La Chiesa e le sue chiese. Teologia e architettura
(L'abside)EAN 9788821561443
La diversa competenza di teologi e architetti si è intrecciata solo raramente, mentre la presenza degli edifici di culto ecclesiali è una delle manifestazioni più imponenti della presenza della Chiesa nella storia. Oggi tuttavia, anche nei paesi che vantavano una tradizione culturale in materia, tutto è messo in discussione sia dall’avvento della modernità e della secolarizzazione sia dalla frattura che il Novecento ha determinato in tutte le arti. A partire da queste considerazioni il noto teologo, che si è sempre dedicato a temi ecclesiologici e nell’ultimo decennio ha sviluppato un tema di ricerca specifico nell’ambito architettonico, offre una riflessione teologica sul senso della costruzione di chiese perché l’opera «parli all’uomo di oggi, al credente e al non credente, e dica con il vocabolario delle forme, della bellezza e delle emozioni che cosa la comunità cristiana è, che cosa intende essere e che cosa desidera rappresentare per la società in cui vive».
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 12
(http://www.ilregno.it)
Ci sono dei teologi che continuano a parlare e a scrivere quasi pensando di dare origine a monumenti di pensiero mentre c’è qualcuno (qualcuno) che invece comincia a verificare se quel che pensa è una visibilità che lo precede, non una tradizione di pensiero pensato, ma monumenti di pensieri dipinti, costruiti, comunicati… Questo libro di Dianich si apre con una confessione (rara per molti teologi): «Al di là delle parole ci sono fatti, eloquentemente parlanti, nei quali il messaggio evangelico viene pronunciato senza bisogno di essere detto. Su questa linea stanno quei singolari atti linguistici che consistono nel progettare, costruire, abitare». È una grande conquista per teologi del calibro di Dianich. Anche perché spesso nelle accademie di teologie si insegna a pensare e non a vedere che cosa il pensiero ha generato e come si è fatto visibile nella vita della Chiesa. È proprio quel plurale “chiese” che lo rivela perché non è una frantumazione dell’unità della Chiesa ma la casa di chi fa abitare la Chiesa di Dio in ogni geografia della storia. L’architettura di queste chiese per esempio non solo realizza un pensiero teologico ma lo libera da quell’autoreferenzialità garantita e autolegittimata del parlare sul parlare. In qualche modo “profana” il pensiero teologico e lo lascia fuori dal tempio di se stesso per invitarlo ad abitare lì dove il logos di/su Dio è presenza, il Logos è celebrato: la Chiesa nella sua liturgia.
Le esperienze diverse (dal solo fare il teologo in ambienti protetti) a contatto con architetti e studenti/professionisti durante Master in teologia per architetti di chiese, che Dianich ha vissuto con tanta disponibilità in questi ultimi anni, «hanno sollecitato in maniera molto impegnativa la sua riflessione» e gli permettono di acquisire a buon diritto la facoltà di scrivere queste pagine. Imparando che «la teologia non può che trarre grande giovamento dalla riflessione sulle chiese, perché non è possibile che l’immensa mole di edifici, nella sua incredibile varietà e ricchezza di forme, non abbia nulla da dire a proposito della complessiva esperienza della fede». Non è una grande invenzione, ma è una rilevante scoperta. Perciò è apprezzabile quanto subito, nella Prefazione, scrive: «L’intento di questo libro, probabilmente è troppo ambizioso: coinvolgere teologie architetti, portato di due competenze che solo dirado si sono intrecciate, in una riflessione su di una delle manifestazioni della Chiesa più imponenti che si siano verificate nella storia, la costruzione e la fruizione delle cattedrali, dei santuari, dei complessi parrocchiali, dei monasteri e dei conventi, delle cappelle sparse dovunque nelle città e nelle campagne» (p. 7).
Con un scrittura chiara, dialogica ed esperita nel parlare, l’autore nella prima parte focalizza il problema (del rapporto tra l’architetto e il teologo); nella seconda ne precisa il linguaggi della teologia e della sua comunicazione; nella terza rivela il senso dell’abitare di Dio e del tempio nell’Antico e nel Nuovo Testamento e brevemente nella tradizione ecclesiale; e nella quarta parte indica le forme storiche dell’architettura delle chiese, tra Oriente e Occidente con i loro spazi liturgici per poi enumerare principi deducibili dal Vaticano II per l’architetto nel costruire un chiesa che deve avere una sua «identità e partecipazione, riconoscibilità, accessibilità», evocando un adeguato spazio alla Chiesa della Parola (al suo spazio dell’ascolto e al luogo della proclamazione e della Parola: pp. 174-190), a quella dei sacramenti (come luogo dell’acqua, del pane e del vino, del perdono, della promessa dell’adorazione e della devozione: pp. 210-224) e alla Chiesa della «presenza» «pluriforme» (nella comunità, nel corpo dei santi, nelle immagini, nel pane eucaristico: pp. 224-242).
Le immagini in bianco e nero di architetture di chiese della Chiesa permettono all’autore di evidenziare brevemente le novità, le urgenze, le fedeltà e la tradizione di quanto la sua scrittura teologica indica.
Più che di conversione della teologia di un teologo alla liturgia si deve parlare di riscoperta iniziale della liturgia da parte di un teologo che la valorizza. E questa sì che è anche una benedizione: «Su questa strada resta aperto un lungo cammino, lungo il quale bisogna soprattutto curare l’elaborazione di un metodo di lavoro che sia capace di coniugare lo studio teologico delle fonti della fede e dell’attuale esperienza credente con una ermeneutica delle forme attraverso le quali chi costruisce si esprime» (p. 246). Aver iniziato non è poco, così come altri inizi sono percepibili in scritti e convegni sulla bellezza e le arti teologiche e ancor più nei Master organizzati da Università pontificie e statali, o come la Scuola di alta formazione di arte e teologia «che intende approfondire la dimensione estetica della teologia e la dimensione teologia dell’arte» presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale a Napoli.
Tratto da "Letteratura liturgica" n. 5/2009 della "Rivista liturgica"
(http://www.rivistaliturgica.it)
Raramente si incontrano studi che affrontano in maniera organica e completa questioni di natura pratica e teorica, esigenze concrete ed esigenze speculative sul significato e la natura dell’agire pratico. La costruzione degli edifici chiamati “chiese” è uno di questi argomenti che di rado i teologi dogmatici hanno affrontato. Eppure se ne sente fortemente il bisogno. Basta guardasi in giro, nelle periferie delle nostre città dove negli ultimi decenni sono state costruite nuove chiese, per rendersi conto di quanto distante sia la realizzazione di quegli edifici dall’esperienza religiosa che la tradizione cristiana vuole fare memoria.
Costruzioni che normalmente vengono lasciate alla perizia tecnica e all’estro artistico agli architetti, coadiuvati semplicemente dalle norme tecniche promulgate dalla Conferenza Episcopale Italiana e dal giudizio funzionale dei parroci e delle comunità ecclesiali interessate. Troppo poco, se si pensa all’abisso che separa la teologia dalle conoscenze e dalle competenze culturali degli architetti (come del resto dall’intero ambito professionale e culturale italiano) spesso convinti che la progettazione di una chiesa sia un momento di puro esercizio della creatività professionale. Troppo poco, se si pensa alla poca consapevolezza e maturità ecclesiale che hanno le nostre comunità parrocchiali. Dobbiamo dire grazie, quindi, a Severino Dianich, uno dei più importanti ecclesiologi italiani, se oggi abbiamo un testo completo di riferimento per architetti e comunità ecclesiali che si cimentano nella progettazione e costruzione di nuove chiese (ma vale anche per il restauro o il riadattamento di vecchi edifici). Lo stimolo alla pubblicazione di questo studio viene dall’esperienza maturata al Master in Teologia per Architetti di Chiese della facoltà di Teologia di Firenze e da varie collaborazioni che lo stesso Dianich ha tenuto in facoltà di architettura italiane e straniere.
Non un prontuario né un manuale ma una vera e propria riflessione ecclesiologica a tutto tondo perché costruire le chiese, dice lo stesso Dianich, «fa parte di un’operazione più ampia e impegnativa, quella di costruire la Chiesa, mettere una sull’altra le pietre viventi edificando l’unità dei credenti, che costituisce per gli uomini il luogo privilegiato dell’incontro con Dio». Anche l’architetto si trova coinvolto in questa opera teologica anche se «non dovrà scrivere trattati sulla Chiesa, né trasmettere i suoi contenuti dottrinali con linguaggi in codice, così come non è suo compito dipingere o scolpire le sue immagini». Egli dovrà «offrire alla Chiesa spazi di bellezza, creati dalla sua [della Chiesa] intuizione poetica, capaci di interagire creativamente con le dinamiche del suo continuo immaginare sé stessa, sì che le figure nelle quali essa si riconosce, quelle della sua invenzione poetica, della sua prassi e delle sue azioni liturgiche, godano anche delle suggestioni degli spazi nei quali esse si compongono e si svolgono».
È in questo senso che Severino Dianich arriva a delineare, dopo che per anni la Chiesa si è confrontata con la teologia della storia, anche una teologia dello spazio, del luogo. Una necessità inderogabile per una Chiesa che abita il mondo e lo fa in spazi determinati. Anche se le comunità cristiane, soprattutto nei primi secoli, si vantavano di non avere un tempio e di non fare sacrifici, perché l’unico dono da dedicare a Dio è “un animo buono, una mente pura e un giudizio onesto”, come diceva Minucio Felice, il fatto stesso del radunarsi in assemblea, che è l’atto proprio dell’ekklesia, necessita di uno spazio, di un luogo. E questo spazio non è secondario nella comunicazione della fede, altra dimensione essenziale dell’essere Chiesa, perché esso mostra la Chiesa a sé stessa e al mondo. Ricorda Dianich che come le parole primariamente sono cose, nel senso che esse sono suono, inchiostro, gesto, colore, ecc…, così le cose sono parole: «costruire una chiesa e poi abitarla è uno dei fattori che compongono, nella varietà del loro insieme, la missione della Chiesa nel suo nucleo fondamentale, che è la comunicazione della fede».
Certo la percezione di una cosa è sempre un evento complesso, ma chi progetta una chiesa non può non tener conto che essa mostra la Chiesa anche a chi forse non vi entrerà mai. Suo compito sarà quello di invitare ad entrare senza violenza, creare un ambiente accogliente per il fedele e per il non fedele, per chi viene a dare qualcosa e per chi viene solamente a chiedere. Decisivo nel discorso di Dianich è l’inserimento della costruzione delle chiese nel contesto della comunicazione della fede cristiana a partire dalla sensibilità conciliare, a sua volta inserito nel più ampio contesto multi culturale e dell’odierno risveglio del sacro. In questo senso è degno di nota la critica e la netta presa di distanza che l’autore fa dalla progettazione dell’edificio ecclesiale inteso come semplice edificio sacro, carico di suggestioni emotive ma povero di riferimenti al memoriale cristiano che in essa si celebra. Oppure la critica alla pura progettazione funzionale, alla pura tecnica progettuale ed edilizia, organizzando lo spazio liturgico come un teatro o un cinema. Il richiamo che la funzione e la bellezza del luogo devono avere è a Cristo celebrato e vissuto dalla Chiesa nella liturgia, nella carità e nell’annuncio e non a una generica esperienza del sacro, nella quale qualsiasi edificio di culto può dire la sua meglio della chiesa cristiana. Egualmente il rapporto con la città nella quale la chiesa è inserita deve tener conto delle esigenze della libertà religiosa delle moderne società secolari e le esigenza di una Chiesa che si pone a servizio dell’uomo e della sua storia. In questo recupero della dimensione ecclesiale Dianich si sofferma sulle immagini, che nell’autocoscienza della Chiesa, hanno accompagnato la consapevolezza teologica della Chiesa stessa, come il gregge, la sposa, la madre, la strada, l’arca della salvezza, il popolo di Dio, il corpo di Cristo, immagini che possono guidare la progettazione verso un recupero vivo e rinnovato della tradizione della Chiesa. Dalle suggestioni del Concilio Vaticano II è evidente che la forma della chiesa, pur nella varietà dei modelli, tende a superare le distanze gerarchiche, ad avvicinare i fedeli all’altare, «a esprimere con chiarezza un’idea di Chiesa, che vuole essere soggetto vivo e responsabile, in tutte le membra del corpo credente». Anche il rapporto con la città, nonostante la persistenza di forme monumentali, necessita una progettazione urbanistica a partire dall’esigenza della Chiesa di essere a servizio del bene comune e compagna di strada degli uomini, dei poveri e dei sofferenti soprattutto.
Le riflessioni di Severino Dianich portano alla conclusione che progettare, costruire e abitare la chiesa è un’opera collettiva che certamente coinvolge il progettista e il costruttore ma che fondamentalmente interessa chi in quel luogo vi abiterà, la Chiesa delle pietre vive. Il libro è indirizzato in special modo agli architetti ma è difficile che essi, per progettare e costruire una Chiesa, si assumano l’onere di un percorso teologico. Più unico che raro è il caso di Rudolf Schwarz nel suo rapporto con Romano Guardini. Chi invece deve assumersi l’onore di questo percorso è il committente, per il quale non è secondario il significato dell’abitare la chiesa, ne va il significato stesso dell’essere Chiesa. La costruzione di una nuova chiesa per una comunità parrocchiale o la ristrutturazione della cattedrale per la comunità diocesana dovrebbero essere momenti di ripensamento, di riflessione collettiva sul significato dell’essere Chiesa locale, cioè propria di quel luogo, in che modo il messaggio evangelico risuona in sé e nel contesto cittadino. Quando la comunità ecclesiale avrà compiuto il cammino dell’auto consapevolezza, allora il progettista, perfino dotto e competente anche in materia teologica, la seguirà inevitabilmente.
Tratto dalla rivista Firmana n. 50/2010
(http://www.teologiamarche.it)
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Marco Zenari il 31 agosto 2017 alle 17:33 ha scritto:
Per quanto riguarda il rapporto tra teologia e architettura il libro di Dianich è fondamentale.