Né laico, né cattolico
-Severino, la Chiesa, la filosofia
(Strumenti/Scenari)EAN 9788822053893
Il libro di Leonardo Messinese, docente di storia della filosofia alla Pontificia Università Lateranense di Roma, presenta una guida per “capire” il pensiero estremamente complesso di Emanuele Severino, indagato nel contesto del panorama filosofico contemporaneo e dei suoi rapporti con il cristianesimo e la chiesa cattolica. Il saggio si inserisce nell’interessante collana «Strumenti/Scenari».
Tratto dalla rivista Concilium n. 3/2013
(http://www.queriniana.it/rivista/concilium/991)
Non è la prima volta che Leonardo Messinese affronta il pensiero di Emanuele Severino. Se n’è infatti già occupato in diversi saggi e articoli, ma soprattutto nei suoi due precedenti libri dedicati al filosofo bresciano: L’apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla struttura originaria del sapere (Mimesis, Milano 2008) e Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele Severino (ETS, Pisa 2010).
Questo ulteriore volume, apparso nella collana Strumenti/Scenari diretta da Pietro Barcellona, esplicita però nel sottotitolo una declinazione che, pur presente inevitabilmente anche sullo sfondo degli altri lavori, qui è tematizzata specificamente, e traduce il senso del titolo prescelto, Né laico né cattolico. Si tratta di una puntuale ricostruzione della genesi e degli sviluppi del pensiero di Severino alla luce del suo non facile rapporto sia con la chiesa cattolica o, direi meglio, con la matrice teologica cattolica che lo ha comunque cosí profondamente segnato, sia ancora con un mondo impropriamente detto «laico» ma in effetti semplicemente ateo e nichilista, ed è concepito come un’introduzione «a una comprensione dei fondamenti della filosofia severiniana e delle conseguenze piú rilevanti sul piano teoretico e su quello pratico» (p. 9).
In dieci capitoli, esenti per quanto possibile da tecnicismi, l’A. ci guida in quello che si può considerare il «laboratorio» del pensiero di Severino, a partire da una rassegna sistematica della sua lunga produzione specialistica e divulgativa: Vita e opere di un filosofo (pp. 13-44). Il secondo capitolo, intitolato Un pensiero all’insegna dell’eterno (pp. 45-51), il quarto La ricerca giovanile della metafisica invincibile (pp. 65-75), e il quinto La clamorosa «svolta» del ritorno a Parmenide e l’inizio di un nuovo cammino (pp. 77-85) sono dedicati alla precisa ricostruzione dell’ontologia severiniana, la quale, da una posizione sostanzialmente coerente con la «prospettiva della metafisica classica in armonia con la fede cristiana» (p. 78), perviene, con il saggio Ritornare a Parmenide del 1964, alla tesi della «immutabilità di ogni ente».
Qui, sebbene si parli ancora di Dio, Severino mette però in discussione esplicitamente il concetto di creazione «introdotto dalla metafisica dei padri della chiesa» (p. 79) e, riferendosi a Dio come «l’essere nella sua immutabile pienezza», di fatto ne rinnega lo specifico carattere personale sostenuto dalla tradizione cristiana (e non solo). Per il filosofo bresciano, la metafisica classica, a partire da Platone, è ormai irrimediabilmente segnata da una sorta di «peccato originale» che ne ha condizionato il suo esito nichilistico, quello di aver concepito ogni «cosa» come «ciò che è unito all’essere e al non-essere», sicché il mondo non sarebbe altro che l’insieme delle cose «che vengono dal nulla di sé e tornano nel nulla di sé» (p. 81), o meglio «l’orizzonte nichilistico all’interno del quale ogni cosa della terra viene a mostrarsi» (p. 82).
Ma se l’evidenza originaria del divenire delle cose si risolve nell’uscire e ritornare al nulla, allora, diagnostica Severino, la cultura occidentale non può che «negare ogni immutabile che precontenga e determini i risultati dell’incremento del mondo e dei progetti umani che lo promuovono» (p. 82), un esito appunto nichilistico, volto a negare l’esistenza di qualsiasi eterno. Per questo motivo, anche la metafisica cristiana, a suo avviso, è avvolta in una contraddizione insanabile, mentre l’esito piú rigoroso di simile pensiero è rappresentato dalla tecnica che è scaturita dalla scienza fondata su tale presupposto ontologico (a questo proposito si vedrà in particolare: Techné. Le radici della violenza, Milano 1979 nonché lo stesso cap. 8 alle pp. 123-132 del volume di cui ci stiamo occupando). Le implicazioni di tale concezione sono ben delineate in Essenza del nichilismo (1972) e, ancor piú, in Destino della necessità (1980) ove la distanza con l’ontologia tradizionale, quindi anche con le tesi teologiche su quella fondate e i suoi importanti risvolti etici, divengono senz’altro irriconciliabili.
Nel terzo capitolo, intitolato Una discussione lunga quanto la storia della filosofia (pp. 53-64), l’A. documenta il serrato confronto di Severino con la tradizione filosofica occidentale sia alle prese col pensiero antico e medievale, sia ancora con quello moderno e contemporaneo in cui i nomi di Heidegger e Hegel vengono accostati a quelli di Nietzsche, ma anche Leopardi. I restanti cinque capitoli sono dedicati a un’utile messa a fuoco dei maggiori nuclei problematici e delle implicazioni della teoresi severiniana piú recente. Innanzitutto viene ricordata la persistente e profonda interrogazione radicale sul senso della vita e della morte (pp. 87-108).
Secondo Severino, se si tiene ferma la verità dell’essere nella sua struttura originaria, ossia dell’eternità di ogni ente, è ovvio che la morte non consiste in un «annullamento dell’uomo» o in una «distruzione del mortale», neppure quando si sia convinti dell’immortalità dell’anima, bensí in un «assentarsi dell’apparire» (p. 104), sicché, a rigore, sarebbe proprio questa vita, la vita del mortale, a meritare di essere chiamata «morte». Il rapporto tra la vita e la morte «appare cosí rovesciato» (p. 106) e anzi, in una delle sue ultime opere (La morte e la terra, Milano 2011), il filosofo bresciano ci consegna alcuni elementi decisivi per comprendere l’elaborazione della sua escatologia: con la morte, tramonta invero quella che è una condizione di isolamento dell’uomo dalla verità.
Il linguaggio non sa ancora esprimere questa condizione, ma a rigore, ciò che muore, sarebbe «la volontà – che è poi per Severino una semplice fede – di far diventare altro le cose, di trasformare il mondo» (p. 107). Solo cosí per l’uomo, che è comunque destinato a una vita beata, si dischiude il compimento della vita e, accostandosi alla morte, si avvicinerebbe a una condizione che il filosofo chiama «gioia» (p. 108). Da qui è chiaro Il confronto sempre vivo col cristianesimo (pp. 109-121), in cui Severino, sottraendo questa possibilità escatologica alle mani – ossia alla volontà – dell’uomo, ma anche del Dio inteso in senso cristiano, finisce per arrendersi, o piuttosto «abbandonarsi», a un impersonale «destino della necessità» (p. 111) in cui risiederebbe il pieno significato dell’eternità di ogni cosa. Parafrasando allora lo stesso Nietzsche, Messinese ci spiega che, per Severino, la verità dell’essere conduce certamente «oltre l’uomo inteso come una volontà e una potenza di produrre e modificare la realtà», ma anche «oltre Dio, inteso come la potenza che, meglio dell’uomo, disporrebbe dell’essere degli enti» (p. 111).
Ecco allora come «la fede nel divenire», avrebbe portato la metafisica occidentale dritta alla sua fine e, la scienza, che ne esprime il contenuto piú rigoroso, ne avrebbe preso il ruolo e rigorizzato la forma: «La soluzione definitiva del “contrasto” aperto dal sapere metafisico, che ha posto contraddittoriamente l’immutabile e il divenire, il caso e la necessità, accade perciò con il riconoscimento del carattere “ipotetico” della conoscenza scientifica» (p. 129). La scienza contemporanea sarebbe dunque figlia legittima della metafisica greco-cristiana la quale, solo con l’attualismo di Giovanni Gentile, sarebbe giunta alla sua piú coerente formulazione e, lungi dal porsi in alternativa a essa, rappresenterebbe invece «l’autoconsapevolezza stessa della scienza e della tecnica del nostro tempo» (p. 130). Il problema della negazione degli immutabili però, come già si accennava, non riguarda solo il Dio cristiano, bensí «ogni altro immutabile che voglia candidarsi a prendere il posto degli immutabili evocati dalla metafisica sia antica che moderna» (p. 134) come ad esempio la riflessione etica, l’ideologia, la psicanalisi, ecc. È questo il contenuto del nono capitolo (pp. 133-141) intitolato Il nichilismo contemporaneo in cui si prospetta la risoluzione della metafisica e dell’etica nella tecnica intesa quale «forma piú radicale in cui si presenta il divenire» (p. 137).
Questo destino però, non costituisce evidentemente la verità ultima delle cose, ne è piuttosto la sua negazione, e infatti, il «paradiso» a cui sembrano guidarci la scienza e la tecnica, si rivela completamente illusorio, carico com’è di angosce e sofferenze, ma soprattutto privo di una prospettiva escatologica. Ecco allora che un’ipotetica «filosofia futura» dovrebbe interrogare le forme della cultura occidentale preparando «il tramonto del nichilismo dell’Occidente» (p. 150): a questo tema è dedicato il decimo e ultimo capitolo del volume. In esso Messinese ci accompagna fino alla soglia dell’ultimo pensiero di Severino, il quale, intento appunto a formalizzare in termini distinti da quelli della teologia cattolica tradizionale il tema escatologico, ci invita a riconoscere che «il tramonto dell’essere mortale dell’uomo consiste in quella vera vita che è oltre ciò che nella terra isolata dalla verità è chiamata “questa nostra vita”» (p. 150).
Dobbiamo essere grati a Messinese per questo ulteriore saggio di divulgazione e comprensione del pensiero di Severino perché solo in tale esercizio di rigorizzazione il filosofo può, da un lato, pienamente rispettare il suo interlocutore e, dall’altro, confrontarsi con lui «ad armi pari» senza tema di evidenziarne il valore o la debolezza degli argomenti. È chiaro che dietro questo confronto, e al di là di questo libro, vi è, da parte dell’A., una volontà di risalire a quei nodi del pensiero che hanno contrapposto, anche all’interno del mondo cattolico, concezioni metafisiche simili ma incompatibili su troppi punti, come bene ha recentemente osservato Luca Grion nel suo saggio La critica di Cornelio Fabro a Emanuele Severino (e alle sue «radici milanesi») apparso in Verità e libertà. Saggi sul pensiero di Cornelio Fabro, a cura di Gabriele De Anna, ESI, Napoli 2012. Il caso di Severino è importante, non tanto perchè sembra sostenere alcune tesi che si oppongono alla nostra esperienza ordinaria del reale e alla sua intelligibilità – cosa che del resto ritroviamo spesso anche nella scienza – quanto piuttosto per il rigore col quale egli abbia tentato di dare voce a quella che ha creduto fosse la corretta semantizzazione dell’essere.
Questo «esperimento», se cosí vogliamo chiamarlo, non produce certo, come ha sottolineato Peter van Inwagen, «fatti filosofici» o «risultati incontrovertibili», bensí induce, anche il credente, a confrontarsi nel modo piú autentico e sincero con le domande che riguardano «la verità ultima circa il mondo, ossia la verità del tutto» (Van Inwagen, Metafisica, Cantagalli, Siena 2011, p. 7).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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