66).
In gioco, come si ha ancora modo di notare, è la conquista dell’unico posto possibile, in virtù del quale nell’esistenza si scatenano tensioni, paure, desideri, rivalità. Col terzo capitolo (Il Primogenito e i suoi fratelli, 69-110) si giunge al ‘cuore’ della riflessione teologica dell’A. Il focus è posto sulla persona di Gesù Cristo, Unigenito del Padre e Primogenito di molti fratelli. In Lui Pagazzi vede ricapitolata e risolta la dialettica della fraternità proprio perché differente e originale è stato il suo modo di porsi in relazione con l’Origine. Anche per Cristo, infatti, all’origine della propria esperienza umana si ritrova il segno della radicale passività che caratterizza pure ogni figlio di Adamo. Il discrimen che lo pone in una posizione altra in rapporto al resto degli uomini è, però, dato dal fatto che Cristo vive come grazia la passività rispetto ad una vita da sempre ricevuta (75-76). Il suo essere l’Uni-genito, quindi, non si esprime nell’esclusione degli altri, ma anzi nell’essere al contempo il Primogenito di molti fratelli. Ciò che risolve l’impasse per l’unico posto possibile a favore dei molti posti, tanti quanti sono gli uomini, è il passaggio cristologico della morte. La fraternità, così, si compie proprio attraverso la prova della morte. Dando voce alla lettera agli Ebrei, Pagazzi ritiene che «uno degli “effetti” prodotti su Gesù dalla Pasqua è il compimento della fraternità del Signore con gli uomini. […] Il Figlio di Dio fatto uomo diventa il Primogenito non per semplice uguaglianza alla condizione di carne e sangue, ma per aver vissuto la prova – cioè la paura della morte – “mettendo la sua fiducia in Dio” (Eb 2, 13)» (87). Di conseguenza, l’unico posto del Figlio diventa il posto unico per ogni uomo.
Dalla prospettiva cristologica la riflessione si sposta sul piano ecclesiologico in un approfondimento sulle conseguenze ecclesiali dei legami fraterni vissuti secondo lo stile di Gesù. Come si è già detto, anche la fraternità ecclesiale non è il risultato di una scelta, dal momento che al suo sorgere essa impone una situazione di passività: ci si trova fratelli e sorelle degli altri senza che alcuno in proposito abbia chiesto il parere degli interessati (99). In tal senso, la fraternità ecclesiale comporta un atto di fede nel mistero di Cristo e nella sua vittoria sulla paura della morte, così da vivere la complessità di un legame non scelto secondo lo stile di Gesù. L’A. offre, poi, una rilettura del tema della fraternità in chiave ecumenica, proponendo alcuni interessanti spunti circa il modello di fratria da ricercare nel dialogo tra le chiese. Non si può che debitamente riconoscere la ricchezza e la profondità di questo saggio che, seppur breve, di fatto traccia un percorso tematico nel quale la convergenza di analisi, confronti, intuizioni contribuisce a consegnare al lettore un’opera brillante e meritevole di essere letta con la giusta attenzione ai particolari senza, però, distrarre lo sguardo dall’orizzonte ampio che l’A. abilmente traccia lungo l’evoluzione del saggio. Di particolare rilievo è l’approccio fenomenologico con cui Pagazzi si accosta ai temi da lui studiati, producendo una riflessione che sicuramente fa bene tanto alla teologia, quanto alla stessa vita della chiesa. E se il nostro A., per una volta sola, si dedicasse ad un lavoro più di natura epistemologica, consegnandoci non solo dei contenuti, ma anche una traccia di metodo per fare teologia «alla sua maniera»?
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose n. 1/2009
(http://www.facoltateologica.it/rivistadiscienzereligiose.html)
Il giovane ed ormai assestato autore esprime in questo ennesimo volume la sua capacità di leggere il testo biblico secondo le esigenze esegetiche, ma non dimenticando quelle teologiche, ed anzi quelle culturali, in certo modo coinvolgendo tutto il mondo di esperienza della persona (il lettore non legge un testo anche secondo se stesso?), offrendoci così una lettura globale del tema scelto. Nel nostro caso l’argomento riguarda il “legame fraterno”, quella fraternità affermata come il distintivo della identità cristiana. Purtroppo avviene che quello che è un contrassegno fondante della religione di Gesù, sia assunto in termini ovvi, semplificatori, banalizzati e deformati in maniera vergognosa, da “volemose ben”.
In realtà, i legami fraterni nella vita quotidiana, sia naturale che cristiana, entrano nell’area della prova e dell’esigenza di alto livello più che non nella dinamica dello spontaneo e acquisito. Intorno alla fraternità si aggira il mondo della paura, dell’avversione gelosa, dunque della morte, in fondo si assiste ad una tendenziale spinta alla non fraternità (simboli mondiali sono Caino e Abele, Giuseppe e i suoi fratelli, ma anche il racconto di Romolo e Remo). La soluzione sta nella figura di colui che viene detto “primogenito di molti fratelli”, Gesù crocifisso che ci ha dimostrato legami fraterni totalmente puri, cristallini, validi, universali. Ha fatto da capro espiatorio, direbbe Girard, ed ora offre a tutti (“C’è posto per tutti”) una fraternità i cui estremi sono in sua mano e noi liberi dalla paura della morte, dell’invidia e della gelosia ritroviamo nell’altro un fratello che riflette il volto del Signore. Il libro è aperto da una succosa presentazione di R. Vignolo con un giudizio finale: questo libro, tra i non molti esistenti è destinato «a ‘far bene’ tanto alla teologia in particolare, come più generalmente alla vita della Chiesa, capace di offrire fecondo e perspicuo sostegno alla causa di entrambe» (p. X). Aggiungerei il valore di una analisi esistenziale e provocativa nei confronti di quella che è la lettura ovvia della realtà ordinaria (e i legami fraterni sono tali) non per evadere dall’ordinario ma dall’ovvio, e scoprire la densità di realtà (atteggiamenti, sentimenti, relazioni) collocate nel quotidiano.
È il pericolo in cui sono esposti i legami di fraternità. Si sanno, si hanno e non si coltivano e dunque si perdono. Quanto è difficile e altrettanto bello, vivere una ecclesialità come fraternità in Cristo. Gesù facendosi uomo ordinario e introducendo a nome del Padre una fraternità così radicale (chi dubita della fraternità di Gesù per ogni uomo?), spinge con la sua grazia i discepoli ad una quotidiana scoperta, rafforzamento e gusto dei legami fraterni.
Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 2, 384-385
(http://las.unisal.it)
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