Sulle tracce del delitto di furtum. Genesi sviluppi vicende
EAN 9788824318402
1. – Come indicato dall’autore in una brevissima presentazione (pp. XI-XIII), il libro offre un contributo di approfondimento di taluni aspetti del delitto di furtum anche in vista di una valutazione di insieme del fenomeno, senza peraltro ripercorrerne l’intera vicenda evolutiva né presentare una stretta concatenazione dei temi considerati. Un I capitolo (pp. 1-160) è dedicato alla nozione arcaica di furtum individuata sulla base delle più antiche testimonianze, risalenti alle XII Tavole, della relativa disciplina normativa e con riferimento ai criteri di orientamento dottrinale che concernono le principali vicende evolutive di detta nozione, prospettando gli argomenti di una possibile rivisitazione critica del pensiero della dottrina in merito.
Rilevato che il dettato decemvirale, per quanto ne consti, non fa menzione della materialità della condotta integrante l’esistenza del delitto di furto, e soppesate le ragioni di chi, ciononostante, ritiene che nel sistema originario il segno furtum avesse avuto il significato di refurtiva (o furto-cosa) – più facilmente riscontrabile nelle espressioni furtum conceptum e furtum oblatum, ma anche in quella furtum manifestum – prima che non la condotta o atto di sottrazione, sono valutati in chiave di limitazione di una originaria indiscriminata vendetta del derubato i due casi decemvirali di limiti alla uccisione – previa endoploratio – del ladro fur diurnus che avesse usato un telum per difendersi dal derubato e del fur sorpreso a rubare di notte: entrambe tali fattispecie, di furto non solo notturno ma anche diurno, apparirebbero integrate indipendentemente da una amotio, e in fonti successive considerate come atti commessi da grassatores, latrones e praedones. Avverso la communis opinio secondo cui la disciplina decemvirale si rifarebbe ad una nozione di furto individuata nella sottrazione (amotio) di cosa mobile, o di soggetto a potestà, all’altrui sfera dispositiva, parrebbero provare in particolare le ipotesi decemvirali di fruges pavisse o secuisse, pascolo o taglio anche attuabili semplicemente tramite distruzione o danneggiamento delle culture in atto, e sussumibili nella nozione decemvirale di furto anziché costituire un’ipotesi speciale di danneggiamento doloso, eventualmente qualificato da carattere sacrale.
Più in generale è sottoposta a vaglio critico la concezione evolutiva, soprattutto sostenuta dall’Albanese, secondo cui da una nozione materialistica decemvirale di furto implicante l’asportazione di cosa mobile altrui si sarebbe passati in età postdecemvirale, già tra IV e inizio del III secolo a. C., ad un ampliamento della nozione stessa sino a ricomprendervi ogni atto doloso implicante per altri perdita o danno patrimoniale, salvo ritornarsi, a partire dalla lex Aquilia, nel diritto preclassico e classico, ad un rinnovato restringimento della nozione di furto: nell’ambito di questa, sin dalle XII Tavole, sembrerebbero viceversa all’autore rapportabili, sotto l’aspetto oltreché sociale anche giuridico, casi non di sottrazione, ma di mancata restituzione, come della cosa depositata, o di condotta antipatrimoniale in ordine a cosa già nella materiale disponibilità del reo, come alla cosa litigiosa dedicata in sacrum. Il carattere astratto della legis actio sacramenti in personam con cui si sarebbe fatta originariamente valere l’actio furti e la latitudine applicativa del duplione damnum decidere cui si sarebbe fatto ricorso in caso di furtum nec manifestum secondo una ricostruzione del dettato decemvirale in merito, plausibilmente ricalcato sulla previsone testimoniata da Festo per l’ipotesi di falsam vindictam tollere, sembrerebbero a loro volta funzionali alla repressione del furto non ristretta a condotte predeterminate di aggressione patrimoniale, ove il significato del termine damnum anche in fonti recenziori preclassiche e classiche parrebbe non essere circoscritto bensì tale da ricomprendere ipotesi di distruzione o danneggiamento di cosa, oltre che di sottrazione della stessa. Ancora da fonti recenziori, come da un brano del de officiis di Cicerone che afferma contra naturam il sia pur generico divieto di detrahere alteri aliquid, e dalla definizione paolina di furtum quale contrectatio (ove il termine, risalente al II secolo a. C., avrebbe portata ampia, comprensiva sia di amotio rei sia di adtrectatio, termine a sua volta usato già da Sabino a indicare ritardo nella restituzione di cosa altrui in propria detenzione o sua utilizzazione indebita e abusiva) la cui prohibitio è fatta risalire ad una lex naturae, apparirebbe recepito il fondamento originario di un divieto che difficilmente avrebbe potuto riguardare l’amotio in senso stretto.
Da ultimo nelle XII Tavole, mentre la conseguenza del furtum nec manifestum parrebbe consistere nel (duplione) damnum decidere, quella del pascolo o taglio notturno delle messi, o del furtum manifestum da parte dell’impubere, sarebbe stata qualificata come noxiam sarcire (o decernere) sicché i due termini damnum e noxia sembrerebbero interscambiabili come attestato in Festo (salvo l’uso di noxa anziché noxia a indicare in senso specifico la pena per un delitto): resterebbe da spiegare il versetto decemvirale che in sede di introduzione del regime della nossalità per l’actio furti distinguerebbe l’alternativa tra il furtum facere ed il noxiam(ve) nocere da parte del reus, ove tuttavia secondo l’autore il noxiam (o noxam) nocere sarebbe piuttosto usato, sulla scorta della testimonianza liviana circa un’antica formula pronunciata dal Feziale, per affermare la colpevolezza conseguente a pregiudizio arrecato da singolo fatto illecito in genere contestualmente enunciato.
2. – Nel II capitolo (pp. 161-268) l’autore si sofferma dapprima sulla individuazione casistica, condotta in base a testi giurisprudenziali preclassici e classici, di possibili e più significative interconnessioni e sovrapposizioni di furto con fattispecie simili di illecito, per poi passare a valutare quale appaia il bene o l’interesse tutelato dalla repressione del delitto di furto. Ancora dopo la lex Aquilia, in ipotesi di danneggiamento materiale, risultano interferenze sul piano oggettivo tra furtum e damnum iniuria datum, salvo richiedersi per la realizzazione del furto uno specifico elemento soggettivo o l’esistenza di particolari modalità soggettive dell’illecito. Né mancano ipotesi di furto, rivisitate dall’autore sulle orme dello Haymann, il cui elemento oggettivo è costituito, piuttosto che dalla sottrazione di cosa altrui, da attività fraudolente dirette a ingannare la vittima dell’illecito, sino a pervenirsi a individuarle nella mera accettazione consapevole di un pagamento indebito, non ritenuto tale da chi lo effettui. Per quanto concerne il rapporto tra ricettazione e furto, siffatta distinzione non sarebbe conosciuta già dalle XII Tavole, che prevedevano la pena nel triplo del valore della cosa ritrovata, per i casi di furtum conceptum come oblatum, sul presupposto in entrambi di una sorta di responsabilità oggettiva che prescinde dalla tenuta in proprio di comportamenti dolosi.
A sua volta la rapina, sino alla sua emersione, con l’emanazione dell’editto di Lucullo, quale autonomo delitto privato di furto violento sarebbe stata ricompresa nel concetto di furto, non ritenendosi col Behrends intervenuto quell’intervento pretorio a colmare una lacuna normativa dopo assunta la nozione giurisprudenziale del furto quale rem clam amovere, successivamente sostituita da quella più ampia di contrectatio, comprensiva del vi come del clam amovere. Da una prima analisi indiziaria di fonti e letteratura l’autore ricava quindi l’impressione che, ai fini della integrazione della fattispecie di furto come della legittimazione attiva all’actio furti, il bene tutelato non consista necessariamente nella proprietà o nel possesso o nella detenzione della cosa rubata ma anche solo nell’autonoma afferenza di questa ad un soggetto che pur non ne abbia la materiale disponibilità; né nell’interesse alla custodia del bene da parte del non proprietario. In particolare esamina i testi dai quali il furto, pur rimanendo unitario come fatto storico, appare suscettibile di dare luogo in via autonoma a duplice actio furti in vista di distinta lesione di interessi diversi alla utilizzazione della cosa da parte del non proprietario (possessore di buona fede o usufruttuario) e rispettivamente della conservazione del bene da parte del proprietario: il che non troverebbe smentita nella regola generale gaiana secondo cui la legittimazione attiva dell’actio furti spetta a chi, proprietario o meno della cosa rubata, ha interesse a che non gli venga sottratta.
Quanto al caso del proprietario comodante che sottrae al comodatario la cosa a lui data in comodato, sulla base di una discussa esegesi circa il rimaneggiamento subito da singoli testi in merito, l’autore ritiene classica la non spettanza avverso il comodante di actio furti salvo che in presenza di specifico interesse autonomo del comodatario, indipendentemente dalla sua responsabilità contrattuale per custodia, a trattenersi la cosa. Mentre la diversa funzione tra l’interesse a tenere una cosa pleno iure e un’interesse autonomo di mero fatto starebbe alla base della discussione giurisprudenziale testimoniata nelle fonti circa la spettanza di legittimazione attiva all’actio furti in ipotesi in cui un primo ladro sia a sua volta spossessato da un secondo.
3. – Sui quattro generea furtorum individuati da Servio Sulpicio e Masurio Sabino, di cui il furtum conceptum e quello oblatum secondo Gaio, sulla scia di Labeone, rappresenterebbero piuttosto, anziché due autonomi tipi di furto, due specie di azioni ricollegantisi a fattispecie non necessariamente consistite in effettiva commissione di furto, si sofferma l’autore nel III capitolo (pp. 269-295). Circa il concetto di flagranza del furtum manifestum, essa sarebbe costituita per tutto il diritto classico da una non controvertibile evidenza probatoria della sua commissione, senza ulteriori estensioni, pur attraverso varietà di concreti modi di procedere come tra Sabino, Giuliano e Gaio: il che, sempre secondo l’autore, troverebbe conferma anche in fonti letterarie, in specie in testi ciceroniani, mentre si presterebbero a critica le tesi secondo le quali il fondamento originario della flagranza consisterebbe nella immediatezza della esecuzione di vendetta da parte della vittima del furto, ovvero la sanzione del furto non manifesto non sarebbe stata alla fine praticamente differenziata da quella cui andrebbe soggetto il furto flagrante.
Da ultimo troverebbe conferma, contro varie critiche prospettatene in dottrina, il resoconto gaiano circa la coesistenza della previsione decemvirale di due distinte modalità di ricerca della refurtiva presso l’abitazione del sospettato di furto, l’una solenne cum lance et licio e l’altra svolta liberamente tramite testimoni, ove il ritrovamento che ne conseguisse nel primo caso darebbe luogo a responsabilità per furtum manifestum e nel secondo alla comminazione di una pena nel triplo a titolo di furtum conceptum.
4. – Da una ricerca su una nozione di furto sin qui condotta dal punto di vista della fattispecie non risolventesi più strettamente in una mera sottrazione dell’oggetto interessato dalla condotta, l’autore passa al IV capitolo (pp. 297-351) a considerare gli effetti giuridici che questa produce sulla res furtiva in ordine alla sua suscettibilità di essere usucapita. Vengono anzitutto vagliate le testimonianze testuali, specie delle Istituzioni gaiane, circa il ripetersi del principio di inusucapibilità nella lex Atinia de rebus subreptis, intorno alla metà del II secolo a. C., rispetto al precedente regime decemvirale, ammettendosi con la dottrina dominante la ripetizione del divieto, interpretato quale obiettivamente operativo a carico non solo del ladro bensì anche di possessore di buona fede della res, con l’aggiunta nella lex Atinia della purgazione del vizio a seguito di ritorno della refurtiva nella materiale disponibilità del derubato, interpretato come reversio in potestatem domini.
A quest’ultimo proposito l’autore perviene peraltro a superare l’incertezza delle fonti, oggetto di discussione in dottrina, col ritenere che in ipotesi identificata parlandosi in proposito di res quasi furtiva anziché furtiva e caratterizzata dall’essere la cosa rubata da un terzo al non dominus (creditore pignoratizio, comodatario, compratore di buona fede, comproprietario) nel frattempo pervenuta in potestà del dominus, ovvero rubata dal dominus al non dominus (ad esempio dal debitore pignorante al creditore pignoratizio) e dal primo distratta a un terzo, alcuni giuristi classici, nel presumibile intento di alleviare il rigoroso principio della legge, avrebbero sostenuto, ferma restando la responsabilità per furtum rei suae da parte del dominus, la usucapibilità della cosa da parte del terzo possessore di buona fede, essendo nel frattempo la cosa stessa rientrata in fatto nelle mani del suo proprietario. Infine l’autore considera testualmente indiscutibile, in ipotesi di specificazione di materia et substantia della cosa rubata, il carattere di res furtiva pure della nova species anche ai fini della lex Atinia, con relativa esperibilità da parte del derubato contro il ladro sia dell’actio furti che della condictio furtiva.
5. – A conclusione di un lavoro condotto con particolare riguardo alla figura di furto senza sottrazione (cd. furtum improprium nella terminologia degli interpreti) l’autore nel V capitolo (pp. 353-378) avanza l’ipotesi che il principio, attribuito ai veteres e ancora confermato da Sabino e rifiutato da Proculo, della spettanza della condictio (formulare) avverso chiunque trattenesse in generale ex iniusta causa cosa di proprietà altrui risalirebbe soltanto alla fine dell’età repubblicana in connessione al riconoscimento delle nuove causae confluenti nelle figure tipiche dei contratti reali, al quale avrebbe corrisposto il progressivo venir meno del ricorso nella prassi a mancipatio di res mancipi per prestiti d’uso o deposito, al fine di colmare vuoti nell’ordinamento producentisi in merito alla responsabilità da furto (improprio) da parte di chi pertanto non diventi proprietario della cosa. Inoltre l’autore ipotizza una correlazione tra il concetto di furto senza sottrazione e la sua applicazione originaria nel campo del fidem frangere in ambito di antichi negozi fiduciari ove ci si sarebbe avvalsi, per richiedere la restituzione dell’oggetto di quel tipo di furto alla legis actio sacramenti in personam oltre che a quella per condictionem; e richiama la derivazione secondo Sabino di furtum da fraus che si riferirebbe all’utilizzo sabiniano, in base a testimonianza di Gellio, di contrectatio a indicare il furto d’uso (in relazione al quale lo stesso Sabino avrebbe esteso l’elemento soggettivo alla mera supposizione colposa da parte del ladro circa il consenso del derubato), mentre la qualifica di fraudulosa come caratterizzante il furto in generale, attribuita a Sabino da Paolo, sarebbe viceversa propria soltanto di questo ultimo. Infine, ammessa la tesi minoritaria di applicazione, in base a testimonianza ciceroniana, della legis actio sacramenti in personam nei confronti di correo ope consilioque di furto (contro il quale non sarebbe stata presumibilmente applicabile, come certamente la condictio formulare, la legis actio per condictionem), l’esclusione del fur ope consilio (ove comparabile a questi il ladro in caso di furto improprio) dalla utilizzabilità della condictio e lo specifico ricorso in merito conservatosi alla legis actio sacramenti si sarebbero avute in concomitanza con la tendenziale impossibilità risalente ai veteres di condicere cosa propria. Il libro si chiude con l’indice delle fonti citate (pp. 379-387).
6. – Ho cercato di individuare, in una esposizione a grandi linee, il pensiero dell’autore, facendo maggiore attenzione agli elementi di originalità rispetto alla precedente multiforme dottrina, non senza incontrare difficoltà nell’intravvedere connessioni tra i diversi angoli visuali da cui egli si pone e nel mettere a fuoco su singoli temi il suo complesso ragionare che non mi è peraltro riuscito possibile seguire nei dettagli. Si tratta invero di un insieme di ricerche apprezzabili per la ampia conoscenza della letteratura romanistica a partire da quella più antica che viene dall’autore encomiabilmente citata con esaustività all’inizio, nonché per il suo fitto dialogare critico a vario proposito con il pensiero altrui specie più recente: le quali tuttavia, per mancanza di organicità e per una qualche incertezza nel prendere posizioni chiare su singoli temi anche marginali spesso affrontati in lunghe note al testo, non si prestano ad essere unitariamente riassunte in forma sintetica. Non può comunque disconoscersi, al di là della valutazione dei risultati cui egli perviene in via di ipotesi, che esse non mancheranno di costituire, per la ricchezza di informazione e l’apporto di pensiero su ogni questione affrontata, materiale prezioso per chi volesse ulteriormente approfondire la storia del diritto privato di furtum, a partire dalle origini, nel suo variegato prospettarsi in ordine alla determinazione delle fattispecie ed alla loro rilevanza giuridica in funzione dell’interesse leso.
Tratto dalla rivista "Studia et Documenta" n. 1/2010
(http://e-lup.com)