Questo libro è stato scritto a più mani, ma con un intento teorico unitario e, in certo modo, controcorrente, perché difende, nelle cose di etica, la cifra speculativa della trascendentalità, da qualche tempo oggetto di attacchi molteplici in nome di una diffusa istanza ‘decostruzionistica'. La trascen-dentalità è, però, lo stesso che l'orizzonte della soggettività umana nella sua straordinaria capacità di riferirsi alla totalità delle cose. L'istanza decostruzionistica, cioè il progetto di ridurre la soggettività umana alla finitezza storico-empirica, non può, allora, che restare pura intenzione. Il nostro riferimento alla totalità, in effetti, non può né essere oltrepassato né soppresso: è la nostra stessa essenza. Ne viene che qualsiasi discorso di etica deve essere riferito inevitabilmente alla trascendentalità. Come, appunto, qui si è fatto. S'intende, riferito in modo specifico: i discorsi di etica qui lo sono nel senso che hanno di mira uno scopo trascendentale (il bene) e un'origine trascendentale (la libertà). Nell'eticità, comunque, la trascendentalità come scopo si incontra storicamente solo nell'esistenza umana: perciò l'eticità è originariamente una questione inter-soggettiva. La seconda parte del libro vi insiste a lungo, nella convinzione che la difesa della trascendentalità etica intersoggettiva è, nel contempo, difesa della trascendenza etica. E tuttavia, che un essere trascendente voglia interagire con gli esseri umani può esser trattato, parlando en philosophe, tutt'al più come un che di conveniente, anche se sommamente gratificante per noi. In verità, solo qualcosa come una rivelazione può annunciarlo e garantirlo. Ora, un discorso rivelato non è un discorso filosofico, anche se da un discorso filosofico può essere invocato come proprio compimento. Da qui la discrezione, ma anche la predilezione con cui i temi di etica presenti in questo libro guardano in prospettiva al rivelato, e precisamente a ciò che Gesù di Nazareth ha rivelato.