Custodire la parola tra ascolto e prassi. Il tema della «custodia» nella tradizione giovannea
(Commenti e studi biblici)EAN 9788830808034
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DETTAGLI DI «Custodire la parola tra ascolto e prassi. Il tema della «custodia» nella tradizione giovannea»
Tipo
Libro
Titolo
Custodire la parola tra ascolto e prassi. Il tema della «custodia» nella tradizione giovannea
Autore
Marino Marcello
Editore
Cittadella
EAN
9788830808034
Pagine
352
Data
2005
Peso
450 grammi
Dimensioni
14.5 x 21 cm
Collana
Commenti e studi biblici
COMMENTI DEI LETTORI A «Custodire la parola tra ascolto e prassi. Il tema della «custodia» nella tradizione giovannea»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Custodire la parola tra ascolto e prassi. Il tema della «custodia» nella tradizione giovannea»
Recensione di Giuseppe Segalla della rivista Studia Patavina
L’opera è la prima parte di un lavoro originario sullo stesso tema nell’Apocalisse, già pubblicato (Custodire la Parola. Il verbo THEPEIN nell’Apocalisse alla luce della tradizione giovannea, Dehoniane, Bologna 2003), in cui l’a. sosteneva la continuità del tema nei tre grandi scritti giovannei (Quarto Vangelo, Prima Lettera e Apocalisse), qui ribadita nella introduzione (p. 15).
Il lavoro si articola in due grandi parti di cui la seconda è la principale: il verbo custodire/shamar/therein nel Deuteronomio (custodire la parola della Torah e custodire la Legge, che corrispondono all’interiorizzazione e alla prassi) e il tema della «custodia» nel Quarto Vangelo e nella Prima lettera (i due sintagmi therein ton logon/tas entolas, il primo orientato alla interiorizzazione e comprensione, il secondo alla prassi dell’amore secondo il comandamento nuovo).
Mi sembrano due i guadagni del lavoro, che rispecchia la precisione, ma anche la pedanteria di una tesi (se fosse stata ridotta in modo piú sintetico ne avrebbe guadagnato a mio parere).
Il primo è di carattere filologico, posto dal problema di una traduzione, nel nostro caso del verbo therein, tipico di tutta la tradizione giovannea anche se con valenze diverse che rispecchiano diversi generi (vangelo, lettera e apocalisse) e diverse funzioni all’interno delle rispettive opere. Ora il verbo potrebbe essere tradotto in italiano con «osservare» (ed era il piú usuale) e corrisponderebbe quindi al «fare», oppure con «conservare» e in questo caso perderebbe la valenza dinamica per esprimere la preoccupazione di una tradizione da non alterare. Invece la felice scelta di «custodire» mi sembra rifletta ambedue le valenze, ciò che tra l’altro corrisponde al doppio significato di molti termini in Giovanni. «Custodire» significa sia custodire un tesoro prezioso perché non vada perduto, ma al contempo un tesoro da interiorizzare, da assimilare e da utilizzare, insomma indica la conservazione dinamica di una preziosa rivelazione, la parola di Dio e la Legge nel Deuteronomio, la parola di Gesú e i suoi comandamenti nel Quarto Vangelo e Lettera. Per di piú i due oggetti orientano ai due sensi: «custodire la parola» al senso di assimilazione e comprensione vicino a «rimanere nella parola» e «nell’amore di Gesú», mentre l’altro sintagma «custodire i comandamenti di Gesú», praticamente il comandamento dell’amore scambievole nella comunità orienta al «fare» cioè al mettere in pratica e portare frutto (cf. Gv 15,1-7). Questo il primo guadagno.
Il secondo è un guadagno di teologia biblica, che si ispira a P. Beuchamp, e cioè una lettura canonica e unitaria della Bibbia, nel nostro caso viene messo in luce lo stretto rapporto teologico del tema nel Deuteronomio e nel Quarto Vangelo. È noto che il Deuteronomio è il codice legislativo piú vicino al Nuovo Testamento e in particolare al Quarto Vangelo. Ciò viene confermato. Un parallelo sorprendente, solo col Quarto Vangelo, è la finale del QV (Gv 20,30-31) e del Deuterono-mio (Dt 34,10-12). Cito solo questo testo dalla LXX, con traduzione letterale, dato che il primo, quello di Giovanni è noto: «E non sorse piú un profeta in Israele come Mosè che (hon, complemento oggetto) il Signore (soggetto) conobbe faccia a faccia, in tutti i suoi segni e portenti, che inviò lui il Signore a fare essi in Egitto al Faraone... e a tutta la sua terra, i prodigi grandi e la mano forte che fece Mosè davanti a tutto il popolo di Israele».
Questi due guadagni, uno filologico e l’altro teologico sono risultati di cui la futura ricerca su Giovanni dovrà tener conto.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Il lavoro si articola in due grandi parti di cui la seconda è la principale: il verbo custodire/shamar/therein nel Deuteronomio (custodire la parola della Torah e custodire la Legge, che corrispondono all’interiorizzazione e alla prassi) e il tema della «custodia» nel Quarto Vangelo e nella Prima lettera (i due sintagmi therein ton logon/tas entolas, il primo orientato alla interiorizzazione e comprensione, il secondo alla prassi dell’amore secondo il comandamento nuovo).
Mi sembrano due i guadagni del lavoro, che rispecchia la precisione, ma anche la pedanteria di una tesi (se fosse stata ridotta in modo piú sintetico ne avrebbe guadagnato a mio parere).
Il primo è di carattere filologico, posto dal problema di una traduzione, nel nostro caso del verbo therein, tipico di tutta la tradizione giovannea anche se con valenze diverse che rispecchiano diversi generi (vangelo, lettera e apocalisse) e diverse funzioni all’interno delle rispettive opere. Ora il verbo potrebbe essere tradotto in italiano con «osservare» (ed era il piú usuale) e corrisponderebbe quindi al «fare», oppure con «conservare» e in questo caso perderebbe la valenza dinamica per esprimere la preoccupazione di una tradizione da non alterare. Invece la felice scelta di «custodire» mi sembra rifletta ambedue le valenze, ciò che tra l’altro corrisponde al doppio significato di molti termini in Giovanni. «Custodire» significa sia custodire un tesoro prezioso perché non vada perduto, ma al contempo un tesoro da interiorizzare, da assimilare e da utilizzare, insomma indica la conservazione dinamica di una preziosa rivelazione, la parola di Dio e la Legge nel Deuteronomio, la parola di Gesú e i suoi comandamenti nel Quarto Vangelo e Lettera. Per di piú i due oggetti orientano ai due sensi: «custodire la parola» al senso di assimilazione e comprensione vicino a «rimanere nella parola» e «nell’amore di Gesú», mentre l’altro sintagma «custodire i comandamenti di Gesú», praticamente il comandamento dell’amore scambievole nella comunità orienta al «fare» cioè al mettere in pratica e portare frutto (cf. Gv 15,1-7). Questo il primo guadagno.
Il secondo è un guadagno di teologia biblica, che si ispira a P. Beuchamp, e cioè una lettura canonica e unitaria della Bibbia, nel nostro caso viene messo in luce lo stretto rapporto teologico del tema nel Deuteronomio e nel Quarto Vangelo. È noto che il Deuteronomio è il codice legislativo piú vicino al Nuovo Testamento e in particolare al Quarto Vangelo. Ciò viene confermato. Un parallelo sorprendente, solo col Quarto Vangelo, è la finale del QV (Gv 20,30-31) e del Deuterono-mio (Dt 34,10-12). Cito solo questo testo dalla LXX, con traduzione letterale, dato che il primo, quello di Giovanni è noto: «E non sorse piú un profeta in Israele come Mosè che (hon, complemento oggetto) il Signore (soggetto) conobbe faccia a faccia, in tutti i suoi segni e portenti, che inviò lui il Signore a fare essi in Egitto al Faraone... e a tutta la sua terra, i prodigi grandi e la mano forte che fece Mosè davanti a tutto il popolo di Israele».
Questi due guadagni, uno filologico e l’altro teologico sono risultati di cui la futura ricerca su Giovanni dovrà tener conto.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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