Analogia libertatis: La libertà tra metafisica e storia in sant'Anselmo
(RdT Library) [Con sovraccoperta]EAN 9788821550201
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DETTAGLI DI «Analogia libertatis: La libertà tra metafisica e storia in sant'Anselmo»
Tipo
Libro
Titolo
Analogia libertatis: La libertà tra metafisica e storia in sant'Anselmo
Autore
Orazzo Antonio
Editore
San Paolo Edizioni
EAN
9788821550201
Pagine
192
Data
novembre 2003
Peso
280 grammi
Altezza
22,5 cm
Larghezza
15 cm
Profondità
1,8 cm
Collana
RdT Library
COMMENTI DEI LETTORI A «Analogia libertatis: La libertà tra metafisica e storia in sant'Anselmo»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Analogia libertatis: La libertà tra metafisica e storia in sant'Anselmo»
Recensione di Matteo Zoppi della rivista Studia Patavina
Tra le diverse monografie dedicate in questi ultimi anni al pensiero del Doctor Magnificus, la presente ha il peculiare pregio di contraddistinguersi per sinteticità e organicità. In meno di duecento pagine, infatti, Antonio Orazzo, docente di Storia della Filosofia presso la Sezione di San Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, delinea con perizia una panoramica penetrante ed esaustiva della riflessione anselmiana successiva alla pubblicazione del Monologion e del Proslogion. Come è noto, soprattutto la seconda di queste due opere ha reso celebre il nome di Anselmo in ambito filosofico. Minore attenzione, invero, è stata riservata ad una serie di testi considerati molto genericamente «minori», composti successivamente al Proslogion. Perfino il Cur Deus homo, uno dei capolavori della teologia medievale, che tanta parte ebbe nella dogmatica e nella apologetica posteriori, ha risentito fortemente di questo giudizio, restando spesso al margine dell’interesse dei filosofi.
Nondimeno, è grande il valore teoretico di questi testi. Ne dà ampia dimostrazione appunto il presente volume, dove attraverso una completa esposizione dei loro contenuti, condotta sulla base di puntuali analisi testuali, l’Autore problematizza e ricomprende, in una prospettiva teoretica di ampio respiro, le linee portanti di tutta la riflessione anselmiana.
Il primo capitolo (pp. 26-54) è dedicato al De veritate, il secondo (pp. 55-82) al De libertate arbitrii, il terzo (pp. 83-105) al De casu diaboli, il quarto (pp. 107-147) al De concordia præscientiæ et prædestinationis et gratiæ Dei cum libero arbitrio, con l’aggiunta di un interessante excursus su prescienza divina e libertà umana in Origene, il quinto (pp. 149-177), infine, al citato Cur Deus homo. L’approccio ermeneutico seguito è quello di Michelle Corbin, che considera il De veritate la chiave di volta per comprendere non soltanto le opere successive al Monologion e al Proslogion, ma questi stessi scritti (cf. pp. 5-6 e 29). La disamina, pertanto, si distanzia da una certa prassi interpretativa che, soprattutto in passato, ha distinto in modo netto tra questi ultimi, giudicati assieme al Cur Deus homo spiccatamente teologico-speculativi, e i restanti dialoghi, che assieme al De concordia pertengono più propriamente all’etica.
Occorre osservare che tale prassi, sicuramente condizionata dalla ormai classica distinzione tra teologia dogmatica e teologia morale, se rigidamente applicata genera non poche ambiguità per quanto riguarda l’ermeneutica dei testi di Anselmo. Questa distinzione, infatti, appare piuttosto una forzatura: al Monologion e al Proslogion egli si riferiva facendoli rientrare nel genere della meditatio (cf. Monologion, Prologus; cf. Proslogion, Proœmium), qualificando poi i tres tractatus come pertinentes ad studium sacræ scripturæ (cf. De veritate, Præfactio), e definendo infine molto genericamente (e modestamente) opusculum il Cur Deus homo (cf. Cur Deus homo, Commendatio operis ad Urbanum Papam II).
Per tale ragione, la prospettiva seguita da Orazzo nel presente volume si rivela particolarmente appropriata e feconda. In ultima analisi, essa lascia emergere la centralità che nella teologia di Anselmo occupa la riflessione sull’uomo. Si tratta di un tema cruciale che permette all’Autore di enucleare dai testi esaminati le linee di un pensiero unitario e coerente: «L’abate del Bec sa coniugare, in modo originale e coraggioso, l’istanza insopprimibile e fondante della metafisica col libero dinamismo della volontà che, con l’aiuto e alla luce della ragione, si pone a sua volta come creatrice di uno sviluppo storico unico e indeducibile. Da uomo del suo tempo, Anselmo non poteva sviluppare una riflessione sul rapporto tra metafisica e storia (o libertà), quale potremmo intenderlo noi oggi, ma ne ha posto senza dubbio le premesse. Non senza riferimento a questo orizzonte antropologico, egli è stato considerato un vero ispiratore dell’umanesimo medievale in pieno secolo undicesimo, prima ancora di un Abelardo e dei grandi mistici del secolo successivo. A questo si aggiunge il merito che, a differenza di Tommaso che può utilizzare un sistema di pensiero e un linguaggio filosofico più elaborati, egli non dispone se non dell’eredità di Agostino e degli elementi neoplatonici che il vescovo di Ippona gli ha trasmesso. Da teologo, costruirà su queste basi una profonda riflessione sulla redenzione nel Cur Deus homo, e saprà formularla in termini di libertà» (pp. 102-103).
Seguendo tale prospettiva, l’Autore prende in esame le tematiche centrali dell’indagine di Anselmo: fede e ragione, verità, giustizia e rettitudine della volontà, libertà dell’arbitrio e libero arbitrio. Sullo sfondo permane sempre, nella varietà e diversità di sfaccettature, la relazione dell’uomo con Dio, che manifesta assieme alla incisività dell’istanza antropologica, la forte tensione teocentrica ad essa propria. La stessa circolarità tra fede e ragione, icasticamente illustrata da Anselmo nel Proslogion, non è altro che il riflettersi nel pensiero umano dell’imprescindibile relazione che lega la vita dell’uomo (tanto nell’essere quanto nell’agire) a quella di Dio. Di questa intuizione fondamentale della speculazione anselmiana, Orazzo privilegia la dimensione etica. Conseguenza inevitabile per chi adotta la scelta metodologica di seguire nell’analisi espositiva l’iter cronologico dei trattati, dal 1080 al 1085 circa, periodo di pubblicazione del De veritate, in avanti. Fatto di cui l’Autore stesso rivela di essere consapevole soprattutto quando nel cap. III, dedicato al De casu diaboli, l’analisi della volontà dell’uomo e dei suoi possibili oggetti vede intrecciarsi al tema della rectitudo quello dei commoda e della beatitudo, cui peraltro Anselmo non riserva una esplicita trattazione: «Nel rapporto tra rettitudine e beatitudine, l’accento cade indubbiamente sulla prima. La riflessione morale di Anselmo sembra concedere alla ricerca della felicità molto meno di quanto non facciano un Agostino o un Tommaso. Anche se la voluntas beatitudinis è posta allo stesso livello ontologico della voluntas iustitiæ, esprimendosi come una delle due inclinazioni originarie della facoltà volitiva, nell’insieme è pur sempre la seconda ad occupare lo spazio maggiore» (p. 104). In questo senso, la prospettiva antropologica seguita dall’Autore resta vincolata alla prevalente tematica etica. Effettivamente sulla felicità i trattati esaminati non sembrano dire di più, anche se un esame complessivo delle opere di Anselmo permette di gettare in merito nuova luce. Al riguardo Orazzo sembra concordare, quando poco avanti a proposito della rectitudo voluntatis propter se servata scrive: «In realtà, tale definizione, per essere ben compresa, dev’essere interpretata alla luce di altri scritti anselmiani, soprattutto l’Epistolario e le Orazioni/Meditazioni, in cui il metodo diventa più elastico e lo stile più colloquiale» (pp. 104-105).
Anche alla luce di queste ultime considerazioni sembra fondata l’ipotesi che nei trattati emerga in prevalenza solo la dimensione etica dell’antropologia di Anselmo. In quest’ultima, il citato tema della voluntas beatitudinis, per l’appunto, possiede una rilevanza teoretica che si rivela fondamentale nell’economia del Cur Deus homo. In questo senso, forse si poteva approfondire maggiormente il concetto di commodum, con cui Anselmo definisce l’oggetto di ogni tipo di appetito volitivo estraneo ad una valutazione etica, e che, diversamente da quanto lascia intendere il testo, non si configura ipso facto come sinonimo di beatitudo (cf. pp. 88-92).
Come si è detto, il volume si conclude con l’analisi degli sviluppi più maturi della riflessione anselmiana sulla libertà, contenuti nel Cur Deus homo. Anche a proposito dell’opus maximum del Dottore d’Aosta, Orazzo lascia emergere particolari e aspetti finora poco considerati. Tra questi, grande rilievo va dato alla puntuale valorizzazione della prospettiva di storia della salvezza, che, soprattutto a partire dal libro II, si fa progressivamente spazio tra il serrato procedere dei ragionamenti: «L’impostazione metodologica del trattato, così marcatamente deduttiva e affidata alle risorse della sola ratio, appare chiaramente in contrasto con la sensibilità teologica e spirituale attuale. […] Ci sembra fondata l’ipotesi che Anselmo, verso la fine dell’opera, abbia adottato un punto di vista diverso, in cui perde sempre più terreno l’approccio della sola ratio, e ne guadagna invece la prospettiva dell’economia storico-salvifica, secondo la quale risultano affermate la novità e l’indeducibilità razionale dell’evento Cristo. […] Recuperato questo punto di vista, Anselmo non provvederà più a ‘dedurre’ la storia del Cristo dalle rationes necessariæ, ma attribuirà piuttosto alla storia salvifica il ruolo fondante e la legittimazione di ogni discorso su Cristo e sull’uomo» (p. 174).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Nondimeno, è grande il valore teoretico di questi testi. Ne dà ampia dimostrazione appunto il presente volume, dove attraverso una completa esposizione dei loro contenuti, condotta sulla base di puntuali analisi testuali, l’Autore problematizza e ricomprende, in una prospettiva teoretica di ampio respiro, le linee portanti di tutta la riflessione anselmiana.
Il primo capitolo (pp. 26-54) è dedicato al De veritate, il secondo (pp. 55-82) al De libertate arbitrii, il terzo (pp. 83-105) al De casu diaboli, il quarto (pp. 107-147) al De concordia præscientiæ et prædestinationis et gratiæ Dei cum libero arbitrio, con l’aggiunta di un interessante excursus su prescienza divina e libertà umana in Origene, il quinto (pp. 149-177), infine, al citato Cur Deus homo. L’approccio ermeneutico seguito è quello di Michelle Corbin, che considera il De veritate la chiave di volta per comprendere non soltanto le opere successive al Monologion e al Proslogion, ma questi stessi scritti (cf. pp. 5-6 e 29). La disamina, pertanto, si distanzia da una certa prassi interpretativa che, soprattutto in passato, ha distinto in modo netto tra questi ultimi, giudicati assieme al Cur Deus homo spiccatamente teologico-speculativi, e i restanti dialoghi, che assieme al De concordia pertengono più propriamente all’etica.
Occorre osservare che tale prassi, sicuramente condizionata dalla ormai classica distinzione tra teologia dogmatica e teologia morale, se rigidamente applicata genera non poche ambiguità per quanto riguarda l’ermeneutica dei testi di Anselmo. Questa distinzione, infatti, appare piuttosto una forzatura: al Monologion e al Proslogion egli si riferiva facendoli rientrare nel genere della meditatio (cf. Monologion, Prologus; cf. Proslogion, Proœmium), qualificando poi i tres tractatus come pertinentes ad studium sacræ scripturæ (cf. De veritate, Præfactio), e definendo infine molto genericamente (e modestamente) opusculum il Cur Deus homo (cf. Cur Deus homo, Commendatio operis ad Urbanum Papam II).
Per tale ragione, la prospettiva seguita da Orazzo nel presente volume si rivela particolarmente appropriata e feconda. In ultima analisi, essa lascia emergere la centralità che nella teologia di Anselmo occupa la riflessione sull’uomo. Si tratta di un tema cruciale che permette all’Autore di enucleare dai testi esaminati le linee di un pensiero unitario e coerente: «L’abate del Bec sa coniugare, in modo originale e coraggioso, l’istanza insopprimibile e fondante della metafisica col libero dinamismo della volontà che, con l’aiuto e alla luce della ragione, si pone a sua volta come creatrice di uno sviluppo storico unico e indeducibile. Da uomo del suo tempo, Anselmo non poteva sviluppare una riflessione sul rapporto tra metafisica e storia (o libertà), quale potremmo intenderlo noi oggi, ma ne ha posto senza dubbio le premesse. Non senza riferimento a questo orizzonte antropologico, egli è stato considerato un vero ispiratore dell’umanesimo medievale in pieno secolo undicesimo, prima ancora di un Abelardo e dei grandi mistici del secolo successivo. A questo si aggiunge il merito che, a differenza di Tommaso che può utilizzare un sistema di pensiero e un linguaggio filosofico più elaborati, egli non dispone se non dell’eredità di Agostino e degli elementi neoplatonici che il vescovo di Ippona gli ha trasmesso. Da teologo, costruirà su queste basi una profonda riflessione sulla redenzione nel Cur Deus homo, e saprà formularla in termini di libertà» (pp. 102-103).
Seguendo tale prospettiva, l’Autore prende in esame le tematiche centrali dell’indagine di Anselmo: fede e ragione, verità, giustizia e rettitudine della volontà, libertà dell’arbitrio e libero arbitrio. Sullo sfondo permane sempre, nella varietà e diversità di sfaccettature, la relazione dell’uomo con Dio, che manifesta assieme alla incisività dell’istanza antropologica, la forte tensione teocentrica ad essa propria. La stessa circolarità tra fede e ragione, icasticamente illustrata da Anselmo nel Proslogion, non è altro che il riflettersi nel pensiero umano dell’imprescindibile relazione che lega la vita dell’uomo (tanto nell’essere quanto nell’agire) a quella di Dio. Di questa intuizione fondamentale della speculazione anselmiana, Orazzo privilegia la dimensione etica. Conseguenza inevitabile per chi adotta la scelta metodologica di seguire nell’analisi espositiva l’iter cronologico dei trattati, dal 1080 al 1085 circa, periodo di pubblicazione del De veritate, in avanti. Fatto di cui l’Autore stesso rivela di essere consapevole soprattutto quando nel cap. III, dedicato al De casu diaboli, l’analisi della volontà dell’uomo e dei suoi possibili oggetti vede intrecciarsi al tema della rectitudo quello dei commoda e della beatitudo, cui peraltro Anselmo non riserva una esplicita trattazione: «Nel rapporto tra rettitudine e beatitudine, l’accento cade indubbiamente sulla prima. La riflessione morale di Anselmo sembra concedere alla ricerca della felicità molto meno di quanto non facciano un Agostino o un Tommaso. Anche se la voluntas beatitudinis è posta allo stesso livello ontologico della voluntas iustitiæ, esprimendosi come una delle due inclinazioni originarie della facoltà volitiva, nell’insieme è pur sempre la seconda ad occupare lo spazio maggiore» (p. 104). In questo senso, la prospettiva antropologica seguita dall’Autore resta vincolata alla prevalente tematica etica. Effettivamente sulla felicità i trattati esaminati non sembrano dire di più, anche se un esame complessivo delle opere di Anselmo permette di gettare in merito nuova luce. Al riguardo Orazzo sembra concordare, quando poco avanti a proposito della rectitudo voluntatis propter se servata scrive: «In realtà, tale definizione, per essere ben compresa, dev’essere interpretata alla luce di altri scritti anselmiani, soprattutto l’Epistolario e le Orazioni/Meditazioni, in cui il metodo diventa più elastico e lo stile più colloquiale» (pp. 104-105).
Anche alla luce di queste ultime considerazioni sembra fondata l’ipotesi che nei trattati emerga in prevalenza solo la dimensione etica dell’antropologia di Anselmo. In quest’ultima, il citato tema della voluntas beatitudinis, per l’appunto, possiede una rilevanza teoretica che si rivela fondamentale nell’economia del Cur Deus homo. In questo senso, forse si poteva approfondire maggiormente il concetto di commodum, con cui Anselmo definisce l’oggetto di ogni tipo di appetito volitivo estraneo ad una valutazione etica, e che, diversamente da quanto lascia intendere il testo, non si configura ipso facto come sinonimo di beatitudo (cf. pp. 88-92).
Come si è detto, il volume si conclude con l’analisi degli sviluppi più maturi della riflessione anselmiana sulla libertà, contenuti nel Cur Deus homo. Anche a proposito dell’opus maximum del Dottore d’Aosta, Orazzo lascia emergere particolari e aspetti finora poco considerati. Tra questi, grande rilievo va dato alla puntuale valorizzazione della prospettiva di storia della salvezza, che, soprattutto a partire dal libro II, si fa progressivamente spazio tra il serrato procedere dei ragionamenti: «L’impostazione metodologica del trattato, così marcatamente deduttiva e affidata alle risorse della sola ratio, appare chiaramente in contrasto con la sensibilità teologica e spirituale attuale. […] Ci sembra fondata l’ipotesi che Anselmo, verso la fine dell’opera, abbia adottato un punto di vista diverso, in cui perde sempre più terreno l’approccio della sola ratio, e ne guadagna invece la prospettiva dell’economia storico-salvifica, secondo la quale risultano affermate la novità e l’indeducibilità razionale dell’evento Cristo. […] Recuperato questo punto di vista, Anselmo non provvederà più a ‘dedurre’ la storia del Cristo dalle rationes necessariæ, ma attribuirà piuttosto alla storia salvifica il ruolo fondante e la legittimazione di ogni discorso su Cristo e sull’uomo» (p. 174).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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