Il centenario della nascita di Sciacca
(Biblioteca di studi su Sciacca)EAN 9788822259325
L’opera del professor Ottonello è la raccolta ordinata degli interventi che lo stesso ha tenuto come discorsi inaugurali dei numerosi eventi culturali, organizzati tra il dicembre del 2007 e il settembre del 2008, in occasione del primo centenario della nascita di Michele Federico Sciacca (Giarre 1908 - Genova 1975). In questo volume l’autore presenta tanto la figura e il pensiero di Sciacca quanto le molteplici forme di ricerca che sono sorte sul suo lavoro speculativo in Italia e all’estero (in Europa e in modo particolare in America latina), volute dal filosofo siciliano e, successivamente alla sua morte, continuate o iniziate dai suoi allievi, fra i quali vanno annoverati Maria Adelaide Raschini e appunto Pier Paolo Ottonello.
Nel seguire con la lettura la scansione dei ventidue capitoli che compongono questo studio, si può giungere ad una conoscenza essenziale di Sciacca, al punto che risulta doveroso affermare che uno dei meriti di questo studio è proprio quello di favorire, e sotto alcuni aspetti di far conseguire, una certa dimestichezza con il pensiero di questo illustre filosofo italiano del Novecento, anche da parte di un lettore poco esperto in materia. Ma non solo, tale lavoro si presenta di alto valore storiografico in quanto fornisce, con meticolosa precisione, informazioni circa le collane e le riviste fondate e dirette da Sciacca e dai suoi allievi ed elenca le numerose pubblicazioni e iniziative culturali dedicate a Sciacca in Italia e all’estero, proponendosi in questo modo quale utile e pratica guida per i ricercatori.
Così, oltre ad essere una forma di testimonianza delle attività promosse per il centenario della nascita di Sciacca, questo studio del professor Ottonello risulta essere un agile sussidio allo studio al pari delle voci delle più autorevoli enciclopedie filosofiche. L’opera corre lungo il tempo e dalle origini familiari di Sciacca sono descritti gli anni di formazione con Aliotta a Napoli, i traguardi nell’ambito della carriera universitaria, il personale percorso di maturazione scientifica e le numerose attività accademiche ed iniziative di ricerca. Gli eventi sono presentati in termini narrativi in quanto sono illustrati da Ottonello ricchi di particolari inediti, stile tipico di un autore che ben conosce, spesso in modo esclusivo, gli eventi narrati: ciò ben si comprende per via del fatto che Ottonello, scolaro di Sciacca, è stato il testimone diretto di molti eventi riguardanti la vita del filosofo siciliano.
Nell’opera sono passate in rassegna le attività suscitate dall’interesse che ha sempre accompagnato l’intensa attività speculativa di Sciacca, sia prima che dopo la sua morte, come espressione dell’eredità intellettuale lasciata dal filosofo siciliano. È sottolineata l’importanza che ha avuto per Sciacca, ai fini della sua formazione e maturazione, il suo personale incontro con Giovanni Gentile nel 1933: l’influenza che questi ha saputo esercitare sul giovane filosofo, indirizzandolo alla conoscenza del pensiero di Rosmini e sollecitandolo all’approfondimento della struttura teoretica dell’attualismo, suscitando in Sciacca, a dispetto delle intenzioni dello stesso Gentile, un’esigenza sempre più imperiosa di radicale superamento del neoidealismo.
Tale rottura è emersa immediatamente, già nel 1934, attraverso la pubblicazione del noto articolo “La crisi dell’idealismo”, per poi proseguire nei successivi lavori. Questo distacco trova la sua giustificazione dallo studio dello stesso Rosmini e dalle ulteriori ricerche intraprese da Sciacca sulla storia della filosofia antica e medioevale. Oggi è possibile ricostruire l’intenso e proficuo dialogo fra Sciacca e Gentile grazie alla pubblicazione delle missive che i due filosofi si sono scambiati in quegli anni, le quali sono state raccolte da Pier Paolo Ottonello nel volume Carteggio Sciacca-Gentile, nel 2005.
Gli anni ’40 per Sciacca sono segnati dalla conoscenza di Agostino, Pascal e Vico che integrano e completano quella relativa a Platone e Rosmini venuta prima; in questa decade, oltre ad aver vinto la cattedra di filosofia teoretica nel ’46, Sciacca dà alle stampe importanti opere critiche sulla filosofia italiana della prima metà del Novecento, quali: Il secolo XX (due volumi) del 1942, Il problema di Dio e della religione nella filosofia attuale del 1944, La filosofia, oggi del 1945, e La Chiesa e la civiltà moderna del 1948. Sempre in questo periodo sono avviate iniziative culturali di grande spessore, come la fondazione del Centro di Studi Filosofici di Gallarate, nel 1945, e del bimestrale internazione “Giornale di Metafisica”, nel 1946, oltre a diverse collane filosofiche. Già dai primi anni ’50 si può sostenere che sono «ormai poste le basi della sua posizione teoretica, che [Sciacca] denomina “filosofia dell’integralità”, le cui fondamenta [egli le] sintetizza nell’idealismo metafisico de L’interiorità oggettiva» (p. 6).
Ancora, mediante l’opera L’ora di Cristo del 1954, Sciacca dimostra che il «suo impegno di filosofo cattolico matura in robustezza e rigore razionale e in ampiezza di raggio. Laico coerentissimo, vi denuncia i disastrosi laicismi contemporanei, diagnosticando con lucida parresia la crisi dell’Occidente come basilarmente crisi della cristianità» (ibidem). Lo spirito critico e desideroso di una ricerca sincera e autentica della verità è la causa del “fascino” che suscita da sempre la figura di Sciacca, il cui pensiero è espressione di tale spirito al punto da lasciar emergere l’evoluzione della sua personale maturazione.
Senza alcuna ombra di dubbio, la maggiore eredità che Sciacca ci ha lasciato è il coraggio della riflessione svolta coniugando i verbi in “prima persona”, il che equivale a riconoscere il valore dell’audacia dimostrata da un filosofo che esprime e mostra il risultato delle proprie riflessioni e interpretazioni, eludendo che queste possano essere il frutto di influenze o di pressioni di ogni genere. Ottonello al riguardo riporta le parole dello stesso filosofo siciliano il quale, nella sua autobiografia intellettuale La clessidra, scrive di aver sempre evitato «di appoggiarsi a questa o quella “personalità”, istituzione, consorteria, di appartenere a partiti, sette segrete o pubbliche, conventicole, associazioni non puramente culturali, [da “laico”] che non ha militato in nessuna associazione laicista».
Questa posizione personale non deve passare inosservata, al contrario va riconosciuta quale elemento in grado di qualificare e distinguere un semplice studioso – anche se da stimarsi come ottimo studioso – e un filosofo, il quale sempre, dallo studio della sua scienza, giunge alla conoscenza del mondo socio-culturale a lui contemporaneo riuscendo a percepirne nel presente le aspettative future. L’itinerario personale di Sciacca annovera diverse fasi che si richiamano fra loro mostrandosi in una successione integrativa ai fini dell’elaborazione di un pensiero rivolto verso la conoscenza metafisica della persona, attuata dalla e nella relazione con la trascendenza di Dio e dai rapporti morali interpersonali.
Questa nostra “estrema” sintesi della ricerca di Sciacca è in qualche modo confermata anche da Ottonello il quale, in riferimento al contenuto dell’opera L’uomo, questo “squilibrato” del 1956, scrive: «La metafisica della persona si arricchisce determinandone il dinamismo essenziale, radicato nell’inadeguatezza di sé a sé, che genera inquietudine e inappagamento e ne svela la vocazione e tensione all’essere, come essere finito all’Essere assoluto, la cui concretezza esistenziale di spirito incarnato tende alla coerenza dell’“equilibro” fra prospettiva orizzontale e prospettiva verticale e dell’integrazione compiuta di “intelligenza morale” e di “ragione etica” per conseguire la propria “normalità” ontologica ed esistenziale, che peraltro da sé soli non si può compiere perfettamente, in quanto la sua perfezione non è senza la grazia soprannaturale» (p. 27).
Sappiamo che da giovane Sciacca subisce il “fascino” del nichilismo nietzschiano e dannunziano ma riesce, con ammirevole maturità intellettuale, a trarre del positivo dalla loro comune esortazione alla conquista di una libertà liberata da Dio e dalla tradizione, traendo da questo marasma teoretico il tema centrale delle sue future ricerche, ovvero l’uomo e la questione circa la coerenza fra le sue attività e l’integralità della sua persona. Non solo, anche dalla frequentazione di Gentile egli sa cogliere ciò che di buono gli studi neoidealistici sono in grado di suggerirgli in riferimento alla nozione di interiorità e persino di trascendenza. In questo modo, come lo stesso Sciacca scrive ne La clessidra: «[L’idealismo di Gentile] a forza di predicarci il concetto dell’interiorità […] ci ha indotto a scavare in essa, al punto di accorgerci che un’interiorità che si esaurisce in se stessa […] non può risolvere proprio il problema dell’interiorità stessa […].
Se il problema dell’interiorità nasce dalla critica e dall’inappagamento del mondo dell’esperienza, l’interiorità stessa non può contentarsi di quest’ultimo; rimanda inevitabilmente ad un’Interiorità superiore […] a Dio». Nonostante il percorso teoretico di Sciacca abbia come punto di partenza l’interiorità del soggetto e non il rapporto intenzionale del soggetto verso l’oggetto, il quale consta anche (ma non solo) di una differenza e distinzione empirica fra soggetto e oggetto, come ad esempio fra soggetto e mondo, e pertanto si riscontri in Sciacca un’influenza immanentistica sul piano gnoseologico, la sua concezione della metafisica ha un carattere classico. Egli, infatti, indicando la persona quale argomento della ricerca metafisica, fa progredire l’indagine muovendosi dall’interiorità del soggetto e dai suoi contenuti alla loro causa che “trascende” lo stato di immanenza dell’interiorità.
L’ordine e le relazioni indirizzano la persona al riconoscimento di sé quale finito e dell’Essere assoluto personale come infinito. Come sottolinea Ottonello, per Sciacca «la filosofia consiste anzitutto nel porre in luce dispiegata l’evidenza della oggettiva dignità metafisica della persona, che è piena in quanto consapevolezza dell’essere creata, ossia donata, senza la quale niente essa potrebbe donare, né potrebbe donare se stessa. La coerenza della filosofia evidenza dunque, fra l’altro, l’insensatezza di ogni forma di scetticismo e di ateismo» (p. 34). In definitiva, Sciacca afferma che il fine ultimo della persona trascende la natura e la storia, ovvero non si esaurisce in uno stato di immanenza, ma si realizza nella relazione con il Dio che trascende e innalza l’interiorità della persona.
Lo stesso Sciacca spiega, nell’opera Filosofia e metafisica (redatta fra il 1946 e il 1949), la sua concezione di “idealismo trascendentista”, o “idealismo oggettivo”, in cui consiste la sua negazione di voler partire dall’immanenza per giungere alla trascendenza, precisando, invece, che egli intende passare sempre dalla trascendenza alla Trascendenza, in quanto «dalla presenza in noi di qualcosa che orienta ed oltrepassa alla Trascendenza in sé: da Dio come è presente alla nostra mente a Dio in sé nella sua Realtà assoluta e nel suo Mistero impenetrabile; [per cui è necessario] riscattare problemi, esigenze e principi dalla illusoria soluzione immanentistica per farli rivivere nella verità dell’Idealismo trascendentista, fatto più ricco, maturo e critico dall’esperienza speculativa che va dal Cogito di Cartesio alle posizioni più recenti della filosofia contemporanea.
Si tratta, in breve, d’inserire l’idealismo tradizionale di ispirazione platonico-agostiniana nel vivo della problematica moderna non per adattarlo ad essa […] ma quale elemento risolutivo della sua dissoluzione e soddisfacente le sue esigenze critiche […]. La “metafisica della verità”, propria dell’Idealismo oggettivo, risolve in sé le due opposte metafisiche “dell’essere” e “del pensiero”, conservando al pensiero e all’essere tutta la loro validità e positività; [sicché] la trattazione più teoretica e critica impone, nella sua razionalità autentica e concreta, la verità insopprimibile della metafisica e della trascendenza, […] la fondazione di una metafisica teistica, la sola vera e perciò la sola autenticamente razionale e critica».
Il necessario riconoscimento di insufficienza, da parte della persona, riguardo alla giustificazione del proprio essere, implica, nella riflessione autocoscienziale, il rimando all’origine dell’esistenza, rintracciabile unicamente nell’Essere assoluto personale che trascende l’interiorità del singolo, ma che è pienamente intuito a partire dall’interiorità stessa del singolo. Tale presupposto teoretico permette a Sciacca di prendere le distanze da un idealismo che “assorbe” e “disperde” la singola persona in un anonimo Spirito Assoluto, pur mantenendo l’interiorità quale luogo di individuazione delle realtà trascendenti, in pieno stile moderno.
Pertanto l’essere intuito con l’intelligenza, come spiega Sciacca, è un’idea della verità ontologica che la ragione coglie quale elemento fondativo della stessa riflessione filosofica. A differenza di una posizione realistica, che nella relazionalità intenzionale intuisce l’atto d’essere delle res non come un’idea, bensì quale presupposto di unità concreta dell’esistenza e dell’essenza della singola res e su tale base gnoseologica e teoretica si confronta con la creazione quale valida giustificazione della realtà, Sciacca pone la notizia della creazione come fonte costitutiva della “metafisica dell’esperienza interiore” e suo anello di congiunzione con la cosmologicità della metafisica classica, per il compimento storico e teoretico della metafisica.
Con grande perspicacia Ottonello mette a fuoco la proposta teoretica di Sciacca, che è un invito alla ricerca filosofica dell’integralità, che può essere interpretata anche quale richiamo ad una dialettica sull’intero dell’esperienza, in piena antitesi con quella che può essere invece chiamata dialettica della parte, nella quale più facilmente si identifica l’indagine dell’epoca moderna. Infatti, come ben riassume Ottonello, secondo Sciacca «il peccato mortale del mondo moderno è in questo senso la parzialità, ovvero il riduzionismo: la sua illusione tragica consiste nel voler salvare l’uomo attribuendogli una libertà assoluta che metafisicamente non gli compete, ma in realtà riducendolo assolutamente a natura, ad una parte dunque, perdendone l’intero, unità di natura e spirito.
Ma, quale che sia tale parte e per quanto grande essa sia – si chiami tanto natura quanto spirito, tanto pensiero quanto corporeità, tanto individualità quanto socialità, tanto creatività quanto bisogno –, su di una parte non si può costruire» (p. 91). Ed è proprio questo sguardo o richiamo all’integralità l’eredità più florida che Sciacca poteva lasciarci.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2011
(http://www.pul.it)
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