Fedi e poteri nella società globale
(RoccaLibri)EAN 9788830808737
Uno dei due autori è il decano dell’informazione religiosa in Italia, nonché docente di Etica della comunicazione (Università di Padova): figlio primogenito del Vaticano II (all’epoca non era ancora trentenne), egli ragiona sugli attuali rapporti tra fede e storia e tra fede e politica forte degli strumenti e dei criteri (fondazione teologica, visione internazionale, prospettiva ecumenica e interreligiosa) messi a punto nella straordinaria stagione corrispondente ai pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI, in cui l’informatore religioso, liberatosi dallo stretto (ancorché comodo) profilo del «vaticanista », ha contribuito con il suo lavoro all’attuazione delle riforme conciliari e al tentativo di costruire anche all’interno della Chiesa di Roma un’opinione pubblica. L’altro autore è pure un giornalista e docente (di Comunicazione istituzionale, alla Pontificia università della Santa Croce) ma della generazione successiva, figlio dunque del pontificato wojtyliano, proteso a esplorare con metodi rigorosi le potenzialità comunicative offerte alle istituzioni ecclesiali dai «nuovi media», segnatamente Internet, sia verso i fedeli (reali e potenziali), sia in quanto fonti per gli altri media, ben consapevole che, nella moderna era digitale, i produttori della comunicazione vanno moltiplicandosi e confondendosi con gli utenti, ma convinto che un’istituzione, e in particolare un’istituzione della Chiesa cattolica, non possa permettersi di avallare una tale confusione. A loro modo, ancorché distantissimi, entrambi i volumi sono affascinanti. Zizola colloca i nodi cruciali che stanno davanti alla Chiesa di Roma e alle altre Chiese e religioni oggi (il fondamentalismo, l’uso strumentale della religione nei conflitti politico-militari, i rapporti Chiesa-stato, gli interrogativi della bioetica) su uno sfondo che come minimo abbraccia buona parte del Novecento e come massimo (nel saggio che ho trovato più strutturato e godibile, «Il dialogo interreligioso nella complessità mediterranea») si spinge agli albori dell’era moderna. Arasa, alla luce sia dell’intero dossier Chiesa – comunicazioni sociali, sia della messa a punto di un modello per l’analisi dei siti Internet, ha lavorato con scrupolosa applicazione (è la sua tesi di dottorato...), anche rapportandosi direttamente ai responsabili, sui websites di sette diocesi tra le più importanti del pianeta (Bogotá, Johannesburg, Los Angeles, Madrid, Manila, Melbourne, Città del Messico, Milano e San Paolo), e pur escludendo a priori di possedere la ricetta del «sito dicoesano ideale», è approdato all’individuazione di preziose linee-guida per chiunque, dall’interno della Chiesa, volesse avventurarsi in questo ambiente comunicativo. La scelta di accostarli non discende dunque dal caso o da un capriccio redazionale; al contrario. È noto che negli ultimi anni l’informazione religiosa sui massmedia generalisti (TV, grandi giornali) è andata sempre più separandosi dal suo specialista (il cosiddetto «informatore religioso», appunto, tornato «vaticanista» o poco più)(1), per divenire appannaggio degli autori più vari, dallo stagista chino per ore sul suo desktop, all’intellettuale di varia grandezza, fino a tanti modesti principi e principesse dell’infotainment televisivo. Questo fenomeno porta come corollario (come ha ben compreso, ad esempio, la Conferenza episcopale italiana), la crescita d’importanza degli uffici stampa e degli altri strumenti di comunicazione delle istituzioni ecclesiali, in quanto fonti suscettibili di essere fatte proprie dagli altri media senza frapporre particolari mediazioni; e non c’è dubbio che tra questi strumenti i siti Internet siano tra i più economici e accessibili anche alle istituzioni meno dotate di mezzi finanziari o meno disposte a investirne in questo campo. Ecco perché mi pare che leggere insieme Zizola e Arasa moltiplichi l’interesse insito in ciascuna delle loro opere: non solo in quanto rappresentano il glorioso passato e l’incerto futuro dell’informazione religiosa, ma perché, insieme, suggeriscono alle istituzioni ecclesiali che l’unica strada per un rapporto fecondo con i media (i propri e quelli altrui) è essere consapevoli di aver bisogno della loro libertà(2).
________________________________________________________
(1) Un’indiretta riprova di questa situazione si ha nel fecondo proliferare di blog a firma di informatori religiosi: anche se il taglio e i contenuti variano sensibilmente da un autore all’altro (e anche se il fenomeno riguarda «tutti» i giornalisti), sono in minoranza ormai i vaticanisti che non ne tengono uno: una personalizzazione della comunicazione che pare il rovescio della medaglia di quella confusione tra produttore e utente di cui dicevo sopra.
(2) Riprendo qui un’affermazione, a me particolarmente cara, del vescovo di Lille, mons. G. Defois, riferita da B. FRAPPAT, «L’esigenza della libertà », in CEI, Parabole mediatiche. Fare cultura nel tempo della comunicazione, EDB, Bologna 2003, 127s.