Libertà, ragione e corpo
(Fede e cultura) [Libro in brossura]EAN 9788825017298
Il volume raccoglie ventuno competenti interventi che hanno animato il Convegno su Libertà: ragione e corpo, che si è svolto nel maggio del 2005 a Santa Cesarea Terme (Lecce). Il Convegno, che è stato organizzato dal Centro di studi filosofici di Gallarate e dal dottorato di ricerca in Etica e Antropologia dell’Università di Lecce, aveva come scopo trattare una questione di sempre maggiore attualità negli autori che più possono contribuire al dibattito teoretico attuale. Come si nota nell’Introduzione, si trattava di un lavoro non semplice a causa dei molteplici indirizzi di ricerca che hanno contribuito al dibattito su una filosofia e un’antropologia della corporeità. Il corpo ha assunto una centralità che nulla toglie all’intrinseca spiritualità dell’essere umano, alla sua ragione e alla sua libertà. Esse si manifestano in uno stretto coinvolgimento con la corporeità, che è illuminata dalla specifica caratteristica di un essere che pensa e vuole ed è libero, anche se questa sua libertà, il suo pensare e il suo volere sono pur sempre condizionati dal suo essere insieme un essere spirituale e corporeo.
Infatti, la difficoltà di fotografare il corpo come una cosa o un semplice strumento ci ricorda che esso è soprattutto il corpo vissuto: una cosa è il corpo per la scienza e un’altra quello vissuto.
La fenomenologia ha insistito sul tema del corpo-vissuto e lo ha distinto da un corpo- oggetto. Se io sono il mio corpo, a farmi dire questo è la consapevolezza che ne ho e il fatto che il mio corpo per molti versi esprime anche la mia vita personale e spirituale. La corporeità umana è già ragione incarnata e la ragione umana non è mai totalmente separata dal corpo: il corpo non è un dato fermo, isolabile dalla mente e dalla ragione ai quali sempre rinvia in una prospettiva che pone in gioco la nostra autenticità e libertà. Questo ci aiuta a capire perché ciascun aspetto di noi stessi possa realizzarsi solo completandosi in modi nuovi con gli altri (p. 189): i confini tra il corpo che sono e il corpo che ho non si attraversano pienamente se non attraverso la libertà.
Una situazione emblematica è anche quando il corpo è dolorante, allorché si è nel dolore e si vive il proprio corpo nella sofferenza (pp. 191 e 194).
Il corpo non evita una «doppiezza costitutiva» che nasce dalla mai definitiva antitesi tra il corpo oggetto e il corpo vissuto, poiché la tematica del corpo vissuto supera, ma non esclude quella del corpo oggetto (p. 46). Se l’ambiguità in perenne movimento dice e disdice l’essere fisico e l’essere vitale e vissuto (p. 62), il fatto che il vissuto corporeo sia tanto vario deriva dalla nostra stessa individualità, la quale ne testimonia la ricchezza e il costante coinvolgimento nel mistero della vita. Come ha sostenuto Gabriel Marcel, l’essere umano è affetto dalla gioia e dal dolore. Esso è un io incarnato: «la connessione tra libertà-corpo e ragione non si rompe mai (finché siamo vivi), per quanto essi possano divaricarsi; e la connessione avviene a doppio senso: al movimento di incarnazione dei nostri progetti, desideri e valori fa riscontro, dal basso, il movimento di superamento o di sublimazione delle nostre prestazioni corporee» (p. 188).
C’è effettivamente difficoltà a comprendere il corpo, perché esso non può essere mai «alla lettera, comprensibile» (p. 53): se l’indivisibilità di certe sue parti è contestuale all’impossibilità di essere semplice oggetto anche del proprio sguardo (p. 55), è riconfermato il problema di essere cosa fisica e cosa viva, estensione e luogo di sensazioni.
Si può anche far riferimento al tema della trascendenza della carne ai fini di una teologia della corporeità umana. L’autorivelazione della vita è l’autoaffezione originaria che definisce l’essenza del vivere e la distinzione tra il corpo e la carne: il primo appartiene alla logica dell’apparire che è propria del mondo, mentre la carne indica l’aspetto affettivo della vita nel suo differenziarsi dall’esteriorità mondana. La carne vivente è «invisibile a un sapere che si intende come una ‘scienza d’oggetti’, la quale proprio come tale è destinata a mancare ciò che ne costituisce il carattere peculiare, ossia la libertà» (pp. 80-81). La colpa dell’uomo consiste nel negare la sua nascita dalla Vita assoluta e si lega all’illusione di avere il potere di darsi la vita da sé, nel non accettare la propria condizione filiale rispetto a Dio.
Una fenomenologia della vita può essere raccordata con la teologia cristiana: il presupposto di entrambe è quello di un pensiero che non è esclusivamente rivolto all’esteriorità mondana, ma a quella primigenia incarnazione che ci fa entrare nel dinamismo della Vita, senza il quale nessun esistente umano potrebbe essere tale. Come entra il corpo nelle più varie relazioni lo dicono i nostri sguardi, si «stampano» nei nostri gesti, nei nostri movimenti, nel tono della nostra voce che possono rivelarsi accoglienti, ma anche indifferenti od ostili (p. 198).
Il percorso di una libertà difficile, ma effettiva è la tensione verso una meta che è l’attuazione della persona. Infatti, la speranza cristiana è che la persona possa attuarsi nella realizzazione di una libertà, secondo ragione e verità, che trascenda il dolore e la morte, i quali non possono impedire il trionfo del bene. La speranza della persistenza del nostro essere oltre la morte è speranza che la «carne», vivificata dallo Spirito, sia riscattata dalle tante ferite esistenziali date e patite nel corso della vita: in questa ottica, la corporeità umana non è destinata a finire, ma a compiersi (p. 93, nota 17).
Siamo anche portati a riflettere sulla natura controversa dell’uomo dominata da motivazioni antagoniste.
Senso e ragione, natura e spirito, corpo e anima sono estremi che rinviano l’uno all’altro: possono essere considerati come eccedenti, poiché ognuno invade il campo dell’altro, o come insufficienti, poiché ciascuno può realizzarsi solo completandosi e integrandosi in modi nuovi con gli altri (p. 189).
L’anima è stata considerata forma inscindibilmente relazionata con il corpo, così che le sue molteplici funzioni sono ordinate a integrarsi secondo una progressione di complessità «alla cui sommità c’è l’uomo» (p. 101). D’altra parte, l’intelletto è posto in stretto rapporto con le affezioni del corpo, con le modificazioni e alterazioni che esse producono. Affezioni dell’anima, quali l’ira e la paura, la pietà o il coraggio, hanno un profondo legame con il corpo, ma, quando si producono, anche il corpo subisce una modificazione. Si ripropone così il nesso di pathos e logos nella loro influenza reciproca e si delinea il problema di come agire in modo giusto, di come intendere quella medietas che è il giusto mezzo equidistante dagli estremi.
Ancora a titolo d’esempio, risultano significative le pagine dedicate alla relazione tra corpo, parola e alterità, sicché l’uomo si scopre radicalmente incarnato e in relazione con gli altri. Può essere ricordato, come esempio valido per comprendere tante delle tematiche del volume, la vasta opera (non solo filosofica) di Edith Stein (p. 321). Husserl aveva affermato che il corpo vivo è sempre presente in ogni esperienza di oggetti spaziali ed è il punto zero degli orientamenti in cui si presentano le cose: mentre le cose sono sempre là, il corpo vivo è sempre qui, al centro del punto da cui si guarda il mondo. Secondo la Stein, allieva di Husserl, il legame del corpo fisico a un soggetto indica ancor più di un’inseparabilità «spaziale». La sensibilità, che è anche qualità dell’anima, dimostra l’unione tra corpo fisico e ambito psichico: la sensazione, pur se localizzata, non appartiene all’organo senziente considerato astrattamente, ma rinvia a un’ulteriorità, essendone la sfera di appartenenza propriamente quella psichica.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)