La maturità evangelica di Francesco
-Il carisma francescano tra regola e vita
(Orientamenti formativi francescani)EAN 9788825024586
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In occasione dell’ottavo centenario della fondazione dell’Ordine francescano, sono state organizzate diverse iniziative, tra cui il primo incontro mondiale di tutti i frati ad Assisi, per celebrare il Capitolo delle Stuoie. Il presente volume riprende in parte gli interventi e le riflessioni maturati durante le giornate assisane per fare memoria del carisma di Francesco e dei suoi primi compagni. Gli articoli più significativi qui raccolti provano a rendere attuale il messaggio del Poverello e hanno come prospettiva di fondo il tema della testimonianza. Difatti, si può incontrare Francesco là dove è testimoniato. La maturità evangelica di Francesco è messa in rilievo attraverso le analisi prospettiche di alcuni importanti esponenti della storia del francescanesimo e della spiritualità medievale, come pure mediante le suggestioni di uomini e donne di spicco del mondo politico, socio-culturale, nonché artistico, teatrale e giornalistico dei nostri giorni.
Attraverso undici capitoli, il carisma francescano – tra regola e vita – è scandagliato, nella sua profondità di contenuto e di espressioni, in ogni parte. Il primo capitolo raccoglie il messaggio di Benedetto XVI pronunciato ai rappresentanti della famiglia francescana ricevuti in udienza il giorno 18 aprile 2009 nel cortile del Palazzo pontificio di Castel Gandolfo, in occasione del Capitolo delle Stuoie. Benedetto XVI afferma che Francesco d’Assisi comprese se stesso (la sua identità e vocazione) confrontandosi con il Vangelo. Il papa sottolinea anche il rapporto tra il Poverello e la chiesa locale. Attraverso questa fedeltà a Cristo e alla chiesa, Francesco è riuscito a divenire lievito evangelico per il bene del mondo. Egli ha riparato la casa del Signore a partire da se stesso, convertendosi e facendo penitenza (cf. p. 13). È qui raccolto anche il messaggio del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, su Educare alle regole. A partire dalla testimonianza di pace e di solidarietà di Francesco e dei suoi compagni, il carisma francescano, oggi, si esprime nel costruire una società civile più giusta, fondata sul rispetto degli altri, sulla pace, sulla solidarietà (cf. pp. 15-16).
Il capitolo secondo è dedicato alla nascita del carisma e raccoglie gli interventi di Felice Accrocca (Un’eredità impegnativa. Dalla “Protoregola” alla “Regola bollata”, pp. 17-27), di Milvia Bollati (Un «novello pazzo», pp. 28-31), di Franco Cardini (Il cavaliere di Cristo, pp. 32-42). Il Vangelo, esperienza autentica di libertà e di gioia, è la forma di vita che frate Francesco ha scelto per sé e i suoi frati; è un annuncio carico di speranza e di fiducia, “lieta novella” della morte e risurrezione di Gesù, il Cristo, Verbo di Dio umiliato e risuscitato; è il vissuto di Francesco – della sua personale storia di conversione e d’incontro con il Signore – e delle fraternità a lui legate ancora oggi. La Regola, condivisione del Vangelo con i frati, non è semplicemente un progetto o una forma di vita pensata a tavolino, né un espediente letterario del momento o una suggestione dettata dall’emotività di un incontro. È qualcosa di concreto e di permanente che si sviluppa nella vita di tutti i giorni, attraverso l’esperienza di Cristo con i suoi discepoli e il raffronto tra la storia personale di Francesco e lo stile di vita dei suoi compagni. Francesco accoglie il Vangelo come dono, “buona novella”, quale evento gioioso che gli cambia la vita e la orienta a scelte nuove e decisive. La “novella lieta” è la gioia del Signore risorto. È la giocondità del sentirsi salvi. E la Regola è la felicità di ricevere una proposta di vita nuova e di poterla condividere con altre persone. Il terzo capitolo ci riporta alle Fonti del carisma con tre riflessioni provocatorie: Conquistare la perfetta letizia (di Chiara Frugoni, pp. 43-45); Il volto di Francesco che i frati diffusero nel mondo (di Elvio Lunghi, pp. 45-48); Nel segno della povertà: san Francesco e la Regola (di Giovanni Miccoli, pp. 49- 52). San Francesco sembra dirci, oggi, che l’amore non è mai triste. Così, la gioia della fatica quotidiana è, per il Poverello, il modo più bello ed efficace per testimoniare il Vangelo e vincere l’indolenza. Il Poverello ha sempre cercato, durante il corso della vita terrena, lo spirito del Signore e la sua santa operazione, affinché potesse discernere la volontà del Signore e stare lieto nel suo amore. L’opposto dell’ozio e delle sue nefaste conseguenze è la letizia che diviene l’espressione francescana della vita. Questa letizia è radicata nell’amore per il Signore. Nasce dall’esperienza di conversione e di riconciliazione. Francesco si è sentito amato dal Signore.
Da quell’istante si trovò ricolmo di gioia. È la felicità di chi è nella grazia di Dio, di chi vive unito a Cristo. Questa gioia Francesco l’ha manifestata in ogni situazione della sua vita: nella malattia, nella vita fraterna, nella fatica del lavoro quotidiano, dinanzi alla bellezza del creato, negli atteggiamenti d’ogni giorno, nell’esprimersi con libertà. È la letizia che trasforma tutto il suo essere ed esistere. È la gioia del cuore che nasce dalla presenza misericordiosa e benedicente del Signore. In fin dei conti, se ricerchiamo il motivo della felicità di Francesco, possiamo trovare una risposta solamente nel fatto che egli voleva compiere in tutto la volontà del Signore. Francesco è un uomo felice e sereno perché è così come lo vuole il Signore. Gioia e tristezza sono nel cuore di Francesco l’espressione più profonda della sua emotività portata da Dio fino al limite dell’umano. Il capitolo quarto considera L’attualità del carisma (pp. 53-66) e raccoglie esperienze, provocazioni e suggestioni abbastanza varie. Bella la testimonianza dell’attore Raul Bova che racconta il suo incontro con Francesco attraverso l’interpretazione scenica in un film dedicato al Poverello. Lo sguardo di un bambino costituì, per l’attore Raul Bova, la prospettiva migliore per interpretare il personaggio di san Francesco (cf. pp. 58-60). L’attualità del carisma francescano passa per i segni della storia, per la bellezza del creato, per i sentieri della giustizia e della pace, per la povertà, per la condivisione e la fratellanza. Su I rischi del carisma si sofferma il quinto capitolo: letture strumentali e devianti del carisma francescano non sono mancate nella storia del francescanesimo. Attualmente riguardano l’immagine del Poverello pacifista, ecologista, anticlericale, relativista. Scrive in proposito Francesco Giorgino, giornalista di Tg1, nonché docente all’Università La Sapienza e alla Lateranense, «La rivoluzione di Francesco passa attraverso il rispetto pieno dell’istituzione la quale asseconda il valore aggiunto della sua testimonianza di fede e della sua teologia» (p. 77).
Francesco resta un «contestatore obbediente che sta dentro quella chiesa che pure egli vorrebbe migliore» (ivi). Il capitolo sesto, forse quello a sfondo più intimista, raccoglie le preziose suggestioni di tre grandi artisti e interpreti: Ho saputo di lui (di Erri De Luca); I topi di Assisi (di Dacia Maraini); La leggenda della fonte tiepida (di Dario Fo). Raccontando di Francesco, Erri De Luca così si esprime: «Aveva un coraggio infiammabile e all’inizio impugnò armi. La gioventù ha attraversato spesso l’esperienza di battersi per vivere o morire. Le guerre, nemiche delle madri e delle spose, davano al genere maschile un tempo per conoscersi in battaglia, sapere di sé notizie certe di viltà o valore. Oggi non più, le guerre moderne fanno comode stragi di civili indifesi, più che di combattenti. Chi spara tra le case è più bandito che soldato. Conobbe prigionia ma non bastò a distoglierlo dai campi di battaglia, fu invece una febbre a sbalzarlo di sella dandogli una tutt’altra visione di se stesso. Chi ha imbracciato le armi può arrivare al gesto violento di ripudiarle, alla scelta solitaria del disarmo […]. Si ritirò in disparte, si fece muratore a riparare luoghi sacri dismessi» (p. 79). Il settimo capitolo considera Le sfide del carisma ed è affidato alla sapiente penna di padre Gianfranco Grieco. Il noto giornalista vaticanista, attualmente capo ufficio del personale presso il Pontificio Consiglio della Famiglia, così riflette: «È stato indubbiamente Giovanni Paolo II con le sue sei visite ad Assisi a porre la città di frate Francesco al centro della storia religiosa e politica del mondo contemporaneo. Assisi città della pace […]. Giustizia, pace, solidarietà, condivisione, comunione, sono i traguardi delle nuove frontiere socio-politiche degli stati. Di pacifici e non di pacifisti ha bisogno il mondo. È stato Francesco con il suo Cantico delle creature a elevare la sua lode a Dio per la bellezza del creato.
Nel suo nome, da una cinquantina d’anni a questa parte, anche le politiche degli stati e dei governi si sono legate al messaggio sempre verde di Francesco, per promuovere il rispetto che si deve alla “madre Terra”. La Terra è madre, non matrigna. Dio creatore ha affidato alla responsabilità degli uomini la vita dell’universo. Tutto deve concorrere al rispetto del creato […]. Tutto è bellezza, tutto è grazia, tutto è luce, tutto è splendore. Distruggere la bellezza del creato è come distruggere la bellezza di Dio, perché nel creato si rispecchia il volto di Dio creatore. Ecologia, ecologisti, politica ecologica: parole cariche di significato. Non si possono svuotare di contenuto» (pp. 87-89). Il capitolo ottavo accoglie le precise segnalazioni dello storico francescano Cristoforo Bove a proposito de I santi del carisma. La santità di Francesco e dei frati è la santità di coloro che vivono la vita minorum. Se quelle essenziali frasi evangeliche e quella poca materialità che costituivano il nucleo della prima Regola sono andate perdute nel tempo, la testimonianza di vita dei seguaci di Francesco hanno permesso di rivederle nel tempo mediante l’impegno missionario, i viaggi apostolici, il martirio, la pratica della vita ascetica. «I minoriti, in ogni secolo, rappresentano il respiro e la meraviglia del Signore tra gli uomini: la santità! Nel XX secolo si stagliano le loro testimonianze sotto i regimi totalitari della prima metà del secolo, i numerosi martiri in ogni angolo della terra, la prigionia, la persecuzione, la tortura, il silenzio » (pp. 91-92). Il nono capitolo è dedicato alla Celebrazione del carisma e, ospitando diverse firme, rilegge l’evento celebrativo del Capitolo delle Stuoie. I frati di tutto il mondo (circa duemila), per alcuni giorni, ad Assisi hanno vissuto la gioia della fraternità, del sapersi compagni di viaggio, fratelli di Francesco, il Poverello. I volti dei giovani frati, come quelli degli anziani, erano segnati dalla letizia, da quel fervore evangelico che non prende forza dall’entusiasmo della massa, del numero, bensì dalla condivisione di uno stesso ideale: Gesù Cristo.
Lo scambio di opinioni, di sguardi, in lingue e culture diverse, con abiti religiosi abbastanza differenti – segno di una storia francescana che è inscritta nelle pieghe della società e della tradizione ecclesiale dei secoli più differenti – ha permesso di considerare le ampie prospettive del carisma francescano. Si tratta di considerare non semplicemente “da dove” è partito Francesco (l’identità di un carisma), bensì “fin dove” è arrivato (le prospettive e la missione di un carisma per la Chiesa cattolica e per il mondo). Il capitolo decimo è intitolato Vivere il carisma e riprende le riflessioni dei diversi ministri generali francescani riguardo all’accoglienza, alla testimonianza, alla penitenza, la gratitudine. Sono brevi spunti preparati in occasione della celebrazione del Capitolo delle Stuoie. L’undicesimo capitolo, abbastanza articolato, riguarda Il dono del carisma e si apre con la relazione di padre Raniero Cantalamessa su Osserviamo la Regola che abbiamo promesso. Seguono gli interventi di John Corriveau (Il Signore mi diede dei fratelli), di Giacomo Bini (Il Signore vi mandò nel mondo intero), di Gianfranco Agostino Gardin (Sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati…), di Angela Emanuela Scandella (Il suo amore sino alla fine). Francesco cominciò a predicare la penitenza. Non appena si formò il primo gruppo di fratelli, egli, dopo aver parlato loro a lungo del regno di Dio e del disprezzo del mondo, del rinnegamento della volontà propria, del domino che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno, e li inviò per il mondo ad annunciare agli uomini la pace e la penitenza. Lo stesso Innocenzo III, all’atto dell’approvazione della Protoregola, nella primavera del 1210, incoraggiò i frati con molti consigli e li benedisse, dicendo loro di andare con Dio e di predicare a tutti la penitenza. I frutti degni di penitenza non hanno solo lo scopo di ottenere la remissione dei peccati, ma di tracciare un vero itinerario di conversione che porta il cuore e la mente del frate a Dio. Significa, poi, iniziare uno nuovo stile di vita che orienta in misura piena ed esistenziale, al regno di Dio. Francesco intraprende, insieme ai suoi frati, una nuova esistenza, ove il “fare penitenza” corrispondeva al percorrere “la via del bene”.
Importante, in quest’ultimo capitolo, il tema dell’obbedienza. Essere nell’obbedienza, per Francesco, equivale a ricevere la benedizione del Signore. Non si tratta tanto di “stare nell’obbedienza”, bensì di “obbedirsi reciprocamente”, cioè di scoprire quell’atteggiamento filiale e fraterno che è proprio d’ogni singolo battezzato. Francesco invita a correggere il fratello con dolcezza, ponendosi a suo servizio. “Obbedirsi reciprocamente” significa “sapersi ascoltare”, “sostenersi nella prova”, “riprendersi con affetto”, “provare stima reciproca”. Perché tutta la Regola trova compimento nell’amore per il fratello, così come la Legge riceve pienezza solamente nell’amore verso il prossimo. Francesco sembra ispirarsi al messaggio che l’apostolo Paolo rivolge ai Galati: questi non devono turbarsi, né dividersi, né agire secondo la carne, né tornare ad essere schiavi, ma neanche mordersi e divorarsi a vicenda, fino a distruggersi gli uni gli altri. “Obbedirsi vicendevolmente” costituisce un percorso formativo e missionario abbastanza intenso e complesso, impegnativo: perché richiede di agire-camminare secondo lo Spirito e di non seguire le bramosie della carne. L’obbedienza è, dunque, ascolto filiale e docile alla Parola di Dio attraverso le mediazioni umane.
L’obbedienza è un cammino di crescita e di libertà della persona perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità umana. L’obbedienza avviene attraverso le mediazioni umane che comunicano esteriormente la volontà di Dio per il progetto evangelico. Queste mediazioni restano imperfette anche se autorevoli e vincolanti (nel pieno rispetto della coscienza del singolo).
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
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