La testimonianza. Verità di Dio e libertà dell'uomo
(Diaconia alla verità) [Libro in brossura]EAN 9788831524032
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DETTAGLI DI «La testimonianza. Verità di Dio e libertà dell'uomo»
Tipo
Libro
Titolo
La testimonianza. Verità di Dio e libertà dell'uomo
Autore
Martinelli Paolo
Editore
Paoline Edizioni
EAN
9788831524032
Pagine
226
Data
gennaio 2002
Peso
272 grammi
Altezza
21 cm
Larghezza
12 cm
Profondità
1,9 cm
Collana
Diaconia alla verità
COMMENTI DEI LETTORI A «La testimonianza. Verità di Dio e libertà dell'uomo»
Recensioni di riviste specialistiche su «La testimonianza. Verità di Dio e libertà dell'uomo»
Recensione di Ugo Sartorio della rivista Studia Patavina
Siamo di fronte, non solo per motivi contingenti, ad un ritorno massiccio del tema “testimonianza” nella riflessione teologica, e il testo di Martinelli si inserisce felicemente in questo movimento di ripresa e di approfondimento di un filone di pensiero che è senz’altro da giudicare fecondo: da una parte, infatti, esso offre la possibilità di mettere a fuoco l’identità cristiana a partire dai suoi fondamenti, mentre dall’altra conduce a cogliere gli snodi decisivi per l’annuncio cristiano nel mondo d’oggi. Se lungo la storia la testimonianza non ha sempre goduto di unanime stima e se molti sono stati i riduzionismi a cui l’epoca moderna l’ha sottoposta (si pensi soltanto alla poca fiducia o anche all’inattendibilià attribuita alla “conoscenza per testimonianza”), fino ad una vera e propria eclissi della testimonianza (sia in filosofia che in teologia), nell’orizzonte della credibilità della rivelazione e di fronte alla necessità sempre più avvertita dalla coscienza ecclesiale di “rendere ragione della speranza” (1Pt 3,15) è ancora da valutare appieno il suo attuale inaspettato recupero.
L’autore parte da alcuni rilievi storici, sintetici ma indicativi, per mostrare come ad un’iniziale valorizzazione della circolarità originaria tra intellectus e confessio fidei (primi secoli) e tra teologia e santità (fino alle grandi sintesi scolastiche medievali, XII-XIII sec.), sia succeduta, soprattutto in seguito al divorzio tra teologia e spiritualità e ancor più con la serrata critica alla rivelazione tipica dell’epoca moderna, una squalifica teoretica e una marginalizzazione pratica della testimonianza. Questa, privata di ogni valore oggettivo, viene considerata per lo più come conoscenza di seconda mano, utile unicamente per attestare la dedizione personale ad una causa, e di conseguenza - proprio a motivo della sua svalutazione a livello filosofico - relegata in teologia al ruolo di “prova esterna” di credibilità, essenzialmente riferita, come farà il Vaticano I adottando la via empirica proposta dal cardinal Dechampes, alla presenza testimoniale della chiesa nella storia. Solo con il Vaticano II si può registrare una significativa inversione di tendenza, una vera e propria riscoperta (anche a motivo dell’ingresso, nei documenti prodotti, di categorie fortemente personalistiche e storiche per descrivere l’evento della rivelazione, la fede e il ruolo della chiesa nella storia della salvezza) della testimonianza, mentre nel postconcilio si assiste al consolidamento e ad una nuova integrazione di questa categoria nel discorso teologico. In particolare, poiché nel postconcilio con la nuova impostazione il tema della credibilità si libera definitivamente dal complesso di inferiorità che ne aveva determinato l’eclissi e ritrova cittadinanza al cuore di una rinnovata teologia fondamentale, la testimonianza torna a mostrare tutta la sua fecondità di categoria in grado di fare da collante ai tratti tipici del discorso teologico-fondamentale. Pur con accenti diversi, alcune opere recenti dall’impianto solido (cf. i volumi di P. Sequeri, R. Fisichella, H. Verweyen, S. Pié-Ninot, citati alla nota 69 di p. 59), fanno capire come l’atto testimoniale non sia da considerare alla stregua di appendice pastorale della vita cristiana, ma vada colto piuttosto in tutta la sua portata teologica e teologale.
Il secondo capitolo dell’opera è titolato “La testimonianza come atto antropologico fondamentale”, e ha lo scopo di illustrare la profonda pertinenza antropologica e la rilevanza comunicativa della testimonianza (cristiana). Il discorso viene svolto indagando il nesso decisivo, che coinvolge prima il testimone e poi i destinatari della sua testimonianza, tra libertà umana e verità. Si tratta di un passaggio imprescindibile per guadagnare le coordinate pubbliche di un argomentare che rimarrebbe altrimenti autoreferenziale. Esiste una verità che accolta come dono impegna la propria libertà portandola a compimento, e può essere confessata di fronte ad altri ponendosi come segno significativo. In queste pagine l’autore dispiega le migliori qualità speculative, nella scia del pensiero di autori come von Balthasar, Guardini, Ratzinger, Marion, Ricoeur.
Il terzo capitolo garantisce la centratura cristologico-trinitaria dell’intera riflessione, e mette in evidenza i caratteri costitutivi della testimonianza originaria di Cristo, che è testimonianza del Padre nello Spirito. In Cristo la pienezza della rivelazione è anche pienezza della testimonianza, rivelazione e testimonianza che trovano il loro vertice nel mistero pasquale. “Si può affermare che non esista altra verità di Dio che quella dell’amore trinitario, che il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto ci rivela e che lo Spirito Santo vuole testimoniare nei nostri cuori. La Verità di Dio è il suo assoluto amore… La categoria della testimonianza della verità, in tal modo, si presenta come testimonianza della vita dell’Unitrino partecipataci nella rivelazione” (p. 141).
Il quarto e ultimo capitolo non poteva che avere come argomento l’indole ecclesiale della testimonianza cristiana, a partire dal recupero della circolarità tra testimonianza e fede per cui l’atto testimoniale non va pensato come qualcosa che si aggiunge dall’esterno alla fede o che ne rappresenta il momento applicativo, ma come modo proprio del credere. Interessante, in questa sezione, la sosta sulla “questione” del destinatario: egli è da sempre incluso nell’atto testimoniale stesso, cioè non estrinseco nei confronti della rivelazione e dell’intelligenza teologica che da essa prende forma; egli è un “fratello”, uno per cui Cristo ha dato la vita; e anche il fratello “nemico” resta a pieno titolo, anzi a titolo del tutto speciale, destinatario del dono della Verità. Con alcuni cenni alle due forme supreme di testimonianza, verginità e martirio, alle quali la chiesa riconosce una obiettiva eccellenza, e con breve richiamo alle figure del francescano Massimiliano Kolbe e del monaco trappista di Tibhirine padre Christian, si chiude la parabola di riflessione del testo.
L’impressione che si ricava dalla lettura dell’insieme è di essere di fronte ad un progetto ben strutturato (anche se, a motivo della finalità divulgativa del testo e dei limiti di spazio, non sempre adeguatamente sviluppato) di riabilitazione a tutto campo della categoria di testimonianza. La prospettiva teologico-fondamentale, che ispira il progetto e presiede alla strutturazione delle parti, contribuisce ad evitare ogni caduta di tono nella troppo abituale e superficiale apologia della testimonianza che alla fine si riduce alla sola enfatizzazione della stessa. L’intento è chiaramente fondativo, per cui si lavora alle radici, senza dispensare facili ricette per incitare alla prassi o per orientarla, e se da una parte tale impostazione può scoraggiare la lettura di chi pensa che in queste pagine si sventoli emotivamente la bandiera della testimonianza, dall’altra può servire da richiamo per chi invece intenda maturare come autentico apologeta della verità di Dio.
Giudichiamo particolarmente interessanti i primi due capitoli del lavoro. Nel primo si conduce, in modo originale, una lettura della critica alla rivelazione come critica delle sue testimonianze (cf. pp. 26-37), e in verità questo approccio riesce a contestualizzare un ampio segmento della riflessione teologica che per gli studenti di teologia, in genere, non è tra i più entusiasmanti. Il secondo capitolo, mettendo a tema la testimonianza come atto antropologico fondamentale, pone a contatto vivo con la sensibilità contemporanea, sottraendo inoltre la testimonianza da ogni deriva puramente soggettivistica. Il terzo capitolo, molto lineare e convincente nel suo svolgimento, ci sembra collocato su binari sicuri e collaudati, mentre si può notare nel capitolo quarto - forse per la volontà di non tralasciare piste di riflessione pure interessanti - un’eccessiva abbondanza di temi che conduce alla frammentazione. Solo un piccolo rilievo, en passant: quando parla della verginità (nella vita religiosa) l’autore usa impropriamente, come suo sinonimo, l’espressione “castità perfetta” (p. 190).
Il nostro grazie alla fatica del prof. Martinelli è pieno e sincero, e siamo sicuri che il libro saprà trasmettere ai lettori - oltre che solidi contenuti - passione per una teologia intelligente e rigorosa, comunicativa e testimoniale, certamente attuale: “Nell’epoca in cui si è tentati di rifiutare ogni verità in nome della libertà, la testimonianza appare come quella comunicazione del vero che si veicola non altrimenti che nella forma della libertà di una persona che si apre all’altra, provocandola a fidarsi e ad affidarsi a tale verità” (p. 205).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
L’autore parte da alcuni rilievi storici, sintetici ma indicativi, per mostrare come ad un’iniziale valorizzazione della circolarità originaria tra intellectus e confessio fidei (primi secoli) e tra teologia e santità (fino alle grandi sintesi scolastiche medievali, XII-XIII sec.), sia succeduta, soprattutto in seguito al divorzio tra teologia e spiritualità e ancor più con la serrata critica alla rivelazione tipica dell’epoca moderna, una squalifica teoretica e una marginalizzazione pratica della testimonianza. Questa, privata di ogni valore oggettivo, viene considerata per lo più come conoscenza di seconda mano, utile unicamente per attestare la dedizione personale ad una causa, e di conseguenza - proprio a motivo della sua svalutazione a livello filosofico - relegata in teologia al ruolo di “prova esterna” di credibilità, essenzialmente riferita, come farà il Vaticano I adottando la via empirica proposta dal cardinal Dechampes, alla presenza testimoniale della chiesa nella storia. Solo con il Vaticano II si può registrare una significativa inversione di tendenza, una vera e propria riscoperta (anche a motivo dell’ingresso, nei documenti prodotti, di categorie fortemente personalistiche e storiche per descrivere l’evento della rivelazione, la fede e il ruolo della chiesa nella storia della salvezza) della testimonianza, mentre nel postconcilio si assiste al consolidamento e ad una nuova integrazione di questa categoria nel discorso teologico. In particolare, poiché nel postconcilio con la nuova impostazione il tema della credibilità si libera definitivamente dal complesso di inferiorità che ne aveva determinato l’eclissi e ritrova cittadinanza al cuore di una rinnovata teologia fondamentale, la testimonianza torna a mostrare tutta la sua fecondità di categoria in grado di fare da collante ai tratti tipici del discorso teologico-fondamentale. Pur con accenti diversi, alcune opere recenti dall’impianto solido (cf. i volumi di P. Sequeri, R. Fisichella, H. Verweyen, S. Pié-Ninot, citati alla nota 69 di p. 59), fanno capire come l’atto testimoniale non sia da considerare alla stregua di appendice pastorale della vita cristiana, ma vada colto piuttosto in tutta la sua portata teologica e teologale.
Il secondo capitolo dell’opera è titolato “La testimonianza come atto antropologico fondamentale”, e ha lo scopo di illustrare la profonda pertinenza antropologica e la rilevanza comunicativa della testimonianza (cristiana). Il discorso viene svolto indagando il nesso decisivo, che coinvolge prima il testimone e poi i destinatari della sua testimonianza, tra libertà umana e verità. Si tratta di un passaggio imprescindibile per guadagnare le coordinate pubbliche di un argomentare che rimarrebbe altrimenti autoreferenziale. Esiste una verità che accolta come dono impegna la propria libertà portandola a compimento, e può essere confessata di fronte ad altri ponendosi come segno significativo. In queste pagine l’autore dispiega le migliori qualità speculative, nella scia del pensiero di autori come von Balthasar, Guardini, Ratzinger, Marion, Ricoeur.
Il terzo capitolo garantisce la centratura cristologico-trinitaria dell’intera riflessione, e mette in evidenza i caratteri costitutivi della testimonianza originaria di Cristo, che è testimonianza del Padre nello Spirito. In Cristo la pienezza della rivelazione è anche pienezza della testimonianza, rivelazione e testimonianza che trovano il loro vertice nel mistero pasquale. “Si può affermare che non esista altra verità di Dio che quella dell’amore trinitario, che il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto ci rivela e che lo Spirito Santo vuole testimoniare nei nostri cuori. La Verità di Dio è il suo assoluto amore… La categoria della testimonianza della verità, in tal modo, si presenta come testimonianza della vita dell’Unitrino partecipataci nella rivelazione” (p. 141).
Il quarto e ultimo capitolo non poteva che avere come argomento l’indole ecclesiale della testimonianza cristiana, a partire dal recupero della circolarità tra testimonianza e fede per cui l’atto testimoniale non va pensato come qualcosa che si aggiunge dall’esterno alla fede o che ne rappresenta il momento applicativo, ma come modo proprio del credere. Interessante, in questa sezione, la sosta sulla “questione” del destinatario: egli è da sempre incluso nell’atto testimoniale stesso, cioè non estrinseco nei confronti della rivelazione e dell’intelligenza teologica che da essa prende forma; egli è un “fratello”, uno per cui Cristo ha dato la vita; e anche il fratello “nemico” resta a pieno titolo, anzi a titolo del tutto speciale, destinatario del dono della Verità. Con alcuni cenni alle due forme supreme di testimonianza, verginità e martirio, alle quali la chiesa riconosce una obiettiva eccellenza, e con breve richiamo alle figure del francescano Massimiliano Kolbe e del monaco trappista di Tibhirine padre Christian, si chiude la parabola di riflessione del testo.
L’impressione che si ricava dalla lettura dell’insieme è di essere di fronte ad un progetto ben strutturato (anche se, a motivo della finalità divulgativa del testo e dei limiti di spazio, non sempre adeguatamente sviluppato) di riabilitazione a tutto campo della categoria di testimonianza. La prospettiva teologico-fondamentale, che ispira il progetto e presiede alla strutturazione delle parti, contribuisce ad evitare ogni caduta di tono nella troppo abituale e superficiale apologia della testimonianza che alla fine si riduce alla sola enfatizzazione della stessa. L’intento è chiaramente fondativo, per cui si lavora alle radici, senza dispensare facili ricette per incitare alla prassi o per orientarla, e se da una parte tale impostazione può scoraggiare la lettura di chi pensa che in queste pagine si sventoli emotivamente la bandiera della testimonianza, dall’altra può servire da richiamo per chi invece intenda maturare come autentico apologeta della verità di Dio.
Giudichiamo particolarmente interessanti i primi due capitoli del lavoro. Nel primo si conduce, in modo originale, una lettura della critica alla rivelazione come critica delle sue testimonianze (cf. pp. 26-37), e in verità questo approccio riesce a contestualizzare un ampio segmento della riflessione teologica che per gli studenti di teologia, in genere, non è tra i più entusiasmanti. Il secondo capitolo, mettendo a tema la testimonianza come atto antropologico fondamentale, pone a contatto vivo con la sensibilità contemporanea, sottraendo inoltre la testimonianza da ogni deriva puramente soggettivistica. Il terzo capitolo, molto lineare e convincente nel suo svolgimento, ci sembra collocato su binari sicuri e collaudati, mentre si può notare nel capitolo quarto - forse per la volontà di non tralasciare piste di riflessione pure interessanti - un’eccessiva abbondanza di temi che conduce alla frammentazione. Solo un piccolo rilievo, en passant: quando parla della verginità (nella vita religiosa) l’autore usa impropriamente, come suo sinonimo, l’espressione “castità perfetta” (p. 190).
Il nostro grazie alla fatica del prof. Martinelli è pieno e sincero, e siamo sicuri che il libro saprà trasmettere ai lettori - oltre che solidi contenuti - passione per una teologia intelligente e rigorosa, comunicativa e testimoniale, certamente attuale: “Nell’epoca in cui si è tentati di rifiutare ogni verità in nome della libertà, la testimonianza appare come quella comunicazione del vero che si veicola non altrimenti che nella forma della libertà di una persona che si apre all’altra, provocandola a fidarsi e ad affidarsi a tale verità” (p. 205).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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Danilo Ferrari il 7 ottobre 2018 alle 19:34 ha scritto:
É un libro che ho scelto di trattare per l'esame di teologia fondamentale. Tratta della testimonianza in maniera approfondita e sistematica. Secondo il mio parere necessita di una lettura e rilettura per una comprensione piena del contenuto.